Coordinamento Nazionale Bibliotecari Scolastici: Lettera aperta al Presidente incaricato Prof. Monti
Data: Giovedì, 17 novembre 2011 ore 04:00:00 CET Argomento: Comunicati
Chi conosce
l'Italia la conosce anche come terra di grandi studiosi e teorici
dell'educazione, dello sviluppo, dell'infanzia. I nomi dei grandi
pedagogisti italiani hanno contribuito, nei secoli, a delineare quella
pedagogia moderna che ha individuato nell'educatore competenze di ampio
raggio, dalla conoscenza dei processi cognitivi alle teorie
dell'apprendimento e dell'insegnamento, alla capacità di porsi nella
relazione con persone diverse per età e in ruoli diversificati
modulando di volta in volta linguaggi verbali e non, modelli
comunicativi, codice deontologico, schemi, relazioni, scopi e obiettivi.
La professionalità docente è quindi rappresentata da questa
variegata equipe di competenze, alla cui padronanza si arriva dopo anni
di studio e di training sul campo e non sempre con la certezza di
potere seguire percorsi di formazione lineari e coerenti con quanto
studiato e non viziati da questioni estranee al progetto educativo che
la scuola persegue.
Fino ad ora non sapevamo, noi i docenti degli anni '80 e '90, quanto
fossimo stati fortunati nel trovare scuole che, seppure con qualche
difficoltà logistica, ci hanno accolto e aiutato a formare quello
spirito pedagogico-didattico che oggi ci costringe ad indignarci
profondamente per le sorti della Scuola italiana. Abbiamo lavorato a
fianco di docenti ricchi di orgoglio professionale che ci hanno
trasmesso l'amore per questo lavoro e per gli alunni, il rispetto per
le gerarchie, l'amicizia con i colleghi, la cooperazione con il
personale ATA, la collaborazione con le famiglie, il senso della nostra
missione, la consapevolezza di una condizione economica accettabile
seppure inferiore alla media europea.
Cosa hanno trovato e continuano a trovare i nuovi docenti degli ultimi
10 anni? Una scuola decimata su tutti i fronti, in cui un profondo e
drammatico processo di impoverimento è derivato dall'involuzione
cui è stata costretta dai tagli epocali dell'uscente ministro
Gelmini.
Nel suo ministero la scuola italiana, quella di Gentile e di Maria
Montessori, è diventata solo una questione economica da far rientrare
nelle logiche di risparmio di una politica corrotta che per tutelare i
propri interessi ha stabilito di sanare il debito pubblico a scapito di
categorie facilmente attaccabili perché dipendenti da quello stesso
Stato che rappresentava.
Si è deciso così di avviare una diffamazione mediatica della scuola
italiana e della categoria dei docenti tutta centrata sui numeri
che, spogliati della loro storia di vita scolastica, hanno convinto chi
cercava sicurezze facili che a togliere tutti questi insegnanti e tutti
questi ATA ci poteva solo guadagnare e lo Stato ancora di più.
E l'Italia per 5 anni ci ha creduto -ha voluto crederci anche
durante legislatura - al punto che dobbiamo ricordare oggi i
bambini e le maestre di San Giuliano, i bambini
dell'alluvione di Genova, i tanti bambini e adolescenti vittime di
fenomeni di bullismo e quelli vittime di molestie, i bambini e le
bambine che si sono tolti la vita perché una pagella li ha terrorizzati
a tal punto da pensare di non essere più degni di vivere... e i tanti
ricorsi che hanno costretto genitori di bambini portatori di handicap a
rivendicare il diritto all'istruzione dei propri figli, privati del
docente di sostegno o accontentati con poche ore la settimana... le
migliaia di verbali di commissioni mediche dei docenti che si
sono ammalati nella scuola e per la scuola.
E il clima che si vive nelle scuole italiane ...cosa trova oggi un
docente? Come si porta oggi un docente nella scuola? Con un'infinita
stanchezza, l'autostima ferita da anni da precario ammucchiato in una
maleodorante sala del Provveditorato? ad elemosinare il posto
contendendolo con il raccomandato di turno.
Dopo anni di riduzione delle immissioni in ruolo nella scuola si è
arrivati alla formazione di un corpo docente di ex-precari il cui
benessere pisicofisico è stato profondamente minato da questi ultimi
anni di spasmodica attesa di un posto di lavoro e di perdita di quello
che seppure annuale, aveva cominciato a rappresentare una minima
certezza che si rinnovava quasi di anno in anno.
In quella continuità, seppure da precario, si riusciva comunque a
costruire una identità di docente e si alimentava la voglia di
migliorare, di formarsi, di crescere professionalmente.
Lo svilimento della figura del docente e della scuola tutta, portata
avanti dai ministeri interessati ai tagli lineari, dell'Economia per
primo e di conseguenza dell'Istruzione e della Pubblica
amministrazione, ha creato nel Paese la convinzione che la scuola sia
solo un peso economico da ammortizzare come luogo di baby-sitteraggio
per i propri figli, in cui far proliferare la diseducazione, la
piccola criminalità, l'ignoranza e la miseria emotiva, la stagnazione
cognitiva e il livellamento nel monopensiero del gruppo.
Il malessere della scuola italiana si rivela anche nei suoi aspetti
puramente materiali che vede una grande percentuale di scuole
regolarmente frequentate senza che le strutture rispondano alle regole
di sicurezza dovute, nelle quali, paradossalmente, si sta stipando una
quantità esasperata di utenza in risposta al dimensionamento della rete
pubblica scolastica. Il dimensionamento, ancora una volta, risponde
alla logica dei numeri per cui le scuole sono troppe, costano troppo e
devono essere eliminate, trascinando in questa elisione anche la
garanzia che gli studenti frequentino istituti a norma, con il numero
congruo di personale adibito alla custodia e alla vigilanza e con il
dovuto spazio opportunamente diversificato secondo le esigenze
dell'utenza.
