Lettera aperta del Direttore Generale
Cari ragazzi e ragazze, cari professori e professoresse, l'idea immediata di questa lettera è nata dalla lettura di un articolo sul Giornale di Sicilia, ma l'esigenza di scriverla maturava già da tanto tempo, sotto la pressione delle situazioni che rendono ogni giorno più attuale il problema della droga nel mondo dei giovani. A dirlo sono le cronache e i numeri, sempre più impressionanti, delle statistiche.
Siamo perfettamente consapevoli che molti ritengono esagerato l'allarme sociale su questo fronte e rifiutano quella che reputano una forma di demonizzazione di abitudini in sé abbastanza innocenti. Qui non vogliamo entrare nel merito delle valutazioni mediche. Vorremmo solo che, quanto a voi, vi chiedeste se sia normale che, per affrontare decentemente la vita, tanti ragazzi e ragazze debbano ricorrere a delle pasticche, da cui dipendono la loro energia e il loro senso di sicurezza nel rapporto con gli altri e, forse, in quello con se stessi.
Certo, si può obiettare che le droghe in questa nostra società non sono solo quelle che vanno sotto questo nome. Ci sono le sigarette. C'è l'alcool. In senso più ampio, possono essere considerate droghe anche la televisione, il calcio, la corsa al successo. Ma forse questo non è un buon argomento per minimizzare le altre. Il fatto che tanta gente riesca a tirare avanti solo stordendosi e procurandosi un'euforia artificiale, che non affonda nel senso reale della propria vita, non è una grande consolazione. Anzi, aiuta a capire meglio perché sia sbagliato mettersi sulla stessa strada e ricorrere addirittura a delle sostanze chimiche per ottenere quei risultati effimeri.
Quel che è sicuro è che il problema della droga non si risolve solo con la repressione. Proprio perché essa è il surrogato di qualcosa che non c'è, proprio perché nasce da un vuoto di punti di riferimento e di motivazioni , non ci si può illudere di combatterla solo coi carabinieri.
Che fare, allora? Non ci sono ricette. Una cosa importante sarebbe almeno parlare: non tanto della droga in sé, quanto della ragioni che la rendono necessaria, o almeno utile, a tanti giovani. E la scuola può costituire un luogo adatto a questo confronto.
Per questo vi abbiamo scritto questa lettera. So bene che l'anno sta finendo, che non c'è tempo, che tutti siamo presi da mille impegni. Ma vorrei che questo discorso non finisse con la fine dell'anno scolastico. Vorrei che riprendesse il prossimo settembre. Che si accompagnasse a un modello di scuola dove, oltre a studiare, si parli francamente, si discuta, si rifletta insieme sulle scelte della vita. Non per eludere le esigenze della cultura, ma perché una cultura che non aiuta a vivere non è neppure cultura.
In questo cammino, che solo le singole scuole possono fare, noi vorremmo avere un ruolo di stimolo, senza pretendere di sostituirci a nessuno. Perciò, nel pieno rispetto della vostra autonomia, vi sottopongo l'articolo di cui parlavamo all'inizio. A partire da questa lettura, di scambiarvi qualche idea. Questo vuole essere un inizio di un discorso più ampio che continuerà a settembre.
A voi tutti, un cordiale saluto. Guido Di Stefano
Direttore Generale Ufficio Scolastico Regionale della Sicilia
Da "Giornale di Sicilia" del 5 maggio 2005
Ecstasy e cocaina: sono queste le droghe che oggi hanno un più vasto mercato tra i giovani in Sicilia. Nei giorni scorsi ne sono state sequestrate enormi quantità. Da parte loro, le forze dell’ordine stanno cercando di sgominare la rete criminale che gestisce questo traffico: sedici arrestati due giorni fa, tra Palermo, Carini e Villabate, due a Erice, due a Catania, ben quarantacinque nella zona di Enna. Senza contare i classici spinelli sempre più diffusi, ormai, perfino dentro le nostre scuole. È di giovedì scorso l’arresto di due studenti di un liceo palermitano che spacciavano hashish durante la ricreazione.
