In principio erano
le comarche e le valli… In Sicilia, c’erano 42 comarche, corrispondenti
alle città demaniali, e 3 Valli (val Demone, val di Noto e val di
Mazara). Nello Stato sabaudo preunitario, invece, l’ordinamento
provinciale era stato definito dal Regio Decreto Rattazzi che, sul
modello francese, aveva stabilito l'organizzazione del territorio in
Province, Circondari, Mandamenti e Comuni. La provincia nasceva,
quindi, come Ente locale dotato di propria rappresentanza elettiva e di
un’amministrazione autonoma: un collegio deliberante (il Consiglio
provinciale) e di un organo esecutivo (la Deputazione Provinciale),
presieduta dal Governatore, poi Prefetto, di nomina regia.
Nel 1865, la legge Lanza stabilì un nuovo ordinamento per le province,
che venivano governate dalla Deputazione, costituita da 10 membri,
eletti dal Consiglio provinciale e dal Prefetto che "la presiede e la
convoca". Nel 1889, con il primo di una serie di testi unici, venne
introdotto il principio elettivo nella nomina del presidente della
Deputazione provinciale (già di diritto il Prefetto); gli organi della
Provincia venivano così ad essere: il Consiglio, la Deputazione, il
presidente della Deputazione. Inoltre, veniva fissata in cinque anni la
durata del Consiglio, con un rinnovo annuale di un quinto dei
Consiglieri, determinati per sorteggio (il suffragio amministrativo per
censo era, ancora, molto ristretto); la Deputazione si rinnovava invece
di metà ogni anno.
Nel 1898 la durata del Consiglio veniva portata a sei anni, con rinnovo
triennale di metà dei Consiglieri, scelti per sorteggio. La Deputazione
si rinnovava invece per intero ogni tre anni. La principale riforma
dell’istituto della Provincia venne con il testo unico della legge
comunale e provinciale del 1915. Il Consiglio e la Deputazione venivano
da allora eletti integralmente ogni quattro anni. Con l’art. 14,
inoltre, il suffragio universale maschile (già introdotto, dal 1914,
alle elezioni politiche) venne esteso alle elezioni amministrative.
L’elettorato attivo veniva concesso a tutti i cittadini maschi,
maggiori di 30 anni (inclusi gli analfabeti), mentre per i 21 – 30enni,
permanevano le condizioni di censo, istruzione e servizio militare per
l’accesso al voto. Il testo unico del 1915 raccoglieva un’evoluzione
trentennale, che vedeva il sistema amministrativo italiano distaccarsi
dallo schema napoleonico.
Il regime fascista, con la sua tendenza accentratrice, abolì il
criterio elettivo nella formazione degli organi provinciali. Consiglio
e Deputazione vennero, così, sostituiti dal Rettorato (di 4, 6 o 8
rettori in base alla popolazione provinciale) e dal Preside, di nomina
regia, che accentrava le competenze della Deputazione e del suo
Presidente. Nel dopoguerra viene adottato il suffragio universale,
maschile e femminile, anche a livello provinciale, grazie al Decreto
Legislativo Luogotenenziale n. 23 del 1º febbraio 1945.
Le Province vennero ricostituite lentamente in senso democratico: prima
con il ripristino delle delegazioni (1945), quindi, con la ricomparsa
dei Consigli Provinciali (1951). La Legge n. 122/1951 fissava a 45 il
numero dei consiglieri provinciali e ad 8 (più 2 supplenti) i membri
della Giunta provinciale, che sostituiva la Delegazione come organo
esecutivo.
Il Presidente della Provincia, eletto dal Consiglio tra i suoi
componenti, ricopriva sia la carica di presidente del Consiglio
provinciale, che quella di presidente della Giunta.
Un importante intervento legislativo di riforma degli enti locali venne
con la Legge n. 142/1990: per la prima volta i Comuni e le Province
potevano adottare un proprio Statuto ed istituire regolamenti. Nello
Statuto vengono stabilite le norme fondamentali di organizzazione
dell’ente e le attribuzioni degli organi, l’ordinamento degli uffici e
dei servizi pubblici, le forme di collaborazione tra comuni e province,
di partecipazione popolare, di decentramento, di accesso dei cittadini
alle informazioni ed ai provvedimenti amministrativi.
La legge n. 81 del 25 marzo 1993 stabilì, infine, l’elezione diretta
dei presidenti di provincia e dei sindaci. L’ultima direttiva emanata
sugli enti locali è venuta con il Testo Unico sull’ordinamento delle
autonomie locali (Legge n. 267/2000).
E siamo ai giorni nostri…Adesso si parla tanto di togliere le province,
di abolire le amministrazioni provinciali, rei di sprechi e di inutili
e dannosi intrecci burocratici, responsabili, soprattutto, di
inconcludenti ed inefficaci compiti amministrativi. Sarà vero!
Anche noi siamo per l’abolizione delle province: elefantiache strutture
burocratiche che, tra l’altro, hanno pochissime funzioni utili alla
collettività.
Ma non vorremmo che si creino delle “fotocopie”, dei duplicati
dell’ente; già, infatti, si parla di nuove entità territoriali (aree
metropolitane, aree consortili tra Comuni), pronti a sostituire le
vecchie “care” province italiane.
E dalle provincie che vanno, alle
scuole, il passo…potrebbe essere breve! Non vorremmo che l’enorme massa
impiegatizia di ben 110 province d’Italia, trasferisca armi e bagagli
alla corte del ministro Gelmini, in viale Trastevere, per poi essere
riversata nei già stracolmi e ingolfati corridoi delle nostre scuole.
Sarebbe un dramma “epocale” per tutti. Per i docenti e, soprattutto,
per gli studenti.
Come dire, oltre al danno la beffa,
“curnuti e mazziati”. Come sempre, d’altronde!
Angelo
Battiato (inviato speciale a Brescia)
angelo.battiato@istruzione.it