Milo e i suoi mulini. Racconti milesi di Paolo Sessa
Data: Domenica, 25 agosto 2024 ore 13:55:00 CEST Argomento: Redazione
Salendo da Giarre e da
Zafferana, all’ingresso sud-est
della cittadina etnea di Milo, dove le conformazione del terreno
presenta un
rapida discesa dall’alto, tanti anni fa, come si legge nella pergamena
del 1391,
quando l’aragonese Manfredi Alagona, barone di Vizzini, Scordia e
Francofonte, figlio
di Blasco II, conte di Mistretta e
fratello minore di Artale, autorizzò Simone di Miroponte
ad assumere la gestione del priorato di “l’acqua
di lu Milu”, sorgevano dei mulini ad acqua, a ruota orizzontale
che, per l’abbondante portata del torrente
Nespola,
assicuravano un efficiente servizio per la molitura del grano,
dell’orzo e della
segala.
Del
primo mulino di Milo non
rimane nulla, essendo state costruite nel tempo casa di civile
abitazione e la
tradizione orale ricorda una grande gebbia, in prossimità
dell’attuale
biblioteca comunale, dalla quale partiva una saja che consentiva
la
discesa dell’acqua verso il secondo mulino, che nel 2015 è stato
“scoperto” e
valorizzato, come sito storico, in attesa di ulteriore ampliamento
espositivo.
“Qui
c’è il cuore, il
volto, la storia e l’identità di Milo”, afferma con convinta
passione, il
prof. Paolo Sessa, attento cultore della storia locale, diligente
ricercatore
delle cose vere, autore del volume “Mistero al multino e altre
storie milesi”,
Algra editore, presentato nell’ambito del ricco programma dell’estate
di Milo
2024.
La
dettagliata descrizione
dei luoghi, le operazioni compiute da Andrea, il mulinaro, documentano
le
caratteristiche del mulino ad acqua, conosciuti in epoca romana e molto
diffusi
nei territori fino all’alto Medioevo ed ora grazie ad una tenace opera
di
recupero e di valorizzazione, restituiti
alla memoria della popolazione.
Le
terre di Milo, appunto,
di pertinenza del Priorato benedettino e governate dal Vescovo di
Catania,
Conte di Mascali, erano fonte di guadagno e di sussistenza del
monastero,
attorno al quale prese vita la comunità dei contadini e vignaioli.
L’autore, con abile
maestria, colloca i racconti, coloriti di pennellature descrittive del
paesaggio,
dei numerosi personaggi, che sembrano rivivere nelle pagine dei
racconti con le
loro bizzarrie, proverbi, aneddoti, quasi la scena di un film che
presenta attori
protagonisti e abili costruttori di futuro. L’arciprete, Mons Fichera,
è sempre
presente tra le vie del Paese, che richiama anche attori
e personaggi famosi, e nelle storie
delle famiglie, con i drammi dei figli che si sposano, o emigrano, o si
fanno
suore o preti.
Nei
18 racconti del
volume, appare come in un film la storia del comune di Milo, con i suoi
quartieri:
Fornazzo, Nespola, Piano Llera, (Rinazzo), Praino, Volpati: “qui la
gente
vive all’antica, lavora, fa figli e va a messa la domenica,” e il paese “respira calmo il silenzio del
cielo stellato”.
Vengono
scandite le tappe
di sviluppo sociale: l’arrivo del primo medico nel 1904; della luce
elettrica nel
1928, la costruzione della chiesa di Fornazzo nel 1932; la prima
farmacia nel 1957 e il
tutto è colorito dai racconti dei
caratteristici personaggi: don Peppino, don Vito, don Paolino, don
Ciccino,
Lunardo, i quali hanno fatto la storia
del Paese, raccontata e inghirlandata da
citazioni bibliche, preghiere e salmi, segno palpitante della
religiosità
popolare del borgo, nei primi anni del dopoguerra.
L’armonica
descrizione dei
luoghi, del paesaggio, le immagini poetiche che le parole evocano,
rendono
preziosa l’antologia delle storie milesi, ricche di tanti insegnamenti,
come
l’ultimo racconto, nel quale il vecchio leccio rimprovera i cittadini
per il
degrado della spazzatura, che non consente alle margherite di fiorire.
Splendida lezione di ecologia e messaggio educativo per il rispetto
della
natura e la custodia del creato.
Il
volume documenta l’attaccamento
profondo per il Paese che l’Autore ha testimoniato nella diligente
ricerca di
storie locali e personaggi, consegnati alle nuove generazioni come dono
e
preziosa eredità di virtù e di valori.
Giuseppe Adernò
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