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Chi conosce l'Italia la conosce anche come terra  di grandi studiosi e teorici dell'educazione, dello sviluppo, dell'infanzia. I nomi dei grandi pedagogisti italiani hanno contribuito, nei secoli, a delineare quella pedagogia moderna che ha individuato nell'educatore competenze di ampio raggio, dalla conoscenza dei processi cognitivi alle teorie dell'apprendimento e dell'insegnamento, alla capacità di porsi nella relazione con persone diverse per età e in ruoli diversificati modulando di volta in volta linguaggi verbali e non, modelli comunicativi, codice deontologico, schemi, relazioni, scopi e obiettivi.
La professionalità docente è quindi  rappresentata da questa variegata equipe di competenze, alla cui padronanza si arriva dopo anni di studio e di training sul campo e non sempre con la certezza di potere seguire percorsi di formazione lineari e coerenti con quanto studiato e non viziati da questioni estranee al progetto educativo che la scuola persegue.
Fino ad ora non sapevamo, noi i docenti degli anni '80 e '90, quanto fossimo stati fortunati nel trovare scuole che, seppure con qualche difficoltà logistica, ci hanno accolto e aiutato a formare quello spirito pedagogico-didattico che oggi ci costringe ad indignarci profondamente per le sorti della Scuola italiana. Abbiamo lavorato a fianco di docenti ricchi di orgoglio professionale che ci hanno trasmesso l'amore per questo lavoro e per gli alunni, il rispetto per le gerarchie, l'amicizia con i colleghi, la cooperazione con il personale ATA, la collaborazione con le famiglie, il senso della nostra missione, la consapevolezza di una condizione economica accettabile seppure inferiore alla media europea.
Cosa hanno trovato e continuano a trovare i nuovi docenti degli ultimi 10 anni? Una scuola decimata su tutti i fronti, in cui un profondo e drammatico processo di impoverimento  è derivato dall'involuzione cui è stata costretta  dai tagli epocali dell'uscente ministro Gelmini.
Nel suo ministero la scuola italiana, quella di Gentile e di Maria Montessori, è diventata solo una questione economica da far rientrare nelle logiche di risparmio di una politica corrotta che per tutelare i propri interessi ha stabilito di sanare il debito pubblico a scapito di categorie facilmente attaccabili perché dipendenti da quello stesso Stato che rappresentava.
Si è deciso così di avviare una diffamazione mediatica della scuola italiana e della categoria dei docenti tutta centrata sui numeri  che, spogliati della loro storia di vita scolastica, hanno convinto chi cercava sicurezze facili che a togliere tutti questi insegnanti e tutti questi ATA  ci poteva solo guadagnare e lo Stato ancora di più.
 E l'Italia per 5 anni ci ha creduto -ha voluto crederci anche durante legislatura  - al punto che dobbiamo ricordare oggi i bambini  e le maestre di San Giuliano,  i bambini dell'alluvione di Genova, i tanti bambini e adolescenti vittime di fenomeni di bullismo e quelli vittime di molestie, i bambini e le bambine che si sono tolti la vita perché una pagella li ha terrorizzati a tal punto da pensare di non essere più degni di vivere... e i tanti ricorsi che hanno costretto genitori di bambini portatori di handicap a rivendicare il diritto all'istruzione dei propri figli, privati del docente di sostegno o accontentati con poche ore la settimana... le migliaia di verbali di commissioni mediche  dei docenti che si sono ammalati nella scuola e per la scuola.
E il clima che si vive nelle scuole italiane ...cosa trova oggi un docente? Come si porta oggi un docente nella scuola? Con un'infinita stanchezza, l'autostima ferita da anni da precario ammucchiato in una maleodorante sala del Provveditorato?  ad elemosinare il posto contendendolo con il raccomandato di turno.
Dopo anni di riduzione delle immissioni in ruolo nella scuola si è arrivati alla formazione di un corpo docente di ex-precari il cui benessere pisicofisico è stato profondamente minato da questi ultimi anni di spasmodica attesa di un posto di lavoro e di perdita di quello che seppure annuale, aveva cominciato a rappresentare una minima certezza che si rinnovava quasi di anno in anno.
In quella continuità, seppure da precario, si riusciva comunque a costruire una identità di docente e si alimentava la voglia di migliorare, di formarsi, di crescere professionalmente.
Lo svilimento della figura del docente e della scuola tutta, portata avanti dai ministeri interessati ai tagli lineari, dell'Economia per primo e di conseguenza dell'Istruzione e della Pubblica amministrazione, ha creato nel Paese la convinzione che la scuola sia solo un peso economico da ammortizzare come luogo di baby-sitteraggio per i propri figli,  in cui far proliferare la diseducazione, la piccola criminalità, l'ignoranza e la miseria emotiva, la stagnazione cognitiva e il livellamento nel monopensiero del gruppo.
Il malessere della scuola italiana si rivela anche nei suoi aspetti puramente materiali che vede una grande percentuale di scuole  regolarmente frequentate senza che le strutture rispondano alle regole di sicurezza dovute, nelle quali, paradossalmente, si sta stipando una quantità esasperata di utenza in risposta al dimensionamento della rete pubblica scolastica. Il dimensionamento, ancora una volta, risponde alla logica dei numeri per cui le scuole sono troppe, costano troppo e devono essere eliminate, trascinando in questa elisione anche la garanzia che gli studenti frequentino istituti a norma, con il numero congruo di personale adibito alla custodia e alla vigilanza e con il dovuto spazio opportunamente diversificato secondo le esigenze dell'utenza.
