Laura del Petrarca e l’ambiguità del testo poetico. Quando la parola del desiderio diventa anche des
Data: Domenica, 31 ottobre 2010 ore 01:00:00 CEST
Argomento: Redazione


Nella lettera 9 ^ del II libro delle Familiari – “ Responsio ad quandam iocosam epjstulam Jacobi de Columna Lomberiensi episcopis”- si tocca un problema scottante : quello del discrimine, in un testo poetico, tra verità e inganno, realtà e finzione, tra naturalezza e artificio..
La insinuazione del vescovo,  essere l’amore per Laura una finzione, una invenzione poetica, finti i versi, simulati i sospiri, possiamo, a tutt’oggi, farla  nostra. La poesia del Petrarca è la poesia dell’amore per Laura o l’amore della poesia ( dell’amore per Laura )? E’ parola del desiderio o desiderio della parola, della parola poetica che si costituisce come parola sull’oggetto (“parlare di lei”) e come oggetto di parola, da parte degli altri, di tutti quelli che costituiscono il “ Voi che ascoltate in rime sparse il suono”?
Il problema in effetti si pone, e con solo per il Canzoniere, ma per ogni testo poetico che, in quanto tale, ha sempre un carattere di ambiguità semantica inesauribile. Il linguaggio poetico è ambiguo per sua propria natura ( Segre, I segni e la critica ). Dunque, discutere della poesia del Petrarca  è discutere su linguaggio poetico di quella poesia , costituendosi il linguaggio stesso della scrittura ( nella dimensione della “confessione” ) come “metalinguaggio”. E tutto questo- ( la inesauribilità del testo)-, quando si ha l’impressione di trovarsi di fronte a una poesia tutta “esplicita”, di fronte a “forme” e “contenuti” tutti codificati, cioè incanalabili entro la tradizione  cortese –stilnovistica, nobilitata attraverso alle ascendenze classiche.
Lo “spazio letterario” entro cui si inscrive il Canzoniere è quello della ambiguità, dell’artificio del testo, il cui linguaggio poetico è sempre “altro”, “ procul –come scrive lo stesso Petrarca – ab omni plebeio aut publico loquendi stilo” Familiari, X, 4). L’Altro linguaggio, l’Altro Discorso ( quello poetico) che, ponendosi dentro lo statuto del linguaggio, ne opera costantemente la destrutturazione, impedendo alle strutture linguistiche la trasmissibilità della parola, la comunicatività cui sono deputate, e  costituendosi come ambiguità, come il non dicibile della parola stessa che diviene il significante di un significato anomalo. “ L’opera letteraria tende a costituirsi  in un monumento di reticenza e di ambiguità…come un luogo di incertezza e di interrogazione , come una retorica del silenzio “ ( Gerard Genette, Figure I, pag.185) .
Quindi, pur senza obliterare il livello della lettura letterale, è necessario poi fare una lettura sopra la lettura , che non segue i vincoli lessematici del meccanismo grammaticale , onde ricevere senso, ma stabilisce legami ad ogni livello ( fonologico , morfologico, lessicale, sintattico, connotativo, semantico ), mediante ‘  una grammatica ‘ diversa  che tesse una rete complessa di correlatività (Lotman).
Il Canzoniere è, metalinguisticamente, interrogazione sulla possibilità del linguaggio poetico, sulla possibilità di dire l’indicibile, di includere il “silenzio” nella parola, nell’atto stesso in cui si pone : “ la doglia mia la qua’ tacendo io grido” (C.n.71)
Date queste premesse, accostiamoci al Canzoniere,
Qual è il suo centro? Laura. Ma Laura è la donna sempre presente e sempre assente; la donna dal nome di Laura che, mentre sembra raggiungibile, sempre si sposta verso un centro imprendibile, segnando così non solo la proliferazione del testo, ma anche la reduplicazione speculare del suo centro. Siamo di fronte ad un gioco di specchi che rimanda all’infinito. Allora, il perimetro del Canzoniere è in realtà il perimetro di un labirinto (“ un lungo error in cieco labirinto”, -canta il Petrarca -). E Laura, con l’incatenarsi delle metafore generate dal nome attraverso una serie di rimandi omonimici o sinonimici, che tramano tutta l’intera rete del sistema poetico, diventa forza centripeta e centrifuga nello stesso tempo, parola del tacere gridando : “ L’aura che il verde lauro e l’aureo crine …( C. n. 246). La parola vive all’interno di un sistema di rapporti  di equivalenza e continuamente si reduplica e rimanda ad altro ( Laura =aura=alloro=poesia; Laura genera “aurora”che , a sua volta, si lega al sema  della rinascita del giorno, e convoglia  pure il sema della volatilità, onde  “i sospiri” che , per metonimia, richiamano la vanità dell’amore di Laura,  e così via.) . La “ lettera “ del nome di Laura diventa emblema, immagine nel e del discorso poetico, parola del desiderio ma anche desiderio della parola, significante di un significato nascosto e assente ma presente attraverso la connotazione del suo significante.
  Nel De Magistro di S. Agostino c’è un riferimento a quanto si è detto a proposito dell’assenza-presenza  che si istituisce nella parola –immagine, non certo ignoto a quel lettore assiduo del Santo, quale fu il Nostro.
S.Agostino coglieva nettamente nel De Magistro la distanza che c’è tra le parole e le cose, tra il segno e il referente, racchiudendo lo spazio del linguaggio nello spazio dell’assenza della cosa, nella funzione del simbolico. Leggiamo dal De Magistero(XII,39) :” Noi non parliamo delle cose stesse, ma delle immagini da esse impresse in noi ed affidate alla memoria, ed io non so come possiamo chiamarle vere, mentre non sono la realtà”. E ancora, rivolto al suo immaginario interlocutore, S.Agostino  rispondeva : “ Io posso solo spiegarti una cosa con altre parole, non posso, come tu vorresti, darti, con la parola, la cosa “. Siamo alla “ impossibile cattura della verità da parte del linguaggio “di cui parla Lacan, allo slittamento continuo della catena metonimica dei significanti, che rimandano all’infinito la presa di un reale.
Non diversamente, sollecitato dalla riflessione agostiniana, nel De ocio religioso Petrarca scrive :”I luoghi ci offrono le cose da amare, il tempo ci sottrae ciò che amiamo e ci lascia nell’animo turbe di fantasmi, per i quali dall’uno all’altro si accende il desiderio. Perciò, l’anima diviene inquieta e infelice, col desiderio di possedere ciò da cui è posseduta “.
I fantasmi poetici che ci prendono l’anima non sono dunque – ci ammonisce il Poeta – che surrogati delle cose reali, presenze di assenze. Come la sua Laura che sta al centro-non centro del Canzoniere, presenza ubiquitaria e dispersa, realtà e sogno.

Bibliografia essenziale.
Bosco, F.Petrarca
Contini, La lingua del Petrarca, sta in  Il Trecento
Noferi, Il Canzoniere del P. : scrittura del desiderio e desiderio della scrittura,in “Paragone”,296,’74
Fassò, Significante e significato nell’opera letteraria , in”  Lingua e stile”, a. VI,n.2,1971
Sansone, Assaggio di simmetrie petrarchesche, in Lingua e stile,a.VI,n.2,’71

Nuccio Palumbo
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