Finora in quali casi è stato utilizzato il metodo Pixe-alfa?
Fra gli interventi più significativi ricordiamo:
Analisi della famosa “Chartula di S: Francesco – unico documento manoscritto del Santo”- in previsione di una importante operazione di restauro conservativo;
Studio archeometrico degli affreschi del Palazzo di Nestore a Pylos in Grecia ai fini di individuare i pigmenti usati, ancora ai fini di un restauro;
Determinazione della composizione della lega di un ariete in bronzo conservato presso il Museo archeologico di Palermo. La quantità di piombo presente nella lega metallica è ritenuta essere fra gli elementi indicativi ai fini di risalire all’epoca della realizzazione (nel nostro caso se epoca romana o ellenistica).
Analisi, presso la biblioteca classense di Ravenna di un dipinto attribuito al Botticelli presente in un manoscritto del ‘400, dei Trionfi del Petrarca. Il nostro compito era verificare se il blu utilizzato dall’artista sia stato realizzato a partire da una velatura di lapislazzuli, una tecnica che concorre a caratterizzare le opere del Botticelli;
Caratterizzazione della patina di una armatura della Colchide, di presumibile epoca romana, ai fini della sua autenticazione.
Come procedono le analisi sui rotoli di Qumran e su quali parti delle Sacre Scritture vi state focalizzando?
Recentemente, in collaborazione con l’Istituto Bam di Berlino, abbiamo iniziato lo studio di alcuni frammenti dei ben noti rotoli del Mar Morto che rappresentino una delle più interessanti scoperte archeologiche degli ultimi decenni. I rotoli risalgono ad un periodo fra 150 A.C e 70 D.C. circa e si riferiscono prevalentemente al Vecchio Testamento. I frammenti di cui ci stiamo occupando provengono dai cosiddetti Rotoli del Tempio, che descrivono un tempio virtuale non realizzato; stiamo lavorando anche su alcuni piccoli frammenti provenienti più specificamente dalla zona di Qumran più prossima al Mar Morto.
Perché è così importante individuare l’esatta composizione chimica dei frammenti dell’Antico Testamento?
L’obiettivo della nostra ricerca è capire se questi reperti siano sempre rimasti dove sono stati trovati, cioè la stessa Palestina in cui sono ambientate le Sacre Scritture, oppure se siano stati portati lì da altre parti. Nel caso in cui l’ipotesi vera sia la prima, si tratterebbe di una garanzia dell’originalità e dell’autenticità di quei frammenti. In definitiva, come detto, mediante l’uso del nostro strumento si dovrà risalire alla presenza, sulla superficie dei frammenti, di elementi chimici caratteristici della zona di Qumran o di altre zone. I primi risultati saranno presentati prossimamente ad una Conferenza in Inghilterra a Guildford, tra il 27 giugno e il 2 luglio.
Avete mai pensato di applicare il vostro metodo anche alla Sindone?
Non siamo stati interpellati, e ovviamente non so quale sarebbe l’esito se utilizzassimo i raggi Alfa per studiare il materiale straordinario conservato a Torino. L’importante è essere aperti ai risultati delle ricerche, qualsiasi essi siano, anche perché la fede non può certo essere intaccata dai risultati di un’analisi chimica.