Paese che vai…carnevale che trovi! Le maschere di Bagolino
Data: Sabato, 18 febbraio 2012 ore 09:20:00 CET
Argomento: Redazione


Anche quest’anno, a Misterbianco, non ci sarà il Carnevale! D’altronde, ormai, non è più una novità eclatante. Nei giorni scorsi un bizzarro manifesto murale comunicava che anche per il 2012 il paese dovrà fare…penitenza! Ma tant’è!
Ed allora meglio guardare altrove e festeggiare il re Burlone in terra lombarda, tra i boschi alpini, le fresche acque del Garda ed il fiume Mella! Perché anche da queste parti impazza il Carnevale, con frizzi, lazzi, cotillon…e tante tradizioni!
I proverbi bresciani ricordano che il Carnevale cominciava il 17 gennaio, giorno di Sant’Antonio Abate: “Sant’Antòne dé zenér, Sant’Antòne fritolér”, vale a dire, portatore di frittelle; la festa durava sino alla mezzanotte di martedì grasso che precedeva il mercoledì delle Ceneri.
La festa di Carnevale, in provincia di Brescia, da sempre, è stata influenzata dalle tradizioni veneziane. Da tali consuetudini, deriva anche il detto assai diffuso, “tagliare la testa al toro”, come dire, facciamola finita!
La locuzione affonda, appunto, nella vicenda di un giovedì grasso a Venezia in cui gli abitanti festeggiavano la vittoria della Repubblica su Ulrico, patriarca di Aquileia, devoto all’imperatore, il quale aveva fatto in modo che papa Adriano IV, emettesse una bolla per assegnare tutta la Dalmazia al Patriarcato di Grado. Il doge Vitale Michiel II, annientò il patriarca e i dodici feudatari ribelli che, condotti a Venezia, vennero poi rilasciati per intercessione del pontefice. I magistrati veneti chiesero, però, come risarcimento e memoria della vittoria, che ogni anno il patriarca di Aquileia, mandasse ai veneziani, nel giovedì grasso, un toro e dodici maiali ben pasciuti. Gli animali venivano custoditi, quindi, come prigionieri, in Palazzo Ducale, e venivano macellati per tutto il popolo. Da tale usanza e derivato appunto il detto, “tagliare la testa al toro”, cioè, togliere di mezzo gli ostacoli, risolvere in maniera definitiva il problema.
Ma sono tante le tradizioni carnascialesche a Brescia. Innanzitutto, c’è il Carnevale di Bagolino, d’un piccolo paese bresciano dall’aspetto medievale della Valle del Caffaro, famoso anche per i prodotti caseari (in particolare per il formaggio Bagòsso).
Il Carnevale di Bagolino (o carnevale Bagosso) risale almeno al XVI secolo, come documentato da scritti conservati nell’archivio comunale. Una deliberazione comunale del 1518 disponeva di ricompensare con una formaggio la Compagnia di Laveno che era intervenuta a rallegrare la festa di carnevale. La festa si articola in due manifestazioni distinte, animate rispettivamente dalle eleganti figure dei Balarì (ballerini e suonatori) e dalle figure grottesche dei Maschér (maschere).
I Balarì, che si esibiscono esclusivamente il lunedì ed il martedì di carnevale, rappresentano l’aspetto più spettacolare del carnevale Bagosso; essa si è imposta all’attenzione degli studi etnografici per la originalità delle musiche e per l’elegante complessità delle danze che vengono eseguite nelle strade e nelle piazze del paese. Il violino è lo strumento che detta la melodia conduttrice dei vari brani che compongono l’ampio repertorio musicale che accompagna i balli.
Molto caratteristici sono i costumi dei ballerini, a cominciare dal cappello in feltro interamente ricoperto da un lungo nastro rosso sapientemente ripiegato, ornato di ricami, di monili e di fettucce multicolori che formano un grande fiocco. Sulla fettuccia rossa sono cuciti accuratamente monili d’oro (catene, spille, orecchini, anelli etc...) di famiglia o presi in prestito. Per questo motivo, i “balarì” non si sibiscono all'aperto in caso di pioggia. Il filo bagnato, sollecitato dai salti e dai movimenti dei ballerini, rischierebbe di cedere, con grave rischio di perdere l’oro prestato. Il volto è nascosto da una maschera priva di espressione di color avorio, un tempo di tela e spalmata all'interno di cera (perché il sudore del ballerino non la bagnasse). Formano inoltre il costume un’ampia fascia di seta, posta a tracolla sulla spalla sinistra, che reca sontuosi ricami di fiori, passamanerie o inserti di pizzo all’uncinetto. Essa scende sul vestito scuro, con giacca e pantaloni ai ginocchi; sulle spalle è posto un grande scialle a frange che cade lungo la schiena e viene fissato sotto le spalline (questo particolare è apparso dopo il 1915). Completano il costume i guanti bianchi, le calze (anch’esse bianche, lavorate a mano con i 4 ferri, con motivi tutti differenti di trafori, nocciole, trecce e fermate al polpaccio da una passamaneria tessuta al telaio in loco) e le scarpe nere.
Le maschere, i maschér, hanno un carattere più popolano, riferendosi alla tradizione della burla carnevalesca consumata sempre mantenendo incognita la propria identità. I personaggi si muovono disordinatamente tra la folla, con maschere grottesche o paurose e zoccoli di legno che producono frastuono sul selciato delle vie; prendono di mira le persone che vogliono canzonare, toccandole nei genitali, usanza che ricorda antichi rituali di fertilità. Indossano i costumi, sia maschili che femminili, tipici della tradizione bagossa, di solito si muovono in coppia travestiti da vecio e vecia. A nascondere la identità dei maschér deve contribuire anche la goffa postura, la camminata strascicata e l’uso di una voce in falsetto. E mi sovvengono gli scherzi e la voce in falsetto delle mascherine con il dominò del nostro antico carnevale misterbianchese! È proprio vero, come diceva mia nonna, “tuttu ‘u munnu è paisi!”. Paese che vai, carnevale che trovi!

Angelo Battiato (inviato speciale a Brescia)
angelo.battiato@istruzione.it





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