Una giornata di straordinaria convocazione e la rassegnazione dei numeri primi
Data: Domenica, 19 settembre 2010 ore 11:00:38 CEST
Argomento: Opinioni


E’ una mattina di settembre, ma non una mattina qualsiasi. E’ il giorno più atteso dell’anno per noi docenti precari,  quello delle convocazioni. Non ho fretta, non sono emozionata, non ho ansie, né preoccupazioni. So che sono fuori  competizione e che queste convocazioni sono per pochi intimi, i primissimi della graduatoria. Mi attendo una mattinata di fuoco e mi riaffiorano rapidi i ricordi dell’ultimo scioccante e teso, medesimo appuntamento del 2009. Ma appena giunta sul “luogo del delitto”, già dall’esterno,  non avverto il solito tram, tram di auto in doppia e tripla fila e un assurdo silenzio circonda le vie antistanti il “Lombardo Radice”, la scuola polo destinata per il 2010 alla designazione dei fortunati contrattisti a tempo determinato.
Penso, fra me e me,  che forse è tutto già finito o che probabilmente ho sbagliato luogo, ma addentrandomi,  sento flebili vocii di gente e di fatto mi dirigo verso di loro. 
Entrando, c’è il consueto accogliersi, abbracciarsi e raccontarsi dopo un anno di fatiche, l’operato e le vacanze, le famiglie e le speranze. Tutto è molto sereno e cordiale, un ritrovo gradevole, un simil  party di inizio anno scolastico, quasi un mega collegio docenti che sta per iniziare i lavori di un anno scolastico. Ci sono però dei particolari interessanti. Tutti sanno della mannaia Gelmini, dei  pochissimi posti a disposizione, nessuno ha ancora un contratto a tempo determinato, né una sede assegnata, né tanto meno c’è la possibilità di lavorare tutti insieme
Tanto sono esigui i partecipanti che credo di essere arrivata presto, ma sono invece le 9,10. Poi penso che forse sarà comunque presto e che altra gente arriverà per assistere e sperare in nuovi posti,  usciti magari all’ultimo minuto.
Dico a me stessa che adesso arriveranno i colleghi dei “numeri primi”, quelli che da 20 anni prendono l’incarico, quelli che vengono prima di me, quelli che l’anno scorso si sono infastiditi quando abbiamo protestato chiedendo di bloccare le convocazioni perché i posti erano pochissimi.
Si,  forse adesso si alzeranno per pretendere il posto che ogni anno hanno occupato, forse si lamenteranno e vigileranno, chiedendo spiegazioni.
Tutto invece procede regolarmente, nel più breve tempo possibile, perché i posti da assegnare sono pochissimi, per ogni classe di concorso,  da uno a cinque posti al massimo.
Non ci sono interferenze e disturbi, come da copione, con grande favore dei dipendenti del CSA, senza lavoro aggiunto per la stampa che non saprà mai del dramma che centinaia e centinaia di famiglie in più vivranno anche quest’anno.
 Nel frattempo vengo assalita da colleghi che mi chiedono cosa farò quest’anno e dove potrò lavorare, facendo previsioni e conteggi, progetti e castelli. Qualcuno mi saluta e mi avvicina perché mi ha visto impegnata in prima linea nella lotta del CPS, pensando che io possa illuminarli ulteriormente sulla catastrofica situazione, quasi possa essere il profeta di nuove e bellissime novelle.
Al mio cellulare arriva anche qualche chiamata di colleghi che seguono alla mia posizione in graduatoria, perché possa consigliare l’opportunità o meno della loro presenza alle convocazioni, come se la situazione non li riguardasse.  Sono veramente confusa e penso di vivere in un ambiente surreale, ma la concretezza dei fatti mi conferma che sono desta.
All’improvviso chiede parola una collega che, sollecita a prendere visione della grave realtà scolastica e ad unirsi alle assemblee del CPS per organizzare forme di lotte comuni alla politica dei tagli che ha profondamente mortificato la scuola pubblica. Dall’alto dell’assemblea osservo un religioso ed assurdo silenzio, anzi percepisco che l’intervento della collega per qualcuno è un fastidioso, noioso ed inutile monito.
Resto ad ascoltare sbigottita ed attonita mentre scorrono i primissimi nominativi che prendono cattedra, con riservisti in testa, senza il benché minimo sibilo di dolore. Non una protesta, non una manifestazione di sofferenza per ciò che ci è stato depredato, senza un vero perché . Mi aspetto una qualsiasi reazione dai ventennali precari storici che occupano le primissime posizioni invano per quest’anno, ma c’è tanta rassegnazione e nessuna indignazione.
La cosa mi inquieta e mi sgomenta non poco. La cosa mi turba e mi interroga sul perché molti di noi hanno scelto questa professione difficile e sofferta, quella di educatori  che di per sé è portatrice di valori e di passioni da coltivare e da trasmettere. Ma se non si è capaci di indignarsi nei confronti delle ingiustizie,  se non si è capaci di difendere il proprio posto di lavoro e tutti i diritti lesi della nostra Costituzione, se non si è capaci di trasmettere sapere vivo e passioni, che razza di educatori e di docenti mai possiamo essere? Non si è docenti per caso, non si è docenti per trasmettere contenuti inermi e fine a sè stessi.
E’ ora forse che inizi una vera selezione fra di noi, la vera lotta alla sopravvivenza, dove ad estinguersi siano solamente coloro che hanno fatto in modo che qualsiasi Ministro della Pubblica Istruzione facesse di noi carne da macello, senza opporre nessuna resistenza, senza proporre nessun progetto educativo e senza spendere una sola ora della loro vita per il bene della collettività. 
 
Patrizia D’Amico






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