La scuola dell'autonomia come bene collettivo
Data: Mercoledì, 23 marzo 2011 ore 11:15:00 CET
Argomento: Rassegna stampa


Come molte delle riforme “strategiche” che sono state adottate nel nostro Paese, anche l’autonomia scolastica appare, ad oltre un decennio dalla sua introduzione, una riforma dimezzata. Ha giocato in realtà un ruolo importante nella storia scolastica degli ultimi anni: vissuta come metariforma, più che come riforma in senso stretto, ha di fatto consentito alle scuole di fronteggiare, in modo sia pure non sempre organico e tempestivo, una realtà via via più complessa e in rapida trasformazione.
Così la scuola secondaria superiore ha, nel tempo, differenziato e articolato la propria offerta formativa con una miriade di sperimentazioni, tentando di rispondere alle richieste dell’utenza da un lato e alle esigenze del mercato del lavoro dall’altro; mentre, nella nostra regione in particolare, la scuola primaria e media hanno organizzato le proprie risorse di personale e di tempo scuola per assecondare le pressanti richieste delle famiglie e indirizzare al meglio la propria proposta didattica.              
 I tagli continui, indistinti e generalizzati di organico e di risorse finanziarie degli ultimi anni hanno sostanzialmente vanificato quanto faticosamente costruito dalle autonomie scolastiche e indotto le stesse ad una condizione di obiettiva confusione nella quale è difficile, almeno per ora, intravedere un chiaro disegno riformatore, così come la possibilità di esercizio di effettive condizioni dell’autonomia.
 
Si tratta, pertanto, di ripartire, con ostinazione, dalla corretta applicazione della norma (L 59/97, DPR 275/99, riformato Titolo V della Costituzione) sostanzialmente e colpevolmente disattesa nell’arco dell’intero ultimo decennio.
Deve innanzitutto essere ripresa e resa effettiva la fondamentale suddivisione tra funzioni di indirizzo e di gestione.
Proprio con riferimento al processo di decentramento in atto e al fine di evitare ulteriori frantumazioni del sistema, le prime devono essere essenziali e di chiara lettura, ma anche sufficientemente precise e opportunamente vincolanti su tutto il territorio nazionale.
Non pare accettabile, ad esempio, che un segmento fondamentale del nostro sistema scolastico quale la scuola primaria, si trovi ad agire in un quadro di riferimento fin troppo ampio, confuso e in qualche caso perfino contraddittorio, sia sul piano dei contenuti programmatici, sia delle condizioni organizzative del servizio offerto.
 
Si opera in assenza di indicazioni e programmi nazionali credibili e praticabili, tali non essendo la sommatoria di documenti quali le
Indicazioni Nazionali del 2004 e le Indicazioni per il Curricolo del 2007, che hanno origini e caratteristiche difficilmente assimilabili.
Così come le condizioni organizzative del servizio presentano una base eccessivamente differenziata per presumere esiti omogenei e confrontabili: si va dalle 24 ore alle 40 del tempo pieno, passando per le 27 e le ore 30 settimanali e dal maestro unico a una pluralità che raggiunge i 6 - 7 insegnanti, con quote di compresenza che possono variare da zero a fino a
undici ore per classe.
La definizione dei livelli essenziali degli apprendimenti e delle competenze, nel quadro di indicazioni curricolari caratterizzate da essenzialità, trasversalità e continuità, dovrebbe costituire la piattaforma comune e inderogabile su cui costruire i percorsi curricolari delle autonomie scolastiche, opportunamente costituite “in rete” su base territoriale.
Se omogenei e confrontabili devono essere gli esiti attesi dei processi di insegnamento/apprendimento tali, pur se non uniformi, devono necessariamente definirsi anche le condizioni organizzative e le risorse (tempo scuola, organici, risorse materiali e finanziarie) che ne consentono il conseguimento. Solo una “struttura” curricolare solida e comune assicura
senso e significato ai progetti e alle iniziative locali che, grazie alla vicinanza con il territorio e con le sue reali esigenze e risorse, possono garantire un vero e proprio “valore aggiunto” all’intera proposta formativa.
 
