Scuola e dialetto: ritorna...ma cu capisci a Montalbanu !!!
Data: Venerdì, 07 maggio 2010 ore 09:05:00 CEST
Argomento: Opinioni


Montalbano in terrazzaCome un sasso che trapassa l’acqua animandola all’infinito, così le mie riflessioni sulla scuola e dialetto “Ma cu capisci a Muntalbanu?”, hanno innescato un vivace dibattito tra colleghi meridionali e lombardi sul valore culturale e sociale del dialetto e sulla sua valenza ai fini didattici ed educativi.
Probabilmente abbiamo toccato uno dei punti nevralgici della cultura moderna, un “nervo scoperto” nella società della comunicazione di massa, studiato e approfondito da molti studiosi e intellettuali che pongono nel linguaggio e nella comunicazione uno snodo essenziale delle relazioni culturali, sociali ed economici della nostra società.
Noi, da una simpatica vicenda di vita scolastica, abbiamo tratto alcune semplici riflessioni sulla lingua nazionale e i dialetti, senza un adeguato approfondimento, come meriterebbe l’argomento, per mancanza di spazio e di tempo.

Faceva notare un collega siciliano “di scienze”, tra i più preparati e puntigliosi della mia scuola, che anche la Lega difende e promuove il dialetto lumbard, anzi brandisce la lingua e la cultura del nord per incitare al federalismo e per regionalizzazione la scuola e i docenti.
Noi vogliamo precisare che la nostra lingua nazionale, la lingua di Dante e del Dolce Stil Novo è fondamento dell’identità nazionale e della coesione culturale e civile della nazione.
E che forse bisognerebbe ripensare semplicemente al senso dell’italiano puro, dell’italiano contaminato, degli innesti terminologici moderni.
Bisognerebbe studiare e capire il valore filologico e semantico del dialetto, ricollocarlo nei nostri moderni canali comunicativi, riassaporarne la freschezza e la musicalità, darne il giusto spessore culturale interpretativo.
Diceva Pasolini, che amò profondamente il dialetto, “che è un mezzo per opporsi all’acculturazione, anche se sarà una battaglia, come sempre, perduta”.

Questo è il nocciolo della questione che volevo sottolineare in quell’articolo:
il dialetto è un potente strumento per combattere la marginalizzazione culturale che anche la lingua nazionale rischia di perdere; il dialetto può diventare un fedele alleato dell’italiano; può arginare i fenomeni postmoderni della globalizzazione dell’economia e del profitto, l’omologazione dei modelli comportamentali e la conseguente perdita della specificità nazionale, in poche parole, combattere le culture dominanti e l’economia capitalistica del consumo e dello spreco.
Il dialetto ha una componente affettivo–romantica, legata alle origini, ai ricordi dell’infanzia, all’entourage familiare; ed una componente, più spiccatamente politica, di opposizione al paradigma che recita dialetto = autonomia regionale = frammentazione nazionale.

Pasolini “si lamentava che ogni lingua venisse sopraffatta dal modello occidentale” e “si accostava al dialetto come ci si accosta ad una lingua straniera; non come a un espediente letterario o formale, da sfruttare per aggiungere “colore”, ma con il rispetto che si riserva ad una cultura da difendere e da salvare dall’aggressione di una barbarie massificante”.
E solo la scuola, secondo me, ha l’autorevolezza e la capacità di insegnare correttamente l’italiano e i dialetti, e di tenere saldamente unita la nazione.

Questo è il regalo più bello che la scuola italiana può fare per il 150° Anniversario dell’Unità.

Angelo Battiato (inviato speciale a Brescia)
angelo.battiato@istruzione.it







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