Gli istituti comprensivi infatti, che rappresentano ormai l'organizzazione-tipo della scuola italiana, potranno garantire quella definizione di spazi necessariamente caratteristici tra i diversi ordini di scuola che albergano al loro interno? Lo spazio dei piccoli e dei piccolissimi  sarà opportunamente  distanziato da quello di preadolescenti e adolescenti? A noi sembra, e lo vediamo già nei comprensivi di vecchia data, che spesso questa distanza non è rispettata, a tutto svantaggio dei piccoli che sono esposti a comportamenti  e situazioni fuorvianti per la loro delicata età e pericolose nel momento in cui il disagio adolescenziale di alcuni contesti socioambientali potrebbe individuare nei piccoli una pericolosa valvola di sfogo. Su tutto questo la scuola tagliata è certa di potere garantire sicurezza? L'unica cosa che è stata sotto gli occhi di tutti è che con arroganza si è rincarata la dose arrivando alle classi pollaio dove i nostri figli si ritrovano, in numero raddoppiato, in quelle anguste stanzette dai muri sudici e ammuffiti, fra i banchi lerci e schiodati senza una stufetta o un ventilatore (i condizionatori neppure li pensiamo) con chiusure da antiquario, fra bagni presi d'assalto dagli alunni fumatori e spesso impraticabili per le discutibili condizioni igieniche. Ciò che è stato importante però, per questi ministeri, era il taglio di posti per i docenti, la riduzione delle classi, di qualche unità ATA, il risparmio di qualche imprecisata cifra, stimata senza  fornire né un prospetto di risparmio previsto né un rendiconto effettivo di cosa sia cambiato.
E che dire delle conseguenze sul piano  professionale ed umano? Ci sono studi ormai decennali che hanno focalizzato l'attenzione sull'alta percentuale di patologie professionali legate allo stress, che in questi anni sono enormemente aumentate nel corpo docente e anche nel personale ATA e non ultimo fra agli alunni  e le famiglie vittime di riflesso di un contesto scolastico privo di quella salubrità che un tempo caratterizzava la scuola italiana.
Se fino ad ora il burnout dei docenti era riconducibile sicuramente al potenziale logorante della funzione  in sé che comporta essenzialmente una vigilanza costante del proprio stato cognitivo e psico-affettivo-relazionale  alla ricerca di modi e processi con cui interagire al massimo con i propri alunni e poi con i colleghi e le famiglie; se fino ad ora si poteva aggiungere a tutto questo l'usura delle corde vocali perché la docenza è un lavoro di parole, un parlare che media idee e ne sollecita altre, oggi dobbiamo pensare che la causa principale del burnout dei docenti e della scuola tutta sia la precarietà. La riforma dei tagli epocali infatti ha investito, come una colata lavica, tutta la scuola di PRECARIETA' in quanto  ha minato i principi pedagogici su cui si è fondata, rendendola debole e vulnerabile e facilitando l'opera di un ministero che ha dimostrato di non avere alcuna  conoscenza e competenza pedagogica e che ha continuato ad intervenire con motivazioni unicamente economiche.
Ancora una volta la questione dei numeri ha prevaricato la questione della professionalità inaugurando quella squallida e macabra danza che ha visto uno scambio di coppie tra docenti e assistenti amministrativi, docenti tecnico-pratici e assistenti tecnici, dirigenti e DSGA, avallando l'idea che queste professionalità siano interscambiabili perché non specifiche, generiche e superficiali; creando un profondissimo disagio in chi le ha subite e le subirà, in chi ha vissuto in questi anni in uno stato di stress continuo per la minaccia  di sapersi a rischio nel proprio posto di lavoro e nella propria professionalità. Perché una bieca logica dei numeri non riconosce più la tutela del diritto alla salute e con un tratto di penna guarisce un docente inidoneo trasformandolo in un assistente amministrativo sano.
Contemporaneamente la stessa logica priva la scuola e gli studenti di quelle figure ausiliarie –i bibliotecari, gli insegnanti utilizzati nei laboratori e nei progetti- necessarie a un sapere articolato e al passo coi tempi.
I docenti italiani chiedono quindi al nuovo Governo, confidando nell'altissimo livello delle competenze che –si dice-  saranno  chiamate in campo, di dedicare  al mondo della scuola quell'attenzione che gli è dovuta, assolvendolo dalla colpa di dissipatore economico e restituendolo alla sua funzione più nobile, che un glorioso passato di Italia libera e liberante ci mostra ancora come strada da riprendere là dove l'avevamo persa.
Chiediamo quindi che il nuovo Governo valuti i nodi che abbiamo cercato di evidenziare aprendo dei tavoli di confronto e di lavoro in cui tutti i docenti italiani siano rappresentati e rappresentativi di istanze unicamente rivolte al bene della scuola italiana e di tutto il personale che vi opera, per il bene degli alunni  e delle loro famiglie perché da una scuola buona può nascere una buona coscienza e da una buona coscienza nasce una buona capacità di discernimento, perché solo questa ci potrà garantire di non ritrovarci mai più nella situazione di smarrimento che il Paese sta vivendo.

Coordinamento Nazionale Bibliotecari Scolastici
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conbs@libero.it








Postato il Giovedì, 17 novembre 2011 ore 04:00:00 CET di Pasquale Almirante
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