Carducci e Verga nella Letteratura post-unitaria di fronte alla crisi dei valori risorgimentali
Data: Domenica, 14 novembre 2010 ore 01:00:00 CET
Argomento: Redazione


Dopo il ’48 può dirsi esaurita la fase “eroica “ del nostro romanticismo. L’impegno patriottico e civile, che aveva contraddistinto tanta parte della produzione letteraria dei nostri maggiori scrittori nel primo Ottocento: le “illusioni “ del Foscolo con il suo spirito guerriero; l’ideale del Manzoni insieme con il suo progetto etico-politico improntato al moderatismo liberal-cattolico e alla rettitudine dei valori mtastorici della morale cristiana; il populismo generoso e profetico di matrice mistico-religiosa del Mazzini, e i sogni del primato morale e civile degli italiani del Gioberti,  -per non dire di tanti  altri patrioti, che nelle carceri, sui patiboli o per le vie dell’esilio, avevano sacrificata la loro vita  per un’ Italia una libera e indipendente - sembravano oramai non trovare più ascolto e risonanza ideale profonda e immediata nelle coscienze, non solo delle masse popolari, ma anche in quelle ben altrimenti acculturate, sensibili e impegnate degli intellettuali,in generale, e dei poeti e degli scrittori, in particolare.
Il “secondo” romanticismo è un periodo di prosaico riflusso e di stanchezza e di crisi dei grandi ideali rivoluzionari del recente passato. Temi e forme del romanticismo anche quando vengono ripresi e riproposti, non hanno più quella interna animazione sentimentale, quelle convinzioni ideali, quegli slanci eroici  di impegno e di lotta autentici propri della prima grande generazione romantica.
A partire dagli anni ’60, a unità raggiunta, altre poetiche, connesse a nuove esigenze, si propongono e si impongono nella nuova realtà storica,  sociale e culturale del Paese.
La reazione antiromantica, il rifiuto polemico e risentito contro il romanticismo piccolo-borghese vaporoso e languido alla Prati e all’ Aleardi,  si manifesta già agli inizi degli anni ’70 e ’80, soprattutto nell’opera, per altri aspetti assai diversa e diversamente motivata, di due grandi intellettuali poeti e scrittori : il Carducci e il Verga.
Il primo, con la sua produzione in versi e con i suoi scritti storici, e con le sue polemiche confessioni e battaglie, cerca di recuperare la grande lezione dei classici antichi e della laica tradizione umanistica italiana  in funzione antiromantica e antigermanica, rinverdendo i temi dell’impegno civile e patriottico nella poesia, i valori dlla civiltà greco-romana del passato, gli insegnamenti della storia classica, medievale  e moderna volti a sollecitare e ad inculcare negli animi l’amore per la Patria, il culto dei suoi figli più grandi e delle idealità più nobili.
 Il classicismo carducciano si ripropone come forza morale e umano equlibrio; la classicità come recupero di un tempo ideale di bellezza e di verità da contrapporre alle deliquescenze del “ vil muscolo nocivo”, alla decadenza dei costumi contemporanei, al degrado politico e sociale della realtà presente “ picciola e meschina”.
Rivivono così, e si scontrano a petto di certe ubbie metafisico-romantiche dell’ultimo Ottocento, i miti solari dell’Ellade antica e di Roma repubblicana e imperiale, del Medioevo dei comuni liberi e democratici; i miti anche moderni della rivoluzione francese e dell’epopea risorgimentale, nelle forme classiche e magniloquenti dei suoi versi, rivolti al passato per parlare al presente che, di quei miti e di quei valori ideali, sembra oramai aver perduto ogni ricordo e sincero entusiasmo.
Carducci nella letteratura post-unitaria assume questo ruolo di poeta-vate, di guida della nazione impegnata, dopo le lotte risorgimentali, a recuperare il suo antico prestigio e a mantenere e a difendere le sue tradizioni nell’ambito del suo  nuovo assetto politico-statuale. Egli sentì la poesia come missione che eleva i popoli verso forme sempre più progredite di civiltà. Nulla di più estraneo- almeno nei momenti di più programmata poeticità – al suo sano e robusto vitalismo, dell’esangue e sdolcinato romanticismo pratialeardiano.

Contemporanea  all’opera del Maremmano si svolge quella del catanese  Giovanni Verga.
Anche lo scrittore siciliano vive con grande intensità e consapevolezza critica gli anni incerti e difficili dell’Italia post-unitaria.
La sua arte, formatasi in ambiente culturale tardo-romantico-scapigliato, seppe reagire con coerente impegno al manierismo romantico, rinunciando a ogni forma di epidermico sentimentalismo in nome di un rapporto avvertito più vero e profondo dello scrittore con la realtà.

In piena età positivistica l’opera del Verga risentì certamente delle idee e dei dibattiti filosofici politici e ideologici che si andavano animando intorno alla nuova realtà economica e sociale della terza Italia. Classicismo e romanticismo sembravano essere ormai categorie concettuali sterili e inadeguate a chi con la sua opera intendesse confrontarsi con i problemi reali della società contemporanea.
Verga rappresentò la complessità del reale, sapendone cogliere gli aspetti naturali e umani più tragici e meno trionfalistici o rassicuranti. Ai miti del Progresso e della Scienza, alimentati dalle dottrine positivistiche ed evoluzionistiche del tempo, nonché a certi rigurgiti di melenso romanticismo, egli seppe reagire con virile e vigile coscienza critica.
Non acconsentì mai, per natura e per convinzioni ideologiche, ai facili ottimismi di moda “delle magnifiche sorti e progressive”, né si illuse che la Scienza e il Progresso avrebbero potuto risolvere  i mali e le ingiustizie della società. Credette, anzi, che altre ingiustizie e mali peggiori il progresso avrebbe apportato nel suo fatale cammino, soprattutto ai danni dei più deboli e dei più umili. La sua concezione pessimistica della vita era il contrario esatto dell’ottimismo filosofico dominante e di quello dei cavalieri erranti dell’ideale romantico
 Per il Verga la storia degli uomini è storia di lotte e di violenze, scontro continuo di opposti interessi materiali, continuo soccombere del più inerme alle leggi del più forte. E’ fatale legge della vita che lo scrittore non può che documentare e testimoniare insieme nella sua opera con umanità risentita e dolorante.
Carducci e Verga, dunque, reagiscono, anche se –come s’è detto- in forma assai diversa, ai falsi ideali tardo romantici e alla crisi dei valori risorgimentali , facendosi l’uno “scudiero dei classici”  e assegnandosi il ruolo di poeta guida anche politica della nuova Italia, vessillifero della poesia  e dell’arte come strumento di progresso morale, di civilizzazione dei popoli; l’altro, registrando – di quegli ideali- con toni forse meno eclatanti e paludati, ma non certo meno assertori, il superamento e la inattuabilità   nell’ambito di una realtà tanto profondamente mutata, che alla poesia  e all’arte non può più chiedere illusori ritorni al passato o fittizie consolazioni o mitici risarcimenti, sì bene  una rappresentazione nuda e cruda  e “scientifica” dei suoi fallimenti e delle sue rovine,delle sue vanità e delle sue ipocrisie.

                                                                                                             Nuccio Palumbo







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