Ma la repressione non basta. Per quanto grati possiamo essere a polizia e carabinieri delle loro brillanti operazioni contro gli spacciatori, rimaniamo con dentro la domanda: perché? Qui è necessario cercare di capire. Proviamo a farlo, per quanto è possibile nello spazio di un articolo.
I “clienti” sono nella grande maggioranza ragazzi e ragazze. Trovano l’ecstasy in discoteca, dove serve per avere le energie necessarie a ballare freneticamente tutta la notte trascinati da una musica assordante. Stordimento allo stato puro. “Sballo”. Sensazione di vivere intensamente almeno qualche ora di una esistenza per lo più grigia e noiosa. Anche la cocaina ha l’effetto di dare energia - sia pure fittizia - , smalto, di fare sentire “in forma” e di far apparire tali agli altri. Sono le droghe di una società fortemente competitiva, iperattiva, spietata nei confronti di chi mostra segni di cedimento. Non servono, come altre sostanze stupefacenti, a fuggire, a sognare, ma a tuffarsi nel vortice della vita senza sgomento, senza debolezze. Almeno in apparenza. Perché esse stesse sono, in realtà, la debolezza di cui pretenderebbero di essere la cura. Ma l’apparenza, in questo mondo contemporaneo, tutto basato sull’immagine e sulla realtà virtuale, basta.
Dietro, un grande vuoto. Ragazzi e ragazze che stentano a trovare punti di riferimento. Le famiglie, spesso, sfasciate. Il padre che se n’è andato e che il sabato ti porta a mangiare in trattoria per fare quattro chiacchiere. La madre affaticata e frustrata, che si sforza come può di tirare la carretta di un’educazione che fa acqua da tutte le parti. Oppure, se i genitori stanno insieme, spesso sono troppo presi dal lavoro per dedicare molto tempo ai figli. La scuola, da parte sua, non è più, nella maggior parte di casi, in grado di offrire prospettive di valore e di senso. Le figure significative, i “maestri”, sono diventati sempre più rari. Molti docenti, delusi e scoraggiati, sognano solo di andare in pensione. Altri si chiudono in una professionalità asettica, che ignora la dimensione umana per concentrarsi sulla trasmissione di competenze avulse dalla vita reale. Perciò, per molti ragazzi e ragazze, la scuola costituisce un’esperienza di pesantezza e di noia, se non addirittura di frustrazione.
Così crescono soli, in un clima culturale che li sollecita con troppi stimoli e li abbaglia con troppe suggestioni. Sono divorati dalla voglia di avere tutto e subito. Senza la capacità di discernere, di selezionare, di scegliere. È la logica del consumismo imperante. Da qui l’agitazione continua, l’ansia, la corsa nevrotica dietro mille cose, nel timore che sfuggano. Da qui anche l’incapacità di accettare i limiti, la sproporzione tra ciò che si è stati spinti a desiderare e ciò che effettivamente si riesce ad ottenere dalla vita. Perché alla fine, in questa grande fiera delle opportunità, si scopre che molte erano illusioni. Sesso facile, ma che lascia più soli e distanti di prima. Soldi, ma mai sufficienti a stare al passo delle mode. Sogni di successo, ma che si infrangono davanti a prospettive di lavoro sempre più problematiche, che finicono per vanificare anche il senso dello studio scolastico e universitario.
C’è da stupirsi che questi ragazzi cerchino una rivincita su questo vuoto e sulle loro fragilità inghiottendo pasticche per provare, almeno una notte, l’ebbrezza di sentirsi forti e sicuri di sé? Che basti loro l’esperienza di un “attimo fuggente”, dato che non riescono a trovare nella prosa quotidiana qualcosa che brilli e dia significato alla loro vita?
