La poesia facilita il dialogo tra Occidente e Oriente
Data: Mercoledì, 08 ottobre 2008 ore 17:18:42 CEST
Argomento: Redazione


SERGIO IAGULLI scrive: "Sarajevo non è certo la città dai mille minareti, ma scorgendo dall’alto delle sue infauste colline il suo distendersi lungo la Miljacka non può che restare fortementeimpresso la pur lunga sequela di questi emblemi dell’Islam. Ma qui Islam è moderazione, la componente asburgica ed europea ha lasciato un segno indelebile che rafforza la multietnia della capitale bosniaca. Ne è profondamente convinto Giuseppe Conte, poeta italiano al settimo Festival Internazionale della Poesia di Sarajevo. “Una città straordinaria dove non ero ancora stato nei miei tanti giri. La Bosnia – ci dice Conte – è il trentunesimo paese che mi ospita. La cosa che mi ha maggiormente colpito è di aver visto minareti e palazzi europei e volti umani fusi nel profondo tra di loro. Per chi come me ha fatto del rapporto tra i due mondi e le due culture una ragione poetica, vedere solo ora questa città sembra quasi un peccato ma anche un fatto che mi lascia ben sperare per il futuro”. Alla lettura della prima giornata Conte ha assitito con grande interesse, ricavandone una sensazione di varietà di toni e registri che l’ha colpito. “Io ho voluto portare qui a Sarajevo testi provenienti da tutte le mie raccolte. Saranno sei o sette, ma anche uno dei Canti d’Oriente che letto a Istanbul, nella sua traduzione in turco ha fatto presa. Forse anche qui potrebbe essere accolto con interesse”. Continuando a camminare tra le vie di un centro storico di piena identità musulmana e allargando il passo verso la più antica chiesa ortodossa della città, e quindi aver messo piede anche nel quartiere ebreo (sintesi di religioni in itinere), avendo la compagnia di uno dei più grandi poeti italiani viventi sfugge la domanda più classica. E la poesia? “Si è perso, o meglio ci si è sottratti a un ruolo. Mettiamola così: per me – precisa Giuseppe Conte – la poesia deve avere un estremismo lirico che le permetta di inerpicarsi con la parola alla ricerca dell’Assoluto; e poi deve parlare del mondo, delle cose dell’uomo e questo per impedire che su mondo e uomini, in questo ruolo, i poeti siano sostituiti dai Rossi o i Vecchioni della situazione”. Insistiamo ancora con lui sul tema del ruolo, cerchiamo di condurlo ad altre considerazioni. Accoglie le nostre sollecitazioni e continua. “Se penso alla tomba di Hafis, grande poeta persiano di oltre sette secoli fa, che oggi è un luogo di pellegrinaggio mentre la tomba di Dante a Ravenna, e dico di Dante, del sommo poeta, è ricoperta di cacche di piccioni, se questa è la misura della considerazione... viva allora l’oriente”. E nella orientale e al contempo occidentale Sarajevo la poesia ritrova il suo ruolo, non è così? “In questo senso è direi perfino naturale che Sarajevo – conclude Conte – sublime porta tra Oriente e Occidente si trasformi da sette anni in un eccezionale luogo di incontri internazionali di poesia, il solo genere letterario ancora in grado di generare un vero dialogo tra le culture, tra Oriente e Occidente. E di questi tempi mi creda... è davvero tanto”.


Ed ecco una delle poesie lette da Conte a Sarajevo:

Sono qui seduto su un tappeto

Sono qui seduto su un tappeto
di foglie e fiori di primavera

e il mio silenzio è una preghiera
ed ho con me la coppa e il vino.

Se la mia Amata fosse vicino
se la sua bocca lucente fosse qui.

Il profumo dei suoi baci
è più dolce del gelsomino.

Dicono che sono saggio perché
conosco tutte le parole di Dio

e so che il suo volto non si vede
ma a tutti i roseti concede

la sua porpora e il suo fuoco.
Ma io sono saggio perché bevo, gioco

canto mentre il tempo ci rapina.
Quante rose si apriranno stamattina

e quante ne cadranno domani
o sotto le raffiche degli uragani

avvizziranno. Il tempo ci affratella
noi che ci muoviamo sotto lo stesso cielo.

Non è la stessa per noi tutti quella
luna che sembra una melagrana

staccata lentamente dal suo ramo?
Ma io sono saggio perché amo.

Giuseppe Conte

Da Canti d’Oriente e d’Occidente

(Mondadori ,1997





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