Atto normativo urgente-le ragioni del movimento contro il pettine
Data: Giovedì, 02 giugno 2011 ore 20:20:46 CEST
Argomento: Opinioni


Lettere in redazione
Ogni giorno noi docenti fatichiamo nelle classi per aiutare i nostri studenti a superare le piccole e grandi difficoltà che la vita presenta loro, convinti che insegnare non significhi solo trasmettere conoscenze, ma guidare gli alunni attraverso quel percorso che li porterà a realizzare pienamente se stessi. Tra i valori che trasmettiamo, si collocano al primo posto la lealtà e il rispetto, ma inizia a insinuarsi un dubbio in noi: il rispetto rappresenta ancora un valore?
La domanda nasce da una semplice constatazione: noi docenti ci siamo iscritti ad una graduatoria “ad esaurimento”, disciplinata da una legge dello Stato, la Legge 296/2006, nota anche come Legge Fioroni. In base a tale legge abbiamo preso delle decisioni, che non investivano solo la sfera professionale, ma anche la dimensione personale, familiare, che, immaginavamo, tale legge avrebbe garantito e tutelato assieme alla nostra scelta professionale. Ora, a soli 5 anni di distanza, vediamo le vite nostre e delle nostre famiglie appese a un filo: la certezza occupazionale che avevamo, e che era garantita dalla legge che abbiamo rispettato, è stata intaccata da provvedimenti e ricorsi di colleghi che, spinti da esigenze personali, hanno aspirato a sovvertire il contenuto e la ragione d’essere della legge medesima fin tanto da riuscire nel loro intento ottenendo la possibilità di trasferirsi. Da molte parti sentiamo dire che il diritto alla mobilità territoriale è sacrosanto e che è un diritto, per i docenti che hanno maturato competenze date da studio e servizio, ottenere il lavoro a tempo indeterminato a cui ambiscono. Si dice che questo sistema si chiama “meritocrazia”. Non voglio entrare in facili quanto sterili polemiche circa l’ottenimento del punteggio, voglio spostare l’attenzione su un altro aspetto: il diritto di un docente a trasferirsi vale più del diritto di un collega a lavorare dove è nato o dove ha a suo tempo deciso di andare a lavorare? In Italia sembra di sì, sembra che ci sia qualcuno che è più “uguale” di altri, sebbene questi “altri” siano proprio coloro che hanno agito nel rispetto della legge. L’origine della problematica mette radici in un ambiente che non è di diretta competenza degli insegnanti: la politica dei tagli esula infatti dall’ambito d’interevento del docente, che si trova ad esserne semplicemente vittima, al sud, quanto al centro e al nord. La soluzione alle problematiche occupazionali è stata vista, da alcuni colleghi, nella pratica del ricorso, finalizzato a garantire a se stessi la possibilità di spostarsi laddove le graduatorie sembravano più abbordabili rispetto al punteggio posseduto. Mai nessuno di questi docenti ha pensato che il suo gesto sarebbe andato a ledere le aspettative, i progetti, le vite dei colleghi? A nessuno è venuto in mente che quei nomi sulle graduatorie corrispondono a persone, che magari hanno famiglia, bambini piccoli, affitti o mutui da pagare? No: i colleghi sono stati considerati alla stregua di nullità da calpestare senza remore. Ebbene, è giunto il tempo che le “nullità” facciano sentire la propria voce, difendano a chiare lettere i loro diritti, che sono appunto diritti stabiliti dalla legge (L. 296) e non privilegi. A tutela di queste persone è stata proposta, dal sen. Pittoni, l’assegnazione di un bonus punti, attribuibile a tutti coloro che da anni lavorano nel medesimo contesto territoriale, dove, magari non vi sono semplicemente nati, ma hanno deciso, con sacrificio, di andarvi a risiedere. Il bonus punti è una sorta di “vaccinazione”, che renderebbe i docenti meno vulnerabili rispetto agli effetti nefasti dei trasferimenti. Nessuno può obiettare che il bonus punti sia immorale, dato che ha la finalità di impedire che persone oneste e rispettose delle leggi diventino vittime di situazioni problematiche che non hanno causato né direttamente né indirettamente. Nessuno può nemmeno obiettare che il bonus sia incostituzionale, dal momento che non verrebbe riservato solo ad alcuni, ma a tutti coloro i quali riconfermeranno la propria scelta professionale. A chi obietta dicendo che sarebbe da attribuire un bonus a chi decide si trasferirsi perché dovrebbe sacrificare gli affetti e sobbarcarsi l’onere economico dell’affitto, rispondo che i sacrifici, economici o personali, li facciamo tutti, a sud come al centro-nord, indistintamente.
A conclusione della riflessione sorge però spontanea una domanda: a cosa serve il rispetto? In Italia assistiamo troppo di frequente a situazioni in cui chi non rispetta la legge viene, prima o poi, “condonato”. Chi esporta all’estero i capitali, può usufruire di un condono, chi costruisce abusivamente, può beneficiare di condoni, chi non vuole rispettare la legge che disciplina le graduatorie può sperare in una sorta di “condono” perseguito con la strategia dei ricorsi. Del resto l’Italia è la patria del motto “fatta la legge, trovato l’inganno”… Vogliamo questo per il nostro Paese? Vogliamo che continui a essere la patria di coloro che, al posto di rispettare le regole, preferiscono che vengano riscritte? Ma che tipo di insegnamento può dare tutto ciò? I nostri studenti sempre più spesso credono che per diventare “qualcuno” basti essere abili nel calciare un pallone o possedere un bel fisico; concetti quali studio, sacrificio, dedizione, passione, sono assenti dal loro vocabolario. Ora per di più vedranno i loro insegnanti rischiare di perdere il posto a favore di chi al posto del rispetto delle regole ha preferito il loro sovvertimento. Cosa dedurranno da ciò? Semplice: che per ottenere ciò che si vuole non servono il rispetto verso la legge e la lealtà verso gli altri, ma che tutto è lecito, anche calpestare i diritti e le vite altrui. Cogliamo dunque oggi, festa della nostra Repubblica “fondata sul lavoro” l’occasione per dare un messaggio diverso ai nostri giovani.
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