E' la scuola tecnica che ha fatto l'Italia
Data: Lunedì, 17 settembre 2012 ore 12:02:11 CEST
Argomento: Rassegna stampa


Sul quotidiano il Giornale di oggi troviamo un interessante stralcio dell’articolo di Adolfo Scotto di Luzio, docente di Storia della scuola presso l’Università di Bergamo, scritto per il nuovo numero, che uscirà da domani, della rivista Vita e Pensiero dell’Università Cattolica. La questione riguarda l’istruzione tecnica e professionale che per vent’anni ha rappresentato un aspetto cruciale non risolto della riforma della scuola italiana. Se negli anni addietro ha regnato una contrapposizione netta fra versante classico-umanistico da una parte e la sparizione tendenziale dell’istruzione tecnica e professionale dall’altra, oggi ha preso forma un indirizzo di politica scolastica a favore della formazione professionale. Cosa significa nei fatti questa scelta di percorso? La risposta la ritroviamo nei fenomeni sociali attuali, che fanno emergere da un lato il tema, divenuto dominante nelle società occidentali, della disoccupazione; dall’altro, l’esperienza allarmante di una delegittimazione di massa dei processi formativi. La scuola, infatti, negli ultimi decenni è stata il teatro di una vera e propria secessione educativa. Di fronte a percorsi formativi sempre più generici, insegnanti, politici ed educatori hanno dovuto prendere atto di un rifiuto generalizzato e di massa. La rimodulazione del rapporto tra formazione educativa e scolastica di tipo tradizionale e approccio al lavoro ha significato innanzitutto un tentativo di rispondere a questo rifiuto. Un modo per restituire alla scuola, in una società segnata da una crisi di valori, un ruolo centrale nella costruzione della soggettività giovanile. L’antica diffidenza pedagogica per la formazione tecnico-professionale, considerata non scuola, si manifesta nella licealizzazione dell’istruzione professionale, che è il modo in cui la vecchia istruzione professionale di Stato viene assorbita e annullata dentro il perimetro di una generica istruzione secondaria. La riforma Moratti ha tentato di risolvere la questione, ma l’idea di due percorsi scolastici di pari dignità non ha sortito risultati migliori, mantenendo, così, l’antico pregiudizio originario di tipo statalistico-classicista a danno della formazione dei tecnici. I cambiamenti economici del Paese spingono avanti l’idea che, dare potere decisionale alle Regioni riguardo alle competenze in materia scolastica e offrire maggiore autonomia ai singoli istituti, è un modo per rinnovare l’organizzazione strutturale della scuola. La visione semplicistica consisteva nell’ignorare la profondità storica che le competenze tecniche e professionali hanno dato nel sostenere lo sviluppo economico e industriale dell’Italia. Anche l’istruzione liceale, dalla quale fino al 1969 si passava obbligatoriamente per accedere all’università, ha prodotto soprattutto laureati in materie scientifiche e non la pletora di latinisti che ci si è immaginati. E’ stato proprio il governo centrale, il vituperato modello accentrato della scuola italiana, a dare corpo e struttura all’istruzione tecnica e professionale  e a inserirla nel quadro nazionale e al servizio di un progetto ambizioso di sviluppo del Paese, senza questa volontà del governo centrale l’Italia non avrebbe avuto le basi culturali della propria trasformazione nel corso del Novecento.

Adolfo Scotto di Luzio
Il Giornale 







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