Dialogus de rebus scholasticis
Data: Lunedì, 01 marzo 2004 ore 17:43:59 CET
Argomento: Redazione


 Simplicio - Parmi, clarissimi amici, che codesta nova legge statuita dal Ministro Moratti sia         gravissima jattura per i docenti tutti. -

Sagredo: -  E donde, caro Simplicio, avete tratto questa vostra opinione? -

Simplicio: - dal fatto che molti e valenti uomini di scuola ciò vanno dicendo, e non soltanto in privati cenacoli, sibbene in pubbliche et affollate occasioni. -

Sagredo: - Ma avete voi letto diligentemente codesta legge onde ci parlate? -

Simplicio: - In verità, Sagredo, non l’ho letta affatto, poiché non havvi bisogno di ciò fare. -

Salviati: - E come affermate, allora, essere cotale legge  perniciosa, se non l’avete nemmanco

letta? -

Simplicio: - Ma come dicevo, preclaro amico, non v’era motivo ch’io la leggessi, atteso che altri l’hanno letta per me. -

Salviati: - E coloro i quali l’hanno letta per voi sono per avventura i molti e valenti uomini de’ quali dianzi parlavate? -

Simplicio: - Appunto, sì. -

Salviati: - Invero ciò immaginavo. E ora illustratemi, di grazia, quali sieno le jatture che questa legge seco porta. -

Simplicio: - Ad esempio essa tolle i fanciulli dalle scuole già all’ora del meriggio. Onde essi debbono soli e raminghi vagare per le città e i paesi, orbati dei diletti maestri loro. -

Sagredo: - E cotesto ove è scritto? –

Simplicio: - Come dissi, su la legge. –

Salviati: - Invero in essa legge, la quale tegno tra mani et ora vengo a mostrarvi, cotesto non c’è. Leggesi invece che  i fanciulli potranno restare a scuola secondo il iudicio delle famiglie loro. –

Simplicio: - Sia pure, non è d’uopo ch’io legga quanto mi andate mostrando. –

Salviati: - E perché mai? –

Simplicio: - Perocché i molti e valenti uomini de’ quali dicevo hanno già bastevolmente adempiuto codesto ufficio. Onde   bisogna che al loro pensiero fidatamente io mi tenga. –

Sagredo: -  Transeat, e veniamo tosto alla seconda jattura di questa legge. –

Simplicio: -  Essa tolle ai maestri il lavoro, e li danna all’accidia e alla dura e vergognosa inedia. –

Salviati: - Invero, egregio amico, neppur questo io scorgo nella bolla che ho in mano. –

Simplicio: - Et io dico, Salviati, che i molti e valenti uomini che mi sono di scorta, fra i quali tre sono in particolar modo valentissimi et eminentissimi, e tali che  la sapienza loro ho per legge fermissima e quasi divina, ciò pure hanno coonestato. –

Sagredo: - Ditemi chi sono questi sapienti, affinché anch’io mi abbeveri alla loro scienza come da viva fonte. –

Simplicio: - Magister  Pezzottus, Magister Angelettus et in particular modo Magister Epiphanius.. –

Sagredo: - E donde arguite che costoro abbiano tal copia d’ingegno, e di sapere possanza? –

Simplicio: - Perocché molti sono gli uomini che li seguono e li estimano, tanto che, quando elli ciò dispongono,  le vaste piazze dell’Urbe ne sono piene, e tutti plaudono festosi a ciò ch’elli declarano, e non solo d’uomini e donne adulti io parlo, ma etiam de’ loro pusilli, i quali non appena li veggono prendono a cantare e ballare come da spirito posseduti. E tosto codesti pusilli principiano ad affermare ch’e’ se ne rimarrebbero contenti a scuola da mane a sera, e la notte ancora, cosa che non solo è fra tutte ammirabile, ma da tenersi onninamente come miraculosa. –

Sagredo: - E da ciò, Simplicio, arguite in loro scienza e saviezza? –

Simplicio: - Da ciò. –

Salviati: - Ma concesso pure che questa sapienza essi abbiano, caro Simplicio, non vi par meglior cosa  legger co’propri occhi i testi onde poi si discute, e trarne cogitazioni proprie et argumenti non solo ex auctorictate, ma su ragione fondati? –

Simplicio: - Ma di grazia, amici, quando noi codesta perigliosa navigazione nel gran mar delle leggi intraprendessimo e tutti soli attendessimo a quella verità onde tendiamo, chi mai ci sarebbe di scorta in cotale operazione? E quali guarentigie avremmo che il cogitare nostro non fosse spericulato e fallace? –

Salviati: - Invero, caro Simplicio, tengo per certo che pecore, bovi et altri animali usi a procedere in armento bisogno hanno di scorta, uomini d’esto nome degni tale bisogno non hanno. –







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