Ma, se le cose, almeno in una certa percentuale di casi, stanno così, il vero problema non è la crisi dei giovani, bensì quella degli adulti. Siamo noi che li abbiamo abbandonati, salvo a stupirci dolorosamente quando scopriamo di avere il figlio o l’alunno drogato. Forse siamo noi il modello negativo dell’ansia, della superficialità e del vano arrivismo a cui essi si ispirano, spesso inconsapevolmente. Essere capaci di riconoscerlo sarebbe già un passo verso la guarigione. Saremo capaci di farlo? Ognuno è chiamato a dare la propria risposta. Ma è bene aver chiaro che da essa, più che da ogni altra cosa, dipende se gli spacciatori, a cui carabinieri e polizia danno in questi giorni la caccia, continueranno anche in futuro ad avere clienti.
Giuseppe Savagnone
Da "Repubblica" del 17 Maggio 2005
L´adolescenza difficile che la scuola trascura
CORRADO AUGIAS
Caro Augias, sono uno psicologo di 35anni con formazione psicoterapeutica e psicoanalitica infantile e dell'adolescenza, scrivo in merito all'argomento dei giovani autori di varie nefandezze di cui la cronaca ha dovuto riferire. Sottolineo quanto sia importante recepire il prima possibile le forme del disagio in età evolutiva. Tali forme di sofferenza dall'infanzia alla «tarda adolescenza» si manifestano in molti modi dai disturbi psicosomatici e disregolazioni affettive sino ai gravi disturbi di personalità.
Oltre e forse più della famiglia è la scuola che ha il punto d'osservazione migliore. Purtroppo servizi pubblici e convenzionati non hanno i fondi necessari all'attivazione di percorsi terapeutici adeguati. Ho spesso notato anche una tendenza alla sottovalutazione di segnali importanti, talvolta macroscopici, di disagio psichico. Una mancata attenzione a questi segnali è un'omissione grave; le conseguenze sullo sviluppo della personalità e del `sé' sono evidenti agli occhi del clinico e purtroppo della società.
Dei gravi episodi cui si fa riferimento sono spesso protagonisti adolescenti molto disturbati. Riguardano in gran parte quelle aree sociali e quegli individui di cui «ci si accorge» solo quando mandano segnali non più ignorabili. Purtroppo in una società dove «il Pil cala perché si va in vacanza a Pasqua», ci si convince che gli adolescenti sono feroci perché vedono film violenti, ascoltano il rock e si fanno il piercing.
Pier Christian Verde
pieverde@tiscali.it
I disturbi adolescenziali, quel tipico sentimento d'insicurezza da cui può scaturire l'aggressività, sono noti agli psicologi, agli studiosi della società e anche alla letteratura, sappiamo dunque da molte fonti che quei comportamenti sono sempre esistiti. Per fare alcuni esempi, la malvagità di Franti in 'Cuore' di De Amicis, espone esattamente il quadro di un giovane teppista deviante rispetto alla maggioranza dei suoi compagni e, ancora di più, ai canoni repressivi della società in cui vive. Anche 'I ragazzi della via Pal'di Molnàr dà un quadro analogo di crudeltà collettiva e inconsapevole nei confronti del più debole del gruppo. Così 'Il signore delle mosche' di William Golding dove un gruppo di bambini ridotto dalle circostanze allo stato di natura dà prove impressionanti di ferocia individuale e collettiva.
Dov'è allora la specificità dei frequenti comportamenti paracriminali nei giovani d'oggi? (non sto parlando dei casi più gravi, sia chiaro). Il primo elemento è la loro frequenza sicuramente più alta; in una società di massa tutto tende a diventare di massa. Il secondo elemento che rende più frequenti quei comportamenti è il dilagante feticcio dei consumi e dunque del denaro. Il giovane teppista che punta il coltello alla gola del suo coetaneo per strappargli il giubbetto griffato, il motorino o il cellulare è spinto da impulsi forti indotti dai modelli prevalenti, in primis la pubblicità.
A questo bisogna aggiungere l'atmosfera priva di stimoli culturali o etici che si respira in numerose famiglie; una scuola senza mezzi, anzi ridotta in molti casi al lumicino, nella quale si è tentato d'immettere un'ideologia 'aziendalistica' che nelle condizioni date rischia di diventare grottesca, caricatura di ciò che si vorrebbe suggerire, quanto di peggio.