Teatro di Vincenzo Pirrotta a Biancavilla
Data: Giovedì, 28 giugno 2012 ore 05:00:00 CEST Argomento: Redazione
Che
il teatro avesse la funzione di docere non è un fatto nuovo! Già gli
antichi greci avevano dato questo valore al teatro al contrario dei
romani, i quali con esso intendevano delectare. Dai greci, a
Goldoni, a Pirandello, a De Filippo, il teatro non ha abbandonato il
suo ruolo e lo scorso sabato, 16 giugno, presso Villa Delle Favare a
Biancavilla, si è discusso con Vincenzo Pirrotta attore, regista e
drammaturgo che ha scelto il teatro come strumento di denuncia civile.
Occasione dell’incontro, promosso dal locale circolo “Castriota” in collaborazione con In cerca d’autore, attività
culturale del periodico l’Alba, è stata la presentazione della recente
pubblicazione dello stesso Pirrotta, intitolata, Teatro. Si
tratta di una raccolta di cinque atti unici, scritti più o meno in
dieci anni: All’ombra della collina, Malaluna, La ballata delle balate,
La grazia dell’angelo, Sacre-Stie.
Su alcuni di questi hanno discusso con l’autore il prof. Pino Pesce,
direttore del periodico l’Alba, la prof.ssa Rosa Maria Crisafi e la
prof.ssa Mariacarmela Crisafi, docenti di Materie letterarie,
coordinati dal dott. Giuseppe Catania, presidente del circolo culturale.
Come un pittore che mescola i colori della sua tavolozza, così la
serata ha mescolato musica e teatro nella tavolozza denominata cultura.
Ed è su questo aspetto, dopo le note dell’Adagio della Prima sonata per
violino solo di Bach, suonate dal violinista Federico Pedicona, che il
dott. Catania ha insistito, soprattutto, sull’importanza di fare e
promuovere la cultura.
L’incantevole recitazione dell’attrice Luisa Ippodrino ha introdotto
l’intervento del prof. Pesce, il quale prima di presentare Vincenzo
Pirrotta come drammaturgo, lo ha ricordato come attore, ruolo
artistico dove eccelle per la sua energia espressiva e la sua fisicità:
«E’ come se un dio parlasse in lui» dice il direttore de l’Alba
ricordando il foscoliano «Nume in petto» che poi «caratterizzerebbe –
con i distinguo e i vari registri ispirativi – Pirrotta come attore,
regista e scrittore.»
«I tre ruoli – per Pesce – hanno una matrice formativa comune: la
strada (e quindi il nonno di Vincenzo, venditore ambulante di vestiti),
l’opera dei pupi e le prime (sempre grazie al nonno) letture di libri
sul comunismo e su Pier Paolo Pasolini. Questo retaggio – chiarisce il
professore – è più evidente nel dramma A l’ombra della collina, dove lo
scrittore di Casarsa – nella trasposizione letteraria, che riconduce
all’oltretomba letteraria (da Omero a Dante attraverso Virgilio) –
viene presentato da Pirrotta come il proprio mentore».
Dal duettare di Pirrotta e della Ippodrino su un dialogo, tratto da
All’ombra della collina, il secondo intervento del prof. Pesce, il
quale da una parte condivide il carattere di teatro civile e di
denuncia, dall’altra non è d’accordo sull’«uso predominante del
dialetto che taglia la comunicazione all’interno della stessa area
linguistica: Sicilia occidentale, centrale ed orientale, a loro volta
frammentate dalla miriade di diversità linguistiche».
A raffreddare i toni calducci, l’intermezzo musicale del chitarrista
classico, Armando Percolla, cui segue l’intervento della prof.ssa Rosa
Maria Crisafi che si sofferma proprio sul carattere della denuncia
civile, spiegando il significato del teatro pirrottiano con questa
frase tratta dal manuale di storia del teatro di Alonge e Tessari: «A
teatro la comunità vede riflessi i miti del proprio patrimonio
culturale e mitologico: e il teatro suscita negli spettatori un effetto
benefico, li libera dalle passioni». Le riflessioni della prof.ssa
Crisafi, dal generale al particolare, da un excursus sulla storia del
teatro si sono poi soffermate sulla Ballata delle balate, inserito nel
filone della denuncia civile insieme a Sacre-Stie e Quei ragazzi di
Regalpetra. Ma a parlarci di questa Ballata, su invito della
Crisafi, è stato proprio l’autore il quale racconta che «è il canto di
colpa e di “non espiazione” di un latitante, che recita un rosario dove
i misteri dolorosi sono quelli della passione di Cristo e i misteri
gioiosi (e non gaudiosi) i grandi delitti di mafia: De Mauro,
Scaglione, Impastato, Dalla Chiesa, Chinnici e Cassarà, la masculiata
di Capaci, ecc… L’opera è stata meditata dopo l’arresto del boss
di Brancaccio, nel cui covo sono stati trovati bibbie, immagini di
santi e altarini». La vicenda, che si volge durante la Settimana Santa,
oscilla tra sacro e profano in mezzo al quale scorre il sangue che come
un ossimoro accosta il sangue di Cristo al sangue delle vittime. E così
come una pennellata rossa, risultano forti le parole del mafioso
recitate dallo stesso Pirrotta: «A
mia mi piaci lu sangu! E lu sangu n’cà fazzu scurriri iu, cu è n’cà lu
po richiamari dintra li vini? Iu vogghiu viriri lu sangu, voggiu
astutari li cristiani comu cannili. Lu ciavuru di lu sangu d’un
mortu ammazzatu, pi mia è ciavuru di puisia». Nella fase di
scrittura di questo testo – rivela l’autore – è stato assillato da una
domanda che solo alla fine ha avuto una risposta: « Come si può leggere
il precetto di Gesù, ama il tuo nemico e subito dopo essere mandanti di
un omicidio? Il mafioso, attraverso la parola sacra, non vuole
avvicinarsi a Dio ma sostituirsi a Dio». Infatti il Dio invocato dal
latitante non è il Dio misericordioso ma quello sanguinario, della
vendetta.
Ma è in Sacre-Stie che «la parola si
veste di una sincerità spietata e provocatoria e sembra prendere corpo,
coinvolgendo i sensi». Con queste parole ha esordito la prof.ssa
Mariacarmela Crisafi, la quale chiede subito all’autore cosa si prova a
dover entrare nella mente di un pedofilo. E non scontata ma dal sapore
amaro, la risposta di Pirrotta, il quale rivela che è una realtà
atroce, che «lascia il vuoto dentro».
La prof.ssa Crisafi si sofferma
sul testo definendolo «dai toni forti e atroci, la storia di un uomo,
che impiega la vita a meditare la sua vendetta nei confronti di un
cardinale che in passato aveva abusato di lui, quando era solo un
bambino, e la cecità del cardinale, elemento catartico per il
protagonista, sarà invece il suo contrappasso. Innegabile nel testo il
riferimento a Edipo, anche se in questo caso il processo è inverso».
Rosa Maria Crisafi
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