QUANDO L'EUROPA E' DIVENTATA CRISTIANA
Data: Mercoledì, 22 aprile 2009 ore 00:05:00 CEST
Argomento: Rassegna stampa


Paul Veyne

Quando l'Europa è diventata cristiana

Costantino, la conversione, l'impero

La scelta di ospitare sulla copertina del libro la raffigurazione del battesimo di Costantino da parte di papa Silvestro (si tratta del mosaico della cappella di S. Silvestro nella chiesa romana dei SS. Quattro Coronati) illustra il cuore dell’ultima proposta storiografica di Paul Veyne molto meglio del titolo (ammiccante al dibattito attuale e forse un poco improprio anche per quanto concerne il contesto storico del IV secolo): ovvero la conversione cristiana di Costantino, le sue motivazioni religiose, ancor più che politiche, il decisivo impatto che questa ebbe per l’affermazione della religione cristiana all’interno di un impero universale sostanzialmente ancora pagano nella stragrande maggioranza dei suoi sudditi.

L’illustre storico francese, noto al pubblico degli specialisti per le sue ricerche sul mondo antico e conosciuto anche dagli appassionati di storia per il suo celebre saggio sul rapporto tra mito e credenza religiosa all’interno del mondo greco (Les Grecs ont-ils cru à leurs mythes? trad. it. Il Mulino, 2005), si confronta con un tema classico del dibattito storiografico sul periodo tardo-antico, attraverso una serie di riflessioni imperniate sull’eccezionale personalità dell’imperatore, sul ruolo religioso e provvidenziale cui questi si avvertiva chiamato, sul suo inserimento da protagonista nelle trasformazioni istituzionali e teologiche della Chiesa del IV secolo.

Le chiese cristiane attive nel periodo di Costantino rappresentano, infatti, prese nel loro insieme nei primi decenni del IV secolo un organismo sociale e religioso ormai ampiamente collaudato dal punto di vista organizzativo e capace di propagare una visione del mondo e della vita inconciliabile con la credenza negli dei pagani ma ed è uno dei luoghi nevralgici della tesi dello storico - il successo della religione cristiana è tutt’altro che scontato e definitivo e la sua ‘legittimazione escludente’ per nulla scontata.

Non casualmente, ed è un tema sul quale si sofferma con grande convinzione lo studioso, non solo sotto Costantino ma anche durante il governo della più parte dei suoi successori, pagani o cristiani, l’impero manterrà una struttura sostanzialmente ‘bipolare’: due religioni che convivono fino all’ultimo decennio del secolo quando si verificherà la definitiva resa dei conti e la sconfitta, almeno su un piano normativo e ufficiale, del maggioritario mondo pagano.

Anche se la proposta interpretativa del libro si confronta solo dall’alto e a grandi linee con i principali nodi del dibattito storiografico (colpisce, a esempio, l’assenza di riferimenti agli studi di ambito italiano, difficilmente casuale per la biografia culturale di Paul Veyne) e se la narrazione storica si caratterizza più per l’intento assertivo della tesi sostenuta che per la necessità di dimostrarla mediante un confronto problematico con la produzione documentaria – opzione comprensibile alla luce del carattere anche divulgativo dell’opera – l’interesse del libro è costituito soprattutto dal suo carattere felicemente provocatorio e libero e dal tentativo di affrontare ‘ di petto’ alcune delle questioni più radicali e cruciali del successo del cristianesimo e del ruolo del primo imperatore cristiano: da una parte si illustrano i motivi della ‘superiorità’ della nuova religione rispetto a culti, riti e costumi della religione pagana consuetudinaria (e l’autore è attento a motivare quali siano i parametri secondo i quali si possa argomentare tale presupposta superiorità), dall’altra si insiste sul carattere esclusivamente religioso della conversione costantiniana, sulla sincera ‘buona fede’ di un personaggio, secondo le argomentazioni di Paul Veyne, totalmente al di sopra di quella storia che pure governava e indirizzava.

L’autore non ravvisa infatti né una sua tendenza a condividere l’ attrazione delle élites aristocratiche romane per culti e suggestioni religiose di origine orientale (è respinta con convinzione l’assimilazione del culto del ‘sol invictus’ a quello per il Cristo) né la necessità di un ricorso strumentale della religione cristiana per ragioni di opportunità politica al fine di poter disporre di una religione unica e ‘sotto controllo’ per il governo di un impero quanto mai universale. Si deve infine segnalare nella parte finale del libro tre ragionamenti dotati di una loro autonomia, pur negli inevitabili collegamenti con l’impianto del volume: una significativa attenzione alle sorti della ‘religione di stato’ del popolo ebraico tra identificazione delle eresie cristiane e nascita dell’antisemitismo (ma non si trascuri l’appendice finale dedicata al rapporto tra politeismi e monolatria nel giudaismo antico), una critica presa di posizione verso un’interpretazione ideologica del vissuto sociale e religioso all’interno della storiografia attuale, infine una decisa e motivata avversità all’ identificazione di quelle origini cristiane recentemente al centro della riflessione politica sulla costituzione europea e che è, paradossalmente, all’origine, probabilmente per ragioni editoriali, dell’ ‘improprio titolo’ cui si è accennato all’inizio.







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