Il ministro, la scuola e i giovani dei movimenti
Data: Lunedì, 17 ottobre 2011 ore 19:59:49 CEST
Argomento: Rassegna stampa


Dopo anni di beata innocenza, il ministro dell’Istruzione ha candidamente ammesso nei giorni scorsi che “con i tagli non si governa”. Le parole di Maria Stella Gelmini sono suonate tardive, perché giunte dopo un triennio di “risparmi e razionalizzazioni” – ben otto miliardi e oltre 130 mila dipendenti della scuola pubblica mandati a spasso a partire dal 2008 – riforme epocali che anziché rinnovare il sistema formativo e universitario lo hanno reso più debole ed esposto alla concorrenza della scuola privata, finanziata e agevolata, invece, da fiumi di risorse da parte dello Stato centrale e delle Regioni.
Il ministro però, al di là delle belle intenzioni, non recede neppure di un passo: guai a sconfessare le politiche inefficienti di questi ultimi anni volte soltanto a prosciugare gli organici e a stravolgere i quadri disciplinari nelle scuole secondarie superiori!
La Gelmini non può chiamarsi fuori da un progetto che lei non solo non ha subito, ma ha ampiamente condiviso e partecipato a realizzare. E’ riuscita in appena tre anni, da quando siede sulla poltrona più importante di Viale Trastevere, a scontentare tutti: insegnanti, famiglie, studenti medi e universitari, comunità scientifiche e rettori. Su una cosa la Gelmini ha però ragione, quale riforma in tempi di crisi risulta indolore?

Questo è vero, ma forse la capacità di un governo e dei suoi ministri si misura proprio nei momenti più difficili: anziché chiamare tutte le forze produttive e sane che operano nel sistema scolastico e universitario per condividere insieme un progetto in cui ciascuno, davanti alle difficoltà del momento, si assuma le proprie responsabilità, ha preferito le provocazioni, le illazioni sugli insegnanti ideologizzati e poco preparati, sui bidelli sfaticati più numerosi dei carabinieri: un corollario di insulti che non hanno sicuramente agevolato la coesione all’interno del mondo della scuola.

Troppo tardi il ministro Gelmini si è resa conto del problema-dramma del precariato. E se ne è resa conto solo adesso, nell’epoca del berlusconismo decadente con un governo che scricchiola e una maggioranza che fa acqua da tutte le parti. Eppure il fenomeno precariato – una piaga della società – tra i giovani viene da lontano, ma l’esecutivo era impegnato a fronteggiare ben altre situazioni.

Le cifre parlano chiaro: nel nostro Paese oltre due milioni di persone, in maggior parte giovani, ma non solo, sono inchiodati a un impiego a tempo determinato, interinale, a progetto, a chiamata, somministrato, una serie di nomi e di sigle quasi infinita. Molti lavorano nel sommerso e oltre che precari sono invisibili, senza uno straccio di contributi per la pensione.

Il popolo dei precari è oggi un esercito che non riguarda i trentenni, ma coinvolge chi ancora siede tra i banchi della scuola superiore, tutti consapevoli di un mercato del lavoro avaro di opportunità, dove le situazioni di sfruttamento incominciano a diventare frequenti e insopportabili.

Come eredità lascerà, però, una scuola impoverita di stimoli e di risorse, più debole nell’affrontare le sfide sociali e culturali che verranno.
I giovani, compresi quelli che pacificamente hanno sfilato a Roma sabato ritmando lo slogan “Save the school not bank”, hanno capito ben prima del titolare dell’istruzione e degli altri ministri del governo Berlusconi qual è la scommessa da affrontare per uscire da questo deserto.

di Caterina Pes da Pd






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