Compiti nelle vacanze? No, grazie. Neppure durante l’anno. Esame ragionato della loro inutilità (Parte seconda)
Data: Venerdì, 01 luglio 2011 ore 07:00:00 CEST
Argomento: Redazione


 Mi ritengo molto fortunato perché non ho mai fatto i compiti a casa, né durante gli anni scolastici né tantomeno durante le vacanze. Ai miei tempi (negli anni 50), alle elementari c’era il doposcuola pomeridiano dei salesiani. Alle medie ero già in collegio. All’università studiavo nelle biblioteche romane, a prescindere dalle stagioni. Posso dire che a casa mia non ho mai studiato, ma lì ho imparato tanto. La mia vera scuola è stata la mia famiglia (e la strada del mio quartiere di periferia), anche se il “preside”, mio padre, non aveva passato neppure un giorno sui banchi scolastici. Poi da docente, siccome nessuno mi aveva insegnato ad insegnare, mi sono ispirato a quei maestri che mi avevano “segnato” ed  ho appreso (anche per contrasto) dai dirigenti scolastici e colleghi durante 4 decenni.
Fin da primo anno, ho rifiutato istintivamente la scuola della ripetizione disapprovando gli alunni che imparavano a memoria (allora si usava tanto!) parti dei libri di testo o addirittura i miei appunti ciclostilati di filosofia o le mappe concettuali di storia. Ho iniziato anche ad avere in antipatia l’assillo del programma da svolgere ed ho orientato la mia didattica al raggiungimento di un valido metodo di studio, possibilmente personalizzato per ogni alunno. “Non multa sed multum”,  non studiare molte cose, ma molto bene (Quintiliano, Instit., X, I, 59). Uno degli obiettivi costanti cominciò ad essere quello di mirare ad ottenere l’interesse e la simpatia - non alla mia personale mediazione culturale – ma alla disciplina oggetto di studio.
     Nel secondo decennio di docenza ebbi modo di capire il significato della inutilità dei compiti per casa. Non eravamo in tempi di PC (personal computer) ma nel liceo classico e scientifico dove mi trovavo  regnava sovrano la PCI (premiata copisteria internazionale). A crocchi gli alunni si copiavano l’un l’altro i compiti assegnati sia nelle lingue antiche del Mediterraneo che quelli attinenti alle moderne matematiche e scienze. Molti, addirittura, per evitare oppressioni familiari andavano dicendo che tanti professori non assegnavamo più compiti per casa. La cosa era vera solo in parte perché, me compreso, volevamo l’autonomia e la responsabilità nell’affrontare lo studio pre-universitario da parte dei discenti. Il punto di partenza basilare in ciò era che l’alunno doveva  farsi un pigidìo così durante le lezioni per apprendere il massimo e oltre. Oportet studuisse, metodo preventivo come voleva don Bosco. Conseguentemente, se a casa l’alunno voleva ancora continuare liberamente ad approfondire di sua iniziativa il lavoro culturale del mattino, ok. Vuol dire che voleva puntare molto in alto nella vita. Scattava cioè l’interesse allo studio, come una inquietudine agostiniana. E si sostituiva il luogo comune “Ho finito di studiare, ho fatto i compiti”, con quello più significativo: “Sono stanco di studiare.  Per oggi, chiudo”.
     L’anno scorso i compiti estivi per i miei alunni del biennio hanno avuto questo slogan: “Parlate con i vostri genitori!”. Per questa estate 2011 invece, alle prime classi del liceo artistico gelminiano,  ho assegnato come compito unico l’antico motto latino del Vecchio Plinio “Nulla dies sine linea”, nessun giorno senza una linea (Storia Nat., 35). La frase veniva riferita al celebre pittore Apelle, che non lasciava passar giorno senza tratteggiare col pennello qualche linea. Oggi, queste parole valgono per tutti quelli che, con l’esercizio costante della propria arte, del proprio lavoro e della propria ragione, osservano il mondo e tentano di capirlo (persino oziando nel “meriggiare pallido e assorto” come ricordava bene il prof. Palumbo in questo sito).  La necessità dell’esercizio quotidiano per raggiungere la perfezione e per progredire in qualcosa  diventa  un imperativo categorico kantiano. Che tristezza assegnare compiti per le vacanze e sapere dai ragazzi che li hanno fatti (copiati!) in settembre qualche giorno prima della ripresa delle lezione. In valigia perciò non si devono mettere libri perché, (questa volta è Fedro che sentenzia): “Homo doctus in se semper divitias habet...
     Era il 1969, mi trovavo universitario a Roma, e il ministro della P.I. Aggradi (come ho documentato nella prima parte di questo post) emanava una importante circolare sui “compiti”. Le motivazioni che lo spingevano allora a “bacchettare” gli insegnanti troppo esigenti sono attuali ancora oggi: “Il tempo libero può avere una funzione estremamente educativa - spiega il ministero - rappresenta momenti in cui i giovani possono dedicarsi ad attività ricreative, artistiche, sportive che concorrono alla crescita e alla formazione dell’individuo. Non deve accadere che i libri di testo prevalgano sulla percezione del mondo esterno che ogni studente deve aver modo di cogliere e di elaborare, libero dell’ambito scolastico. Vanno inoltre preservati quegli spazi, che rappresentano spesso uno dei rari momenti di incontro senza impegni tra genitori e figli”.
     Come fare con gli alunni figli della “rete”, quando la scuola è ancora quella del secolo scorso? L'ideale sarebbe poter restare in contatto sulla rete anche d'estate, rafforzando la "partnership informale". Io cerco di farlo utilizzando “Faccialibro” ma rimanendo sempre offline e mai in chat. Contatto gli alunni e chiedo loro a che punto di inquietudine sono rispetto al loro progetto di vita culturale. Durante l’anno ho chiesto ad ognuno di farmi la lista dei loro libri (non-scolastici) che hanno già a casa. Ora per ciascuno do un suggerimento per una libera e tranquilla lettura. Senza comprare nulla, ma utilizzando i libri di loro proprietà e ancora mai letti.
     "I compiti non dovrebbero mai essere vissuti come una "punizione" - dice Giuseppe Bertagna, docente di pedagogia e interlocutore privilegiato di più di una riforma scolastica - mentre invece in Italia troppo spesso si privilegia il programma rispetto alla crescita educativa". Compito o computo è un participio passato dal verbo computare (non viene da compiere). E da computare viene anche computer. Allora assegnare compiti è invitare a tenere acceso il proprio PC, e possibilmente spenta certa TV. E buone vacanze anche a Professori e Genitori!

Giovanni Sicali
giovannisicali@gmail.com






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