Provincia che va…scuola che trovi?
Data: Giovedì, 15 settembre 2011 ore 11:32:39 CEST
Argomento: Redazione


In principio erano le comarche e le valli… In Sicilia, c’erano 42 comarche, corrispondenti alle città demaniali, e 3 Valli (val Demone, val di Noto e val di Mazara). Nello Stato sabaudo preunitario, invece, l’ordinamento provinciale era stato definito dal Regio Decreto Rattazzi che, sul modello francese, aveva stabilito l'organizzazione del territorio in Province, Circondari, Mandamenti e Comuni. La provincia nasceva, quindi, come Ente locale dotato di propria rappresentanza elettiva e di un’amministrazione autonoma: un collegio deliberante (il Consiglio provinciale) e di un organo esecutivo (la Deputazione Provinciale), presieduta dal Governatore, poi Prefetto, di nomina regia.
Nel 1865, la legge Lanza stabilì un nuovo ordinamento per le province, che venivano governate dalla Deputazione, costituita da 10 membri, eletti dal Consiglio provinciale e dal Prefetto che "la presiede e la convoca". Nel 1889, con il primo di una serie di testi unici, venne introdotto il principio elettivo nella nomina del presidente della Deputazione provinciale (già di diritto il Prefetto); gli organi della Provincia venivano così ad essere: il Consiglio, la Deputazione, il presidente della Deputazione. Inoltre, veniva fissata in cinque anni la durata del Consiglio, con un rinnovo annuale di un quinto dei Consiglieri, determinati per sorteggio (il suffragio amministrativo per censo era, ancora, molto ristretto); la Deputazione si rinnovava invece di metà ogni anno.
Nel 1898 la durata del Consiglio veniva portata a sei anni, con rinnovo triennale di metà dei Consiglieri, scelti per sorteggio. La Deputazione si rinnovava invece per intero ogni tre anni. La principale riforma dell’istituto della Provincia venne con il testo unico della legge comunale e provinciale del 1915. Il Consiglio e la Deputazione venivano da allora eletti integralmente ogni quattro anni. Con l’art. 14, inoltre, il suffragio universale maschile (già introdotto, dal 1914, alle elezioni politiche) venne esteso alle elezioni amministrative.
L’elettorato attivo veniva concesso a tutti i cittadini maschi, maggiori di 30 anni (inclusi gli analfabeti), mentre per i 21 – 30enni, permanevano le condizioni di censo, istruzione e servizio militare per l’accesso al voto. Il testo unico del 1915 raccoglieva un’evoluzione trentennale, che vedeva il sistema amministrativo italiano distaccarsi dallo schema napoleonico.
Il regime fascista, con la sua tendenza accentratrice, abolì il criterio elettivo nella formazione degli organi provinciali. Consiglio e Deputazione vennero, così, sostituiti dal Rettorato (di 4, 6 o 8 rettori in base alla popolazione provinciale) e dal Preside, di nomina regia, che accentrava le competenze della Deputazione e del suo Presidente. Nel dopoguerra viene adottato il suffragio universale, maschile e femminile, anche a livello provinciale, grazie al Decreto Legislativo Luogotenenziale n. 23 del 1º febbraio 1945.
Le Province vennero ricostituite lentamente in senso democratico: prima con il ripristino delle delegazioni (1945), quindi, con la ricomparsa dei Consigli Provinciali (1951). La Legge n. 122/1951 fissava a 45 il numero dei consiglieri provinciali e ad 8 (più 2 supplenti) i membri della Giunta provinciale, che sostituiva la Delegazione come organo esecutivo.
Il Presidente della Provincia, eletto dal Consiglio tra i suoi componenti, ricopriva sia la carica di presidente del Consiglio provinciale, che quella di presidente della Giunta.
Un importante intervento legislativo di riforma degli enti locali venne con la Legge n. 142/1990: per la prima volta i Comuni e le Province potevano adottare un proprio Statuto ed istituire regolamenti. Nello Statuto vengono stabilite le norme fondamentali di organizzazione dell’ente e le attribuzioni degli organi, l’ordinamento degli uffici e dei servizi pubblici, le forme di collaborazione tra comuni e province, di partecipazione popolare, di decentramento, di accesso dei cittadini alle informazioni ed ai provvedimenti amministrativi.
La legge n. 81 del 25 marzo 1993 stabilì, infine, l’elezione diretta dei presidenti di provincia e dei sindaci. L’ultima direttiva emanata sugli enti locali è venuta con il Testo Unico sull’ordinamento delle autonomie locali (Legge n. 267/2000).
E siamo ai giorni nostri…Adesso si parla tanto di togliere le province, di abolire le amministrazioni provinciali, rei di sprechi e di inutili e dannosi intrecci burocratici, responsabili, soprattutto, di inconcludenti ed inefficaci compiti amministrativi. Sarà vero!
Anche noi siamo per l’abolizione delle province: elefantiache strutture burocratiche che, tra l’altro, hanno pochissime funzioni utili alla collettività.
Ma non vorremmo che si creino delle “fotocopie”, dei duplicati dell’ente; già, infatti, si parla di nuove entità territoriali (aree metropolitane, aree consortili tra Comuni), pronti a sostituire le vecchie “care” province italiane.
E dalle provincie che vanno, alle scuole, il passo…potrebbe essere breve! Non vorremmo che l’enorme massa impiegatizia di ben 110 province d’Italia, trasferisca armi e bagagli alla corte del ministro Gelmini, in viale Trastevere, per poi essere riversata nei già stracolmi e ingolfati corridoi delle nostre scuole. Sarebbe un dramma “epocale” per tutti. Per i docenti e, soprattutto, per gli studenti.
Come dire, oltre al danno la beffa, “curnuti e mazziati”. Come sempre, d’altronde!

Angelo Battiato (inviato speciale a Brescia)
angelo.battiato@istruzione.it





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