Dopo il ’48 può dirsi esaurita la fase “eroica “ del nostro
romanticismo. L’impegno patriottico e civile, che aveva contraddistinto
tanta parte della produzione letteraria dei nostri maggiori scrittori
nel primo Ottocento: le “illusioni “ del Foscolo con il suo spirito
guerriero; l’ideale del Manzoni insieme con il suo progetto
etico-politico improntato al moderatismo liberal-cattolico e alla
rettitudine dei valori mtastorici della morale cristiana; il populismo
generoso e profetico di matrice mistico-religiosa del Mazzini, e i
sogni del primato morale e civile degli italiani del Gioberti,
-per non dire di tanti altri patrioti, che nelle carceri, sui
patiboli o per le vie dell’esilio, avevano sacrificata la loro
vita per un’ Italia una libera e indipendente - sembravano oramai
non trovare più ascolto e risonanza ideale profonda e immediata nelle
coscienze, non solo delle masse popolari, ma anche in quelle ben
altrimenti acculturate, sensibili e impegnate degli intellettuali,in
generale, e dei poeti e degli scrittori, in particolare.
Il “secondo” romanticismo è un periodo di prosaico riflusso e di
stanchezza e di crisi dei grandi ideali rivoluzionari del recente
passato. Temi e forme del romanticismo anche quando vengono ripresi e
riproposti, non hanno più quella interna animazione sentimentale,
quelle convinzioni ideali, quegli slanci eroici di impegno e di
lotta autentici propri della prima grande generazione romantica.
A partire dagli anni ’60, a unità raggiunta, altre poetiche, connesse a
nuove esigenze, si propongono e si impongono nella nuova realtà
storica, sociale e culturale del Paese.
La reazione antiromantica, il rifiuto polemico e risentito contro il
romanticismo piccolo-borghese vaporoso e languido alla Prati e all’
Aleardi, si manifesta già agli inizi degli anni ’70 e ’80,
soprattutto nell’opera, per altri aspetti assai diversa e diversamente
motivata, di due grandi intellettuali poeti e scrittori : il Carducci e
il Verga.
Il primo, con la sua produzione in versi e con i suoi scritti storici,
e con le sue polemiche confessioni e battaglie, cerca di recuperare la
grande lezione dei classici antichi e della laica tradizione umanistica
italiana in funzione antiromantica e antigermanica, rinverdendo i
temi dell’impegno civile e patriottico nella poesia, i valori dlla
civiltà greco-romana del passato, gli insegnamenti della storia
classica, medievale e moderna volti a sollecitare e ad inculcare
negli animi l’amore per la Patria, il culto dei suoi figli più grandi e
delle idealità più nobili.
Il classicismo carducciano si ripropone come forza morale e umano
equlibrio; la classicità come recupero di un tempo ideale di bellezza e
di verità da contrapporre alle deliquescenze del “ vil muscolo nocivo”,
alla decadenza dei costumi contemporanei, al degrado politico e sociale
della realtà presente “ picciola e meschina”.
Rivivono così, e si scontrano a petto di certe ubbie
metafisico-romantiche dell’ultimo Ottocento, i miti solari dell’Ellade
antica e di Roma repubblicana e imperiale, del Medioevo dei comuni
liberi e democratici; i miti anche moderni della rivoluzione francese e
dell’epopea risorgimentale, nelle forme classiche e magniloquenti dei
suoi versi, rivolti al passato per parlare al presente che, di quei
miti e di quei valori ideali, sembra oramai aver perduto ogni ricordo e
sincero entusiasmo.
Carducci nella letteratura post-unitaria assume questo ruolo di
poeta-vate, di guida della nazione impegnata, dopo le lotte
risorgimentali, a recuperare il suo antico prestigio e a mantenere e a
difendere le sue tradizioni nell’ambito del suo nuovo assetto
politico-statuale. Egli sentì la poesia come missione che eleva i
popoli verso forme sempre più progredite di civiltà. Nulla di più
estraneo- almeno nei momenti di più programmata poeticità – al suo sano
e robusto vitalismo, dell’esangue e sdolcinato romanticismo
pratialeardiano.
Contemporanea all’opera del Maremmano si svolge quella del
catanese Giovanni Verga.
Anche lo scrittore siciliano vive con grande intensità e consapevolezza
critica gli anni incerti e difficili dell’Italia post-unitaria.
La sua arte, formatasi in ambiente culturale
tardo-romantico-scapigliato, seppe reagire con coerente impegno al
manierismo romantico, rinunciando a ogni forma di epidermico
sentimentalismo in nome di un rapporto avvertito più vero e profondo
dello scrittore con la realtà.
In piena età positivistica l’opera del Verga risentì certamente delle
idee e dei dibattiti filosofici politici e ideologici che si andavano
animando intorno alla nuova realtà economica e sociale della terza
Italia. Classicismo e romanticismo sembravano essere ormai categorie
concettuali sterili e inadeguate a chi con la sua opera intendesse
confrontarsi con i problemi reali della società contemporanea.
Verga rappresentò la complessità del reale, sapendone cogliere gli
aspetti naturali e umani più tragici e meno trionfalistici o
rassicuranti. Ai miti del Progresso e della Scienza, alimentati dalle
dottrine positivistiche ed evoluzionistiche del tempo, nonché a certi
rigurgiti di melenso romanticismo, egli seppe reagire con virile e
vigile coscienza critica.
Non acconsentì mai, per natura e per convinzioni ideologiche, ai facili
ottimismi di moda “delle magnifiche sorti e progressive”, né si illuse
che la Scienza e il Progresso avrebbero potuto risolvere i mali e
le ingiustizie della società. Credette, anzi, che altre ingiustizie e
mali peggiori il progresso avrebbe apportato nel suo fatale cammino,
soprattutto ai danni dei più deboli e dei più umili. La sua concezione
pessimistica della vita era il contrario esatto dell’ottimismo
filosofico dominante e di quello dei cavalieri erranti dell’ideale
romantico
Per il Verga la storia degli uomini è storia di lotte e di
violenze, scontro continuo di opposti interessi materiali, continuo
soccombere del più inerme alle leggi del più forte. E’ fatale legge
della vita che lo scrittore non può che documentare e testimoniare
insieme nella sua opera con umanità risentita e dolorante.
Carducci e Verga, dunque, reagiscono, anche se –come s’è detto- in
forma assai diversa, ai falsi ideali tardo romantici e alla crisi dei
valori risorgimentali , facendosi l’uno “scudiero dei classici” e
assegnandosi il ruolo di poeta guida anche politica della nuova Italia,
vessillifero della poesia e dell’arte come strumento di progresso
morale, di civilizzazione dei popoli; l’altro, registrando – di quegli
ideali- con toni forse meno eclatanti e paludati, ma non certo meno
assertori, il superamento e la inattuabilità nell’ambito di
una realtà tanto profondamente mutata, che alla poesia e all’arte
non può più chiedere illusori ritorni al passato o fittizie
consolazioni o mitici risarcimenti, sì bene una rappresentazione
nuda e cruda e “scientifica” dei suoi fallimenti e delle sue
rovine,delle sue vanità e delle sue ipocrisie.
Nuccio Palumbo