A giorni tutti i ragazzi dell’obbligo torneranno
a scuola, tutti tranne quelli che hanno
scelto di seguire i corsi professionali triennali,
e in Sicilia sono 8-9.000. Ancora una volta,
per il terzo anno consecutivo, la Regione tarda
a dare avvio ai corsi e gli iscritti che domandano
agli enti formatori la data d’inizio
delle lezioni non ottengono alcuna risposta.
Eppure in tutte le altre regioni d’Italia il calendario
è già stato fissato.
Le famiglie siciliane sono entrate in agitazione
e ne hanno motivo. L’anno scorso i corsi
professionali regionali triennali sono cominciati
quasi tutti ad aprile, a fine anno scolastico.
E questo ha significato che molti giovani
non hanno frequentato affatto, e peggio,
che nei lunghi mesi trascorsi senza far nulla,
in strada, si sono perduti alla scuola, sono
entrati in giri criminali.
A lanciare l’allarme, ancora una volta, è il
presidente dell’associazione «Città solidale».
Il prof. Piero Quinci, proprio per evitare che si
ripeta quanto accaduto l’anno scorso, ha preso
carta e penna e ha scritto una lettera aperta
ai responsabili istituzionali dei corsi, l’assessore
regionale al Lavoro Formica (An) e
l’assessore regionale alla Pubblica istruzione
Lenza (Mpa), e ai rispettivi dirigenti. Una lettera
accorata nella quale domanda di quale
«mal-formazione» si sono macchiati i giovani
che in Sicilia hanno scelto la formazione
professionale «per non meritare la certezza e
l’uguaglianza dei diritti», di quale difetto sono
portatori tanto da essere oggetto di «aborto
sociale selettivo» nella formazione? «La
verità - dice - è che questi ragazzi sono figli di
povera gente, sono figli di operai che non riescono
a fare sentire la propria voce. Eppure ritardare
di settimane, di mesi, il loro ingresso
alla formazione professionale significa perderli,
consegnarli, di fatto, alla malavita, colludere
con essa. Per questo ho scritto, invocando
il loro intervento, anche al presidente
della Provincia, al sindaco e al prefetto. Perché
è una questione troppo delicata e importante».
Ricorda, il prof. Quinci, che l’anno scorso i
funzionari della regione autorizzarono gli enti
che gestiscono i corsi a «cominciare l’anno
sotto la propria responsabilità», cioè anticipando
i costi dei materiali e gli stipendi dei
professori. «Come se si trattasse di un’attività
lucrativa di interesse privato e non di un diritto-
dovere sancito dalla Costituzione e dalla
legge, e di una competenza esclusiva della Regione
». Una scelta, questa di avviare i corsi
senza fondi, che soltanto gli enti più grandi, i
salesiani e le salesiani, hanno potuto fare,
«con enormi difficoltà, per non tradire la propria
vocazione». Per gli altri è stato impossibile.
«E che non dicano che i problemi derivano
da Roma ladrona, perché anche le altre regioni
dipendono dal centro, ma hanno ottenuto
finanziamenti e autorizzazioni. Il problema è
che in Sicilia le pratiche non vengono istituite
per tempo e che nessuno controlla che chi
deve farlo svolga il proprio lavoro nei tempi
previsti. Ed è un’insufficienza grave che, qualora
non ci fossero risposte in tempi brevi, entro
dieci giorni, segnalerò agli organi competenti
denunciando eventuali negligenze e/o
omissioni dei dipartimenti regionali interessati.
I responsabili istituzionali devono sapere
che così si uccide la speranza dei ragazzi».
PINELLA LEOCATA (da www.lasicilia.it)