SE LA SCUOLA INSEGNA ANCORA LE GRANDI STORIE D’AMORE…
Il ministro Fioroni in un incontro di qualche settimana fa ha fatto un’osservazione che mi ha invitato, lo confesso sinceramente, a riflettere: gli insegnanti non devono stare lontani dal mondo dei giovanissimi, perché si precludono così la possibilità di comprenderli a fondo. Bisogna, invece, vivere in mezzo alle loro cose, ai loro libri, ai loro film, alla loro musica…insomma diventare un po’ quindicenni, per cogliere quel magico, complesso, contraddittorio universo che si chiama adolescenza.
Giusto. Sacrosanto. Se continuiamo a vivere immersi tra i nostri Dante, Virgilio, Petrarca, se guardiamo con nostalgia a grandi capolavori cinematografici, se ci risuonano in mente le note di Bach…che cosa potremo mai afferrare degli alunni che, perfetti estranei ai nostri mondi, ci compaiono ogni giorno, distratti e assenti, davanti?
Bene. Animata dal sacrosanto proposito di capirne di più di questi fantomatici ragazzi di oggi, ne ho fatta una proprio ma proprio grossa: sono andata ad assistere in contemporanea nazionale a un film tanto atteso, agognato dai giovanissimi, sull’onda del successo dell’omonimo romanzo di Federico Moccia.
Ebbene sì, c’ero anch’io a vedere“Ho voglia di te”. E così, in una platea affollata di sedicenni, nella quale non avresti potuto trovare nemmeno col lanternino un adulto, è iniziato il film. Ovvero il trionfo della stupidità. Attori insipidi e melensi, ingessati e scialbi. Dialoghi sciocchi e banali, molto più sciocchi e banali di quelli del romanzo. Storia scontata e a tratti costellata di inverosimiglianze, scene pietose da telenovelas, regia scadente. Ho visto sfilare ragazze che, impasticcate, erano convinte di andare a letto con uno…e invece era un altro; altre che dovevano sposarsi dopo tre mesi, ma facevano l’amore con un loro ex per capire chissà che cosa; e addirittura il funerale, udite, udite, di una motocicletta, funereamente gettata nel Tevere in ricordo di un vecchio amico.
Ma soprattutto ho visto bistrattato e banalizzato il tema dell’amore, quello che doveva essere il fiore all’occhiello del film: incontri scipiti, baci senza emozione, amplessi senza convinzione, nemmeno un colpo di scena, nemmeno un sobbalzo del cuore. Tutto monotonamente uguale, senza fremiti, palpiti, sospiri.
E’ questo il mondo di quegli adolescenti che all’uscita, con gli occhi lucidi chissà per che cosa, mormoravano estasiati: “Bellissimo, bellissimo”?
Bruttissimo invece, davvero. Non è così l’amore, nemmeno nel Duemila. E ho pensato, per una volta orgogliosamente, alla scuola. La scuola che salva le grandi storie d’amore. E meno male che c’è Francesca da Rimini, la Francesca di Dante, che in pochi versi ci rappresenta una passione vera, lacerante, palpitante; e che c’è il suo amante Paolo che la bacia tutto tremante. Altro che quelle figurine di carta del film…
Silvana la Porta