I docenti? “Corporazione impermeabile. La valutazione perfetta non esiste: ma se ci fosse l'aggirere
Data: Giovedì, 10 febbraio 2011 ore 11:30:00 CET
Argomento: Rassegna stampa


Per capire cosa sia la baronia nelle università italiane, giova citare la frase di un padre del giornalismo come Lino Jannuzzi: «Sfogliando l’ultimo annuario accademico - scriveva il giornalista alcuni anni fa - sembra di leggere le tavole della legge di Mendel, tale è la regolarità con cui si succedono i nomi dei padri e dei figli nella stessa professione, nella stessa facoltà, spesso nella stessa cattedra». Altri due giornalisti, Davide Carlucci e Antonio Castaldo, hanno scritto un documentatissimo libro che già nel titolo dice tutto: «Un paese di Baroni» (edito da Chiarelettere) in cui riportano il fatto che «i rettori hanno famiglia in 25 delle 59 università statali italiane. Quasi il 50 per cento (42,3) ha nella medesima università un parente stretto, quasi sempre un altro docente». Giacomo Elias è stato professore di fisica tecnica nella facoltà di Agraria della statale di Milano, ma è anche un padre fondatore del sistema di valutazione a suo tempo introdotto dal ministro Letizia Moratti.   Professore, la legge Gelmini che vorrebbe una carriera fatta solo di meriti e non di conventicole, è già stata aggirata?
«Senta. Io ho insegnato 51 anni e conosco bene come funzionano i concorsi. Mi creda: si può fare la legge più rigorosa e severa ma, tempo tre mesi, i miei colleghi troveranno il modo di piegarla alle esigenze della corporazione».

Dunque siamo veramente un paese di baroni.
«Magari lo fossimo! I baroni, quelli dei tempi miei, avevano una faccia, un reputazione internazionale da difendere, e magari facevano anche parecchi imbrogli, ma con una certa cautela, proprio per la loro visibilità pubblica. Questi, invece, chi li conosce? Ai più i loro nomi non dicono niente, e le pastette si possono fare molto meglio. Legge o non legge, si capisce».

Se le cose stanno così, dobbiamo rassegnarci ad una università gestita come una cupola mafiosa?
«Ma no, ma no! Quello che voglio dire è che un sistema perfetto di valutazione è utopistico. La legge stessa parla di “valutazione comparativa”, e cioè di un criterio che non pretende di trovare il docente perfetto, ma il migliore (o il meno peggio) tra quelli che si presentano».

Ma i titoli dicono tutto di un candidato. O no?
«No. Ed è questo il punto: non basta essere eccellenti scienziati e aver registrato dei brevetti, perché questo lo può fare anche un genio solitario. Noi scegliamo, in sede di concorso, un docente, che deve saper insegnare, cioè trasmettere delle conoscenze a degli allievi, e deve anche saper lavorare all’interno dell’università. Le sole competenze scientifiche non bastano, è come per l’esame di maturità, ciò che si considera è il dato complessivo di preparazione, di titoli ma anche di attitudine alla didattica. E comunque - creda a me - la valutazione perfetta non esiste: un concorso è un concorso, mica il giudizio universale». (di Raffaello Masci da La Stampa.it)







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