MA INTERNET SA TRADURRE?
Data: Luned́, 26 maggio 2008 ore 15:33:25 CEST
Argomento: Rassegna stampa



Nell’estate del 1956 un gruppo di scienziati si riunì al Dartmouth College, nel New Hampshire, per fondare l’intelligenza artificiale, una singolare disciplina che si proponeva di costruire macchine capaci di imitare le attività cognitive degli umani. Le macchine in questione erano i computer, che non sono semplici esecutori di calcoli, ma possiedono capacità simboliche tali che molti li considerano il modello più fedele della nostra mente. La tendenza a identificare l’intelligenza umana con i suoi aspetti razionali e algoritmici rafforzava la convinzione che l’informatica fosse la tecnologia giusta per costruire modelli della mente corretti e collaudabili. Tra i compiti che l’intelligenza artificiale intendeva affrontare vi era quello della traduzione automatica, che sfociava nel mito del traduttore universale, un dispositivo che con un giro di manovella fornisse la versione perfetta di ogni testo da una lingua qualsiasi a un’altra. La storia della traduzione automatica è piuttosto recente.(Da Avvenire)M.AlloTrascurando le prime riflessioni teoriche di Cartesio e Leibniz e i tentativi degli anni 1930 e 1940, basati su dizionari bilingui e condotti in sostanza da traduttori umani, si parte nel 1954 da un sistema americano che, su una base di 250 parole, era capace di tradurre 49 frasi scelte (quasi tutte nel settore della chimica) dal russo all’inglese. Nonostante la sua esilità, il dispositivo fece sperare che la traduzione automatica fosse solo questione di poco tempo e di molti finanziamenti.
Fiorirono le ricerche, negli Stati Uniti e altrove, compresa l’Italia. I sistemi proposti si basavano su modelli molto semplificati della comunicazione umana, che non tenevano conto, per esempio, della ricchezza semantica e soprattutto dell’ambiguità delle lingue naturali, tanto che fu anche proposto di usare 'lingue controllate' nelle quali fosse assente l’ambiguità.
Nonostante le loro limitazioni, i sistemi automatici erano in grado di fornire una prima traduzione approssimata, soprattutto dei testi tecnoscientifici, nei quali l’ambiguità è molto scarsa. Il risultato era sufficiente a dare un’idea del contenuto e, se questo risultava interessante, si poteva procedere a una traduzione 'umana'. Ma nel 1966 l’Automatic Language Processing Advisory Committee (Alpac) giunse alla conclusione che, nonostante gli ingenti finanziamenti ricevuti, la traduzione automatica era meno precisa e più lenta e costosa di quella umana e che non sarebbe giunta a livelli accettabili nel futuro prevedibile. Ci si doveva quindi limitare al progetto di sistemi ausiliari per i traduttori umani, per esempio dizionari automatici, repertori, lessici specifici e così via. La relazione dell’Alpac causò il blocco della ricerca negli Stati Uniti, mentre gli studi proseguirono in Unione Sovietica, in Gran Bretagna e in Canada. Per dare un’idea, un sistema canadese, varato nel 1977 e sostituito da un sistema più avanzato solo nel 2001, consentiva di tradurre dall’inglese al francese ottantamila parole al giorno (30 milioni all’anno) nel settore delle previsioni meteorologiche. I continui progressi dei computer da una parte e le crescenti esigenze comunicative della globalizzazione dall’altra portarono, verso l’inizio degli anni 1980, allo sviluppo di sistemi di traduzione automatica meno costosi e più raffinati, validi soprattutto per la stesura di traduzioni preliminari. Si pensi per esempio alla massa imponente di traduzioni che si effettuano ogni giorno nell’ambito dell’Unione Europea: senza aiuti automatici, il compito sarebbe davvero improbo. Le tendenze più recenti contemplano l’uso dei piccoli computer personali in luogo dei grossi mainframe degli anni 1990 e soprattutto la presenza di strumenti di traduzione automatica in Internet: per esempio «Babel Fish» di Altavista e «Language Tools» di Google. L’impostazione soggiacente è passata dal tentativo di costruire dizionari enormi, contenenti tutte le parole e le regole grammaticali, a criteri statistici, basati sulla frequenza dei vocaboli e dei significati, spesso integrati da specifiche conoscenze sintattiche e lessicali. Le difficoltà della traduzione automatica derivano dalla complessità del fenomeno linguistico e comunicativo, nel quale si mescolano elementi naturali e convenzionali, sintattici e semantici, pragmatici ed emotivi. tutta una serie di valenze metacomunicative ed extracomunicative, senza le quali lo scambio si ridurrebbe a poco più di niente.La comunicazione non è un fenomeno meccanico, inscritto in un determinismo invariabile: esso possiede carattere storico e culturale, ed è quindi soggetto alle contingenze e al dinamismo dei rapporti tra soggetto e soggetto e tra soggetto e ambiente. È un’attività, quella comunicativa, intessuta di metafore, di significati empirici e di ambiguità che screziano e arricchiscono il puro scambio di informazioni, corredandolo di
Questi pochi cenni fanno intuire la ricchezza della comunicazione umana rispetto all’immagine semplificata (e impoverita) che ne fornivano i primi modelli di intelligenza artificiale. Oggi quei modelli sono stati integrati e complessificati, ma per molto tempo sono stati presi alla lettera, e ciò dovrebbe farci riflettere sulla potenza delle metafore. In particolare la metafora del cervello­calcolatore, che non ha ancora esaurito la sua spinta di suggestione, se da una parte ha consentito progressi importanti nella comprensione di certi fenomeni, dall’altra, come spesso accade nella costruzione delle teorie formali, ha costretto la ricchezza dei fatti osservati nella ristrettezza dei modelli. È evidente che non tutti i testi presentano le stesse difficoltà di traduzione: una pagina di matematica può essere tradotta da una programma informatico senza gravi problemi, mentre un racconto o, al limite, una poesia, richiedono una raffinatezza, una competenza linguistica e soprattutto una conoscenza enciclopedica del mondo che nessun sistema artificiale attuale o prossimo possiede.





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