Adler e la Psicologia Individuale nella scuola.
Data: Martedì, 18 gennaio 2011 ore 22:58:57 CET
Argomento: Redazione


“Acheronta movebo” – smuoverò l’inferno – così scriveva S. Freud all’inizio della sua opera L’interpretazione dei sogni; un testo destinato a  rivoluzionare lo studio dei fenomeni psichici dell’uomo e pertanto a scontrarsi con l’impatto di una realtà ostile, refrattaria a qualsiasi cambiamento, come spesso succede quando le idee troppo innovative devono fare i conti con “l’attrito”  rappresentato dalla resistenza a ciò che in qualche modo sovverte conoscenze precostituite e cristallizzate. E’ un po’ quel che succede per i fenomeni secondo quel noto principio fisico, il principio d’inerzia.
 Alfred Adler fu uno dei primi  seguaci di Sigmund Freud ma i profondi dissensi teorici lo portarono all’allontanamento dal maestro ed alla creazione di una Società di Psicologia Individuale.
Come docenti ed educatori la conoscenza dei principi stabiliti dalla sua opera “Psicologia Individuale nella scuola” è quantomeno utile e necessaria .
. In quest’opera si evincono, inoltre, tali e tanti spunti che possono fuor d’ogni dubbio essere indispensabili, specie in quelle realtà dove il problema degli alunni”difficili” tocca da vicino ogni insegnante.
Per Adler  è fondamentale che ogni scuola diventi un centro propulsore di educazione in cui non si impartiscano solo nozioni culturali ma si provveda a fornire agli alunni un’educazione che integri e sia in grado anche di riparare gli eventuali errori educativi delle famiglie. E’ certamente difficile; ma gettare la spugna, comunque, è sempre una rinuncia che si paga a caro prezzo e che si ripercuote sugli stessi docenti.
Per questo motivo Adler avverte la necessità di un addestramento profondo ed intensivo degli insegnanti nonché  di una loro accuratissima selezione.
Il principio di base che portò Adler al distacco da Freud  è infatti l’affermazione secondo cui lo scopo di ogni individuo non è da ricercare nel principio del piacere enunciato dal padre della psicoanalisi, bensì nello scopo di realizzazione del proprio essere verso cui tende ogni essere umano.
I ragazzi “difficili” o disadattati per Adler, quindi,sono fondamentalmente “scoraggiati” dinanzi al fallimento dello scopo precipuo di affermazione verso cui si tende.
Il piano educativo individualizzato deve quindi partire sempre da questa consapevolezza; inoltre, deve essere compreso e condiviso dallo stesso soggetto e dalla famiglia.
Adler afferma testualmente che solo la conoscenza profonda della Psicologia Individuale, di un suo studio accurato e continuo, può trasformare un qualunque insegnante in educatore. L’educatore, infatti, è cosciente del fatto che la prima vera rivoluzione copernicana inizia da se stessi; non si cambia il mondo se il primo passo non è quello atto a cominciare a conoscere e migliorare se stessi.
Nella sua opera  egli analizza diversi casi di insuccessi scolastici; alunni che appaiono demotivati, o le cui difficoltà sociali o cognitive li mettono continuamente dinanzi a degli insuccessi.
I fallimenti , infatti, pongono sempre l’individuo in uno stato che peggiora il senso d’inferiorità, sebbene per pochi individui vengano vissuti come vere e proprie sfide che anzi potenziano ed accrescono la determinazione; ma si tratta quasi sempre di casi  di persone già abituate ad un certo, duro, lavoro di affinamento interiore, piuttosto raro. Un caso fra tutti, “letterario” , quello di Vittorio Alfieri. Ma nella maggioranza dei casi l’insuccesso genera un senso di impotenza.
Il binomio inferiorità-superiorità è il cardine della Psicologia Individuale; esso può oscillare da una parte o dall’altra a secondo del ruolo che il ragazzo occupa, per esempio, nella famiglia e che tende a riportare anche nel contesto scolastico; ad esempio nei rapporti con i fratelli minori o maggiori.
L’antico quanto riprovevole metodo educativo che vede nell’umiliazione uno stimolo a far meglio in realtà non fa altro che peggiorare in modo esponenziale la situazione. Come del resto anche la proposta di mete troppo ambiziose non calibrate alle effettive capacità presenti non fanno che creare i presupposti di ulteriori frustrazioni. Spesso la risposta a tali mezzi educativi errati è la distrazione. E c’è una ragione da cui scaturisce incosciemente tale risposta istintiva di difesa nell’alunno: meglio passare per svogliato, per distratto, che per incapace. In realtà, il ribadire “ è intelligente ma non studia e per questo non riesce” non fa altro che convalidare tale mezzo di difesa, rafforzarlo, rinchiuderne l’alunno in un circolo chiuso da cui non ne esce più.
La risposta adeguata, invece, richiede lo smascheramento di questo istintivo alibi difensivo, ( in psicoanalisi si parla infatti di “resistenze” e la loro risoluzione come abreazione delle stesse) il che, ovviamente non significa confermargli che sia un incapace ( nessuno è mai del tutto incapace in tutto…)ma aiutarlo a riconoscere le difficoltà, commisurarle alle sue potenzialità ed alle sue aspettative sulla vita, sul futuro.
E’ quindi necessaria la realizzazione di un progetto operativo che deve tener conto dell’aspetto olistico, globale ed irripetibile di ogni personalità, adattato a ciò che essa intenda esprimere, da mediare anche attraverso una spiegazione diretta delle cause del suo comportamento che lo coinvolga come “risanatore” di se stesso, attraverso la coscienza  ed il significato dei suoi atti.
Per spiegazione non si deve mai intendere “la solita predica” o  un rimprovero, ma deve essere chiara la sincera volontà di fornire un aiuto,  aiuto di cui è richiesta anche la sua partecipe collaborazione.


Tecla Squillaci
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