LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DELLA REPUBBLICA ITALIANA,
PROFESSOR MARIO MONTI
Egregio Presidente del Consiglio, Chiarissimo Professore,
a seguito del Suo intervento nella trasmissione televisiva “Che tempo che fa”,
avvenuto in totale assenza di contraddittorio, noi insegnanti intendiamo
denunciare con sdegno il tentativo di svuotare ulteriormente di contenuti, di
motivazioni, di valore e di credibilità sociale la nostra professione.
Ci rammarichiamo che, cercando il plauso dell’opinione pubblica e dei mass
media, sia stata diffusa a nostro danno un’ennesima mistificazione, che, in un
momento di grande mobilitazione e di protesta di docenti e studenti a difesa
della scuola pubblica e democratica, assume i toni di una grave e quanto mai
inopportuna provocazione.
E’ difficile credere che Lei abbia mistificato la realtà dei fatti, perché
non si cura di capire e tanto meno di conoscere le ragioni della scuola; è certo
che Lei si sia confuso, o abbia volutamente confuso numeri e problematiche: il
risultato è comunque grave per un Presidente del Consiglio che dovrebbe essere
più di ogni altro sensibile e attento alle esigenze e alle necessità del Paese
in un momento storico di particolare difficoltà.
Lei ha mistificato perché ha ridotto a 2 le 6 ore settimanali in più previste
nel decreto di stabilità, tacendo l’aumento dalle 18 alle 24 ore frontali in
classe, non ha menzionato il conseguente aggravio considerevole, “a parità di
stipendio”, dell’ingente carico del lavoro “sommerso” che la nostra ordinaria
attività lavorativa comporta, oltretutto imprescindibile da un oneroso impegno
psicologico e umano: ore di programmazione, preparazione, correzione, riunioni e
ricevimenti famiglie, ovvero interi pomeriggi e fine settimana di lavoro.
Lei ha mistificato perché ha finto di non sapere che docenti e studenti erano
in piazza il 24 novembre per salvaguardare la scuola pubblica dai tagli
indiscriminati e per impedire la “privatizzazione” della scuola statale e lo
smantellamento di un servizio pubblico, previsti dal disegno di legge 3542 (ex
ddl Aprea), attualmente in esame al Parlamento.
Nessun “grande spirito di conservatorismo” ma impegno civico, democratica
protesta per la salvaguardia dei diritti sanciti dalla nostra Costituzione e
della qualità culturale futura degli studenti della scuola statale.
Nessun “corporativismo”, tipico di altre categorie, non certo della
bistrattata classe docente, nessuna “indisponibilità” dei docenti ai cambiamenti
davvero migliorativi della scuola, nessuna strumentalizzazione o “uso” dei
giovani, che sono in grado di discernere autonomamente che il Governo da Lei
presieduto non ha nessuna intenzione di destinare risorse alla scuola pubblica,
lasciata economicamente nella miseria ma non doma negli ideali, e non prevede
alcun progetto di crescita e di sviluppo dell’istruzione e della cultura che ha
da sempre reso grande l’Italia e di cui gli insegnanti sono da sempre i più
autentici propugnatori.
Le famiglie italiane, che hanno i figli nella scuola pubblica, i docenti e
gli studenti hanno a cuore la cultura e la loro scuola che in buona parte si
regge sulle stesse famiglie, sul loro contributo, sulla loro partecipazione e
sul lavoro dei docenti. Grazie a loro si conserva la cultura nella scuola, a
sostegno della quale le manifestazioni di questi giorni hanno visto sfilare
uniti insegnanti, studenti e famiglie, che ci affidano i loro figli e di noi si
fidano e con noi collaborano.
Nella scuola che vogliamo preservare e tutelare dal degrado, ogni mattina in
classe condividiamo con i nostri ragazzi studi, passioni, momenti di crescita;
trasmettiamo loro valori di cittadinanza, di impegno civile, di democrazia e di
humanitas; trattiamo i diritti-doveri del cittadino e la dignità dell’uomo;
dell’Europa coltiviamo le radici culturali attraverso lo studio delle nobili
lingue Latino e Greco; insegniamo il Risorgimento con i suoi valori di amor di
patria, libertà e indipendenza; trattiamo la Resistenza, la Costituzione, i
grandi padri delle lettere, le arti italiane, le scienze naturali, fisiche e
matematiche, il pensiero filosofico, le culture e le lingue europee e mondiali,
fino alla lontana Cina.
Nella scuola che vogliamo sostenere non c’è conservazione ma profonda
aspirazione alla crescita e necessità vitale di cambiamenti democraticamente
condivisi.
Da sempre, gentile Presidente, il progresso, le nuove idee, le istanze di
rinnovamento sono nati nelle scuole e nelle università, avanguardie delle grandi
innovazioni che la società e la storia impongono. Da qui può avviarsi un nuovo
Rinascimento, civile e morale, che restituisca al nostro Paese l’antico
prestigio: investire nella cultura e nella qualità dello studio significa, come
dimostra la storia, lungimiranza. Il futuro di un Paese è legato a quello della
sua scuola che sa veramente “guardare lontano”.
Noi docenti intendiamo testimoniare con tutta la nostra forza che svolgiamo
professionalmente e con rigore il nostro lavoro in aule scolastiche molto
modeste ma immuni dal trasformismo, dalla corruzione, dal clientelismo, dai
reati di concussione e peculato.
Questo Suo Governo, pertanto, che non taglia gli sprechi della politica e non
colpisce dovutamente evasori e speculatori finanziari, non può permettersi di
offendere la professionalità di chi, laureato e vincitore di concorso pubblico,
guadagna mediamente circa 1500 euro al mese, avendo anche a proprio carico spese
per ricerca e aggiornamento nonché per strumenti e materiali di lavoro.
Quanto finora espresso non scaturisce da una posizione di contrasto a-priori
rispetto al Suo Governo, dal quale tuttavia ci aspettiamo una lezione di grande
capacità nella gestione della scuola pubblica, volta a conseguire non un mero
profitto economico bensì un avanzamento sociale, civile e culturale del Paese
che ci onoriamo di servire.
Forse siamo stati troppo illusi dalle tante aspettative suscitate in noi da
un governo di Professori?
I Maestri laureati umiliati e offesi del Liceo Seneca di Roma