E’ una mattina di settembre, ma non una mattina qualsiasi. E’ il giorno
più atteso dell’anno per noi docenti precari, quello delle
convocazioni. Non ho fretta, non sono emozionata, non ho ansie, né
preoccupazioni. So che sono fuori competizione e che queste
convocazioni sono per pochi intimi, i primissimi della graduatoria. Mi
attendo una mattinata di fuoco e mi riaffiorano rapidi i ricordi
dell’ultimo scioccante e teso, medesimo appuntamento del 2009. Ma
appena giunta sul “luogo del delitto”, già dall’esterno, non
avverto il solito tram, tram di auto in doppia e tripla fila e un
assurdo silenzio circonda le vie antistanti il “Lombardo Radice”, la
scuola polo destinata per il 2010 alla designazione dei fortunati
contrattisti a tempo determinato.
Penso, fra me e me, che forse è tutto già finito o che
probabilmente ho sbagliato luogo, ma addentrandomi, sento flebili
vocii di gente e di fatto mi dirigo verso di loro.
Entrando, c’è il consueto accogliersi, abbracciarsi e raccontarsi dopo
un anno di fatiche, l’operato e le vacanze, le famiglie e le speranze.
Tutto è molto sereno e cordiale, un ritrovo gradevole, un simil
party di inizio anno scolastico, quasi un mega collegio docenti che sta
per iniziare i lavori di un anno scolastico. Ci sono però dei
particolari interessanti. Tutti sanno della mannaia Gelmini, dei
pochissimi posti a disposizione, nessuno ha ancora un contratto a tempo
determinato, né una sede assegnata, né tanto meno c’è la possibilità di
lavorare tutti insieme
Tanto sono esigui i partecipanti che credo di essere arrivata presto,
ma sono invece le 9,10. Poi penso che forse sarà comunque presto e che
altra gente arriverà per assistere e sperare in nuovi posti,
usciti magari all’ultimo minuto.
Dico a me stessa che adesso arriveranno i colleghi dei “numeri primi”,
quelli che da 20 anni prendono l’incarico, quelli che vengono prima di
me, quelli che l’anno scorso si sono infastiditi quando abbiamo
protestato chiedendo di bloccare le convocazioni perché i posti erano
pochissimi.
Si, forse adesso si alzeranno per pretendere il posto che ogni
anno hanno occupato, forse si lamenteranno e vigileranno, chiedendo
spiegazioni.
Tutto invece procede regolarmente, nel più breve tempo possibile,
perché i posti da assegnare sono pochissimi, per ogni classe di
concorso, da uno a cinque posti al massimo.
Non ci sono interferenze e disturbi, come da copione, con grande favore
dei dipendenti del CSA, senza lavoro aggiunto per la stampa che non
saprà mai del dramma che centinaia e centinaia di famiglie in più
vivranno anche quest’anno.
Nel frattempo vengo assalita da colleghi che mi chiedono cosa
farò quest’anno e dove potrò lavorare, facendo previsioni e conteggi,
progetti e castelli. Qualcuno mi saluta e mi avvicina perché mi ha
visto impegnata in prima linea nella lotta del CPS, pensando che io
possa illuminarli ulteriormente sulla catastrofica situazione, quasi
possa essere il profeta di nuove e bellissime novelle.
Al mio cellulare arriva anche qualche chiamata di colleghi che seguono
alla mia posizione in graduatoria, perché possa consigliare
l’opportunità o meno della loro presenza alle convocazioni, come se la
situazione non li riguardasse. Sono veramente confusa e penso di
vivere in un ambiente surreale, ma la concretezza dei fatti mi conferma
che sono desta.
All’improvviso chiede parola una collega che, sollecita a prendere
visione della grave realtà scolastica e ad unirsi alle assemblee del
CPS per organizzare forme di lotte comuni alla politica dei tagli che
ha profondamente mortificato la scuola pubblica. Dall’alto
dell’assemblea osservo un religioso ed assurdo silenzio, anzi
percepisco che l’intervento della collega per qualcuno è un fastidioso,
noioso ed inutile monito.
Resto ad ascoltare sbigottita ed attonita mentre scorrono i primissimi
nominativi che prendono cattedra, con riservisti in testa, senza il
benché minimo sibilo di dolore. Non una protesta, non una
manifestazione di sofferenza per ciò che ci è stato depredato, senza un
vero perché . Mi aspetto una qualsiasi reazione dai ventennali precari
storici che occupano le primissime posizioni invano per quest’anno, ma
c’è tanta rassegnazione e nessuna indignazione.
La cosa mi inquieta e mi sgomenta non poco. La cosa mi turba e mi
interroga sul perché molti di noi hanno scelto questa professione
difficile e sofferta, quella di educatori che di per sé è
portatrice di valori e di passioni da coltivare e da trasmettere. Ma se
non si è capaci di indignarsi nei confronti delle ingiustizie, se
non si è capaci di difendere il proprio posto di lavoro e tutti i
diritti lesi della nostra Costituzione, se non si è capaci di
trasmettere sapere vivo e passioni, che razza di educatori e di docenti
mai possiamo essere? Non si è docenti per caso, non si è docenti per
trasmettere contenuti inermi e fine a sè stessi.
E’ ora forse che inizi una vera selezione fra di noi, la vera lotta
alla sopravvivenza, dove ad estinguersi siano solamente coloro che
hanno fatto in modo che qualsiasi Ministro della Pubblica Istruzione
facesse di noi carne da macello, senza opporre nessuna resistenza,
senza proporre nessun progetto educativo e senza spendere una sola ora
della loro vita per il bene della collettività.
Patrizia D’Amico