Il nostro è, fra i paesi ad economia avanzata, quello che presenta il divario maggiore negli esiti di apprendimento fra le diverse regioni del Paese: stabilito tale rapporto in 1:100 in Italia, si va, ad esempio, ad un rapporto 1 : 46 in Spagna, nazione che sta, peraltro, intensificando gli sforzi per ridurre le differenze (dati OCSE PISA 2006). E’ di chiara evidenza il rischio di avviare processi di decentramento delle funzioni e di potenziamento delle autonomie scolastiche senza contestualmente rinforzare gli elementi di coesione e di unitarietà del sistema. Valorizzazione piena, quindi e traduzione operativa delle funzioni proprie dello Stato di indirizzo, coordinamento, verifica-valutazione, riequilibrio e redistribuzione delle risorse. Sono funzioni fondamentali, oggi insufficientemente praticate e altrettanto scarsamente rilevabili e
percepibili dalle autonomie scolastiche e locali. Ampiamente rilevabili e percepibili sono invece le funzioni, sempre esercitate dallo Stato, di natura più squisitamente gestionale, le stesse che
le regole del decentramento vorrebbero correttamente attribuite alle già citate autonomie.
Così la risorsa per eccellenza, gli organici del personale, continua ad essere gestita e assegnata dagli uffici periferici dell’amministrazione scolastica sulla base di criteri obsoleti e replicati da decenni che non hanno reale attinenza con le effettive esigenze dei territori e con le scelte
programmatiche e didattiche delle scuole. Mentre le (sempre più) modeste risorse finanziarie, quasi totalmente vincolate, non consentono alle autonomie scolastiche di affrontare eventuali emergenze, più frequenti di quanto non si creda, in termini di tempestività ed efficacia, nè di
programmare seriamente il proprio miglioramento attraverso la formazione in servizio, la ricerca, il rinnovamento dei laboratori e delle tecnologie.
E’ certamente un’ autonomia di facciata quella che non può disporre di risorse. Negli ultimi venti anni, paradossalmente proprio in coincidenza con l’avvento dell’autonomia, la scuola e l’intero sistema di istruzione si sono progressivamente impoveriti (incidenza sulla spesa pubblica totale dal 10,3% del ’90 al 9% del 2008, a fronte di una media OCSE del 13,3%).
La centralità della scuola e dell’istruzione, così come la realizzazione di una vera autonomia, non possono pertanto non passare attraverso un incremento delle risorse a livello europeo e la piena attribuzione alle autonomie scolastiche e locali delle proprie prerogative progettuali
e gestionali (dagli organici funzionali di istituto ai piani di sviluppo, ricerca, innovazione), in un contesto generale opportunamente coerente e controllato.
 
E’, infine, assolutamente vitale evitare il rischio di isolamento delle istituzioni scolastiche autonome e fare in modo che le stesse, organizzate “in rete” (il concetto di “rete” è complementare all’idea di
autonomia e ne costituisce il naturale completamento), possano far sentire la propria voce in materia di scelte di politica scolastica ai vari livelli, da quello locale (comune, circoscrizione) fino a quello nazionale. La scuola pre-autonomia disponeva di canali attraverso i quali esprimere proposte e pareri, per quanto quasi sempre di natura solo consultiva (i vecchi organi collegiali territoriali: distretto scolastico, consiglio scolastico provinciale, consiglio nazionale della pubblica istruzione, quest’ultimo ancora stentatamente in vita). La scuola dell’autonomia, a fronte di accresciuti poteri e responsabilità, non ha più alcuna voce in capitolo.
Da circa un ventennio si susseguono riforme, definite “epocali” dal riformatore di turno, che poco o nulla hanno cambiato in ciò che nella scuola veramente conta che è, in buona sintesi, la qualità dei processi di insegnamento – apprendimento. Da questo punto di vista la norma che maggiormente ha inciso, e non in termini positivi, è una legge, la n. 133/08, di natura eminentemente economico – finanziaria.
Non si tratta evidentemente di resuscitare organi che appartengono a un mondo ormai trapassato; ma ascoltare la voce delle scuole autonome, in modo serio e non burocratico, non potrà che far bene alla scuola  (da ScuolaOggi di Nicola Puttilli)

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