Gli istituti comprensivi infatti, che rappresentano ormai
l'organizzazione-tipo della scuola italiana, potranno garantire quella
definizione di spazi necessariamente caratteristici tra i diversi
ordini di scuola che albergano al loro interno? Lo spazio dei piccoli e
dei piccolissimi sarà opportunamente distanziato da quello
di preadolescenti e adolescenti? A noi sembra, e lo vediamo già nei
comprensivi di vecchia data, che spesso questa distanza non è
rispettata, a tutto svantaggio dei piccoli che sono esposti a
comportamenti e situazioni fuorvianti per la loro delicata età e
pericolose nel momento in cui il disagio adolescenziale di alcuni
contesti socioambientali potrebbe individuare nei piccoli una
pericolosa valvola di sfogo. Su tutto questo la scuola tagliata è certa
di potere garantire sicurezza? L'unica cosa che è stata sotto gli occhi
di tutti è che con arroganza si è rincarata la dose arrivando alle
classi pollaio dove i nostri figli si ritrovano, in numero raddoppiato,
in quelle anguste stanzette dai muri sudici e ammuffiti, fra i banchi
lerci e schiodati senza una stufetta o un ventilatore (i condizionatori
neppure li pensiamo) con chiusure da antiquario, fra bagni presi
d'assalto dagli alunni fumatori e spesso impraticabili per le
discutibili condizioni igieniche. Ciò che è stato importante però, per
questi ministeri, era il taglio di posti per i docenti, la riduzione
delle classi, di qualche unità ATA, il risparmio di qualche imprecisata
cifra, stimata senza fornire né un prospetto di risparmio
previsto né un rendiconto effettivo di cosa sia cambiato.
E che dire delle conseguenze sul piano professionale ed umano? Ci
sono studi ormai decennali che hanno focalizzato l'attenzione sull'alta
percentuale di patologie professionali legate allo stress, che in
questi anni sono enormemente aumentate nel corpo docente e anche nel
personale ATA e non ultimo fra agli alunni e le famiglie vittime
di riflesso di un contesto scolastico privo di quella salubrità che un
tempo caratterizzava la scuola italiana.
Se fino ad ora il burnout dei docenti era riconducibile sicuramente al
potenziale logorante della funzione in sé che comporta
essenzialmente una vigilanza costante del proprio stato cognitivo e
psico-affettivo-relazionale alla ricerca di modi e processi con
cui interagire al massimo con i propri alunni e poi con i colleghi e le
famiglie; se fino ad ora si poteva aggiungere a tutto questo l'usura
delle corde vocali perché la docenza è un lavoro di parole, un parlare
che media idee e ne sollecita altre, oggi dobbiamo pensare che la causa
principale del burnout dei docenti e della scuola tutta sia la
precarietà. La riforma dei tagli epocali infatti ha investito, come una
colata lavica, tutta la scuola di PRECARIETA' in quanto ha minato
i principi pedagogici su cui si è fondata, rendendola debole e
vulnerabile e facilitando l'opera di un ministero che ha dimostrato di
non avere alcuna conoscenza e competenza pedagogica e che ha
continuato ad intervenire con motivazioni unicamente economiche.
Ancora una volta la questione dei numeri ha prevaricato la questione
della professionalità inaugurando quella squallida e macabra danza che
ha visto uno scambio di coppie tra docenti e assistenti amministrativi,
docenti tecnico-pratici e assistenti tecnici, dirigenti e DSGA,
avallando l'idea che queste professionalità siano interscambiabili
perché non specifiche, generiche e superficiali; creando un
profondissimo disagio in chi le ha subite e le subirà, in chi ha
vissuto in questi anni in uno stato di stress continuo per la
minaccia di sapersi a rischio nel proprio posto di lavoro e nella
propria professionalità. Perché una bieca logica dei numeri non
riconosce più la tutela del diritto alla salute e con un tratto di
penna guarisce un docente inidoneo trasformandolo in un assistente
amministrativo sano.
Contemporaneamente la stessa logica priva la scuola e gli studenti di
quelle figure ausiliarie –i bibliotecari, gli insegnanti utilizzati nei
laboratori e nei progetti- necessarie a un sapere articolato e al passo
coi tempi.
I docenti italiani chiedono quindi al nuovo Governo, confidando
nell'altissimo livello delle competenze che –si dice-
saranno chiamate in campo, di dedicare al mondo della
scuola quell'attenzione che gli è dovuta, assolvendolo dalla colpa di
dissipatore economico e restituendolo alla sua funzione più nobile, che
un glorioso passato di Italia libera e liberante ci mostra ancora come
strada da riprendere là dove l'avevamo persa.
Chiediamo quindi che il nuovo Governo valuti i nodi che abbiamo cercato
di evidenziare aprendo dei tavoli di confronto e di lavoro in cui tutti
i docenti italiani siano rappresentati e rappresentativi di istanze
unicamente rivolte al bene della scuola italiana e di tutto il
personale che vi opera, per il bene degli alunni e delle loro
famiglie perché da una scuola buona può nascere una buona coscienza e
da una buona coscienza nasce una buona capacità di discernimento,
perché solo questa ci potrà garantire di non ritrovarci mai più nella
situazione di smarrimento che il Paese sta vivendo.
Coordinamento
Nazionale Bibliotecari Scolastici
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