Lettera al ''giovane scrittore'' Saviano da un ''vecchio insegnante'' precario
Data: Venerdì, 07 settembre 2012 ore 07:00:00 CEST
Argomento: Opinioni


Roberto SavianoCome me sei nato e vissuto in terra di Camorra, come me ti sei laureato in Filosofia, tu con una tesi su Max Weber, io con una tesi su Pëtr Kropotkin, autori lontanissimi per formazione ed esistenza ma entrambi capaci di offrirci un'analisi lucida del potere e delle sue dinamiche. Tu sei un "giovane scrittore",  io,  invece, se utilizziamo i "canoni temporali" del Ministro Profumo espressi nell'ultima intervista a Repubblica, sono un "vecchio insegnante" … Eppure ci dividono solo due anni.

Come me hai deciso di raccontare questo paese e il nostro sud. Tu,  diversamente da me, hai deciso di farlo da scrittore ed intellettuale; io,  diversamente da te,  ho deciso di farlo "solo" come insegnante. Entrambi emigranti, entrambi costretti dall'amore ad abbandonare quella Napoli che Pasolini nelle Lettere Luterane definisce : “ l’ultima metropoli plebea, l’ultimo grande villaggio ( e per di più con tradizioni culturali non strettamente italiane)”

ROBERTO SAI, come me, che la scuola è l'unica dimensione reale del nostro sociale in cui si incrociano i drammi delle nostre emarginazioni, non sotto forma di tematiche astratte, ma come corpi vivi che si pongono dinanzi a noi spogliati di ogni filosofia, antropologia, sociologia e religiosità sia laica sia cristiana.

IO SO, come te, che l’attacco portato al mondo della scuola dai diversi governi che si sono succeduti negli ultimi decenni non risponde esclusivamente ad esigenze di bilancio, ma rientra in un ampio progetto di frantumazione sociale del mondo della conoscenza, attuato attraverso la precarizzazione del lavoro e la progressiva sottrazione di diritti.

ROBERTO SAI, come me, qual è il ruolo degli insegnanti quando affermi che " è complicato essere professori oggi in Italia … E  che gli insegnanti sono una categoria sacra". Entrambi siamo cresciuti con le parole di Pasolini: "Il lavoro del maestro è come quello della massaia, bisogna ogni mattina ricominciare da capo: la materia, il concreto sfuggono da tutte le parti, sono un continuo miraggio che dà illusioni di perfezione … Può educare solo chi sa cosa significa amare".

IO SO, come te, che la scuola rappresenta il microcosmo più fedele della società, il banco di prova di ogni ipotesi di comunità, il luogo in cui si creano le condizioni dell'incontro e dell'integrazione, dello scambio culturale e della formazione, della costruzione di speranza e dell'acquisizione di senso esistenziale.

Entrambi sappiamo cosa significa raccontare la verità, coniugarla ogni giorno in un libro o in una classe, declinarla ogni istante in un dibattito o in una lezione, non esiste altro luogo oltre la scuola in cui le questioni fondamentali del nostro tempo (migranti, senza casa, disagio giovanile, sperequazione sociale, periferie, legalità, convivenza civile,  diritti degli omosessuali) sono tutte presenti in una contemporaneità spiazzante e allo steso tempo desolante. A scuola ogni giorno si incontrano alunni, insegnanti, genitori, padri e figli, è il luogo in cui si mescolano "fisicamente" tutte le "marginalità costrette" del nostro tempo, in cui la legalità può essere non insegnata ma acquisita, in cui la rabbia per la nostra terra violentata può diventare conoscenza e non rassegnazione.

Ma ormai io sono vecchio, lo dice il Ministro in un'intervista al tuo giornale, sono avvolto da una senilità precoce solo perché adoro raccontare la "verità", guardare ogni giorno gli alunni disabili e credere che il nostro paese sia anche per loro, continuare a dire ai miei alunni che per "amore del mio popolo non posso  tacere".

Sono vecchio, nonostante abbia superato un concorso per venticinque posti arrivando terzo su centinaia di partecipanti, nonostante abbia acquisito una specializzazione sul sostegno, nonostante entri in classe "da vecchio abilitato" vincitore di concorso (perché le SSIS hanno un esame finale con valore concorsuale) da ormai sette anni.

Ho iniziato ad insegnare nella scuola pubblica statale nell'anno in cui usciva Gomorra, in quel momento tu diventavi il "giovane scrittore" mentre  io iniziavo già ad essere "il vecchio insegnante". Che strano Paese il nostro: si è giovani o vecchi in base all'occupazione che si svolge (il "giovane" presidente del consiglio  che "invecchia" il nostro Paese aumentando l'età pensionabile ed il "vecchio" maestro che parla ai "giovani" forviando le menti), il valore anagrafico è un indice del valore “sociale" e quindi bisogna abbassarlo fin a far diventare vecchio uno "sfruttato precario della scuola" ma non "un intellettuale".

Il paradosso del reale: vecchio a 35 anni per insegnare ma non per scrivere libri, vecchio a 35 anni per entrare in una scuola ma troppo giovane a 60 per uscirne !

Ti ricordi cosa diceva Wittgenstein: “Il linguaggio è un labirinto di strade. Vieni da una parte e ti sai orientare; giungi allo stesso punto da un’altra parte, e non ti raccapezzi più”.  Io ormai,  caro Roberto,  non ritrovo più la strada di questo potere che mi vuole vecchio da giovane, ma forse è giusto così perché parafrasando il titolo di un film dei fratelli Coen, il nostro "non è un paese per vecchi".

Luigi Del Prete - vecchio precario della scuola di Palermo
ludopeca@alice.it





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