“Come può un ragazzo come me costruire la pace?”
Data: Lunedì, 23 ottobre 2023 ore 08:00:00 CEST Argomento: Redazione
“La
pace non è solo uno stato di fatto –l’assenza
della guerra– ma è prima di tutto un modus vivendi, una maniera di
stare al
mondo, di vivere con se stessi e coesistere con gli altri.
Quest’interpretazione della pace come vocazione è vincolata al concetto
di una
giusta educazione, imperniata sui valori della nonviolenza,
dell’alterità,
della giustizia sociale, del rispetto del genere umano”. Questo è il
nucleo
della visione della pace proposta dalla filosofa spagnola Maria
Zambrano
(1904-1991), che vede nell’educazione alla pace la via imprescindibile
per
giungere ad un autentico rispetto della sacralità tra le “creature
umane”.
Tra
le pagine ingiallite dei giornali di alcuni
anni fa ho trovato un manifesto color seppia con l’immagine di un
ragazzo che
cerca di comporre un puzzle con la parola “Pace”.
Ricordo
che la foto è stata scattata nel cortile
della scuola, mentre in classe si dibatteva il tema della pace. Era il
1991,
quando era scoppiata la guerra del Golfo in Medio Oriente.
Ancora
oggi ci si pone la medesima domanda. “Come può un ragazzo come me
costruire la pace?”. Come educare alla pace, valore
da tutti condiviso, ma disatteso e mal trattato da un comportamento che
calpesta i diritti e la dignità delle persone, che alimenta
l’emarginazione,
che si chiude nella cassaforte dell’egoismo e segue i molteplici
sentieri del
relativismo?
L’azione
terroristica di Hamas è l’espressione di
una volontà di strage ignobile, esecrabile, ingiustificabile. Sono
questi gli
aggettivi che i Capi di Governo adoperano per condannare i tristi
eventi
accaduti, ma “adesso cosa possiamo fare?”
Norberto
Bobbio già nel 1989, mentre affermava
“Servirebbe un mediatore forte e riconosciuto, il “Defensor
pacis” che inchioda le parti al compromesso” faceva notare con
amaro
realismo che "Nell’attuale sistema internazionale questo Terzo non
esiste, né se ne profila uno credibile all’orizzonte". Sono trascorsi
34 anni ed ancora la situazione appare immutata.
La pace a scuola si insegna vivendola, dando
concretezza all’essere ”Comunità educante” in cammino, insieme alla
famiglia,
verso la medesima direzione: “il bene dei ragazzi”, “il miglior bene di
tutti e
di ciascuno”.
Le
liti, i conflitti, le gelosie, i segni anche
non verbali di esclusione, di emarginazione,
di allontanamento, di distacco, non sono certamente esempi di
educazione alla
pace; eppure, gli studenti a scuola, spesso registrano tali
atteggiamenti.
E’
difficile costruire la pace che non si può
limitare ad assemblare il puzzle delle lettere “Pace”, o esporre la
bandiera
arcobaleno.ma, seguendo il modello degli educatori “saggi”, occorre
fare dei
piccoli passi e “se ognuno fa qualcosa…” la piantina della pace cresce
e si
sviluppa nel cuore di ognuno e apporta positivi benefici all’intera
società
civile.
La
via della nonviolenza presuppone una svolta
nel «realismo politico» e prelude a «un nuovo modo di agire, vincendo
la ripetizione
della storia, come si legge in “L’educazione alla pace” di Aldo
Capitini:
“perché realista è chi sa gettare nel profondo del suo tempo lo
scandaglio, e
avverte non ciò che ripete il passato come fu, ma ciò che apre, che
rinnova
energicamente»
In
questa nuova prospettiva, la condanna della
violenza è assoluta. Nessuna violenza è giusta, nemmeno la violenza
rivoluzionaria. Da violenza, infatti, nasce violenza, e si diffonde una
diseducazione generale, come ha scritto il direttore de “La Stampa”,
Andrea
Malaguti: «la violenza inghiotte ogni cosa, confonde i pensieri, rende
complicati i ragionamenti, alimenta la cattiveria e i fanatismi».
“Guardare
il presente con gli occhi del passato”
è una regola che impegna a saper “progettare il futuro alla luce dei
valori”.
E’ questa la funzione educativa della scuola ed ogni operatore ha il
compito di
essere “ambasciatore di pace.
Giuseppe Adernò
|
|