E’
compito della scuola non “trasmettere il già
pensato”, formule e contenuti disciplinari, bensì “insegnare
a pensare”, ad usare la testa, a saper guardare oltre,
ad osservare, a saper ascoltare e
saper riflettere, mettendo in atto creatività e intelligenza al fine di
tradurre gli insegnamenti in veri ed efficaci “apprendimenti” che
aiutano a “modificare il modo di pensare, di sentire e
di agire dello studente”.
Lo
diceva anche lo storico Maestro televisivo Alberto Manzi che attraverso
la
trasmissione RAI dal titolo: “Non
è mai troppo tardi “, ha insegnato a leggere e a
scrivere a migliaia d’italiani, in
un periodo di
cambiamenti in cui la società italiana usciva dal dopoguerra, ed ha
consentito
a molti il
conseguimento della “licenza
elementare”,
prima tappa del curricolo scolastico.
Lo
ripete anche Sabino Cassese, presidente emerito della Corte
Costituzionale, il
quale rispondendo alla domanda di Mario Leone, giornalista de “Il
Foglio”, su quali
caratteristiche dovrebbe avere la “sua” scuola, risponde: “Istruire,
nel senso di insegnare a pensare, a discutere, ad analizzare.
Dare nozioni, ma anche spiegare come si ragiona. Aiutare a comprendere,
ma
anche insegnare ad esser aperti all’altrui ragionamento”.
Non
è quindi un ritornello che si ripete, ma un principio e un valore
condiviso che
deve trovare applicazione nella concretezza dell’azione didattica.
La
scuola di oggi ha codificato il percorso formativo attraverso un
traguardo di
competenze che descrivono “ciò che lo
studente sa e sa fare” al termine del percorso.
L’attenzione
alle potenzialità di cui ogni studente è portatore, impegna il docente
e la
scuola ad operare, attraverso l’insegnamento delle discipline per
esercitare le
“capacità” di ciascuno e renderle prima “abilità” e quindi “competenze”
spendibili anche fuori dal contesto scolastico.
L’insegnamento, l’educazione, la relazione
educativa, la progettazione didattica sono tutti “ atti intenzionali”,
che
impegnano il docente nel desiderio di dare risposta ad un bisogno, e
per
garantire efficacia all’apprendimento è necessario suscitare tra gli
studenti motivazione,
voglia e curiosità di apprendere, di chiedere a se stessi il perché
delle cose e
non basta trasmettere soltanto saperi
precostituiti,
infatti, solo “attraverso l’acquisizione
sistematica e critica della cultura, si promuove la formazione
integrale della
persona, che diventa uomo e cittadino”.
Suscitare
un pensiero critico, “Prima riflettere e
poi parlare”, “Agire senza mai smettere di pensare”,
sono formule e regole che rendono la scuola efficace ed efficiente come
servizio pubblico, laboratorio, palestra e fucina d’intelligenze da
coltivare e
sostenere
Quella
che il maestro Manzi chiamava “tensione cognitiva”, stimola la ricerca,
la
curiosità, il desiderio di conoscere cose nuove e guida verso
l’autonomia nel
“saper fare”, dando concretezza e applicazione alle competenze, anche
mediante
esercizi e “compiti di realtà”.
L’insegnare
ad essere aperti all’altrui ragionamento
di Cassese apre la porta all’Educazione Civica che quest’anno con la
Legge
92/2019 ritorna come disciplina, seppure con tante difficoltà di
applicazione.
"E' la Cenerentola della nostra didattica",
dice il giurista. "e la nuova legge
è un misto di troppe cose per poter avere successo e mostra tante
criticità".
Si
cominciò a parlare di Educazione Civica nel 1957 al congresso nazionale
dell’UCIIM,
presso il Castello Ursino di Catania e dal 1958, quando il ministro
Aldo Moro
decise di inserire la materia all’interno del programma di Storia, se
ne parla
ancora cercando sempre nuove strategie.
Tanti
tentativi d’innovazione e continui cambiamenti di nome: Educazione morale e civile,
Convivenza Civile, Progetto
Legalità, Cittadinanza & Costituzione, non hanno
assicurato a
questa materia di studio una propria dimensione.
Secondo
Cassese la motivazione sta nel fatto che: “Non
si è mai sedimentata una cultura che comprenda regole del vivere
civile,
princìpi del diritto, illustrazioni storiche e spiegazioni sociologiche
e
politologiche. La materia, nelle sue poche vere applicazioni, è stata
considerata una specie di divulgazione di principi di diritto
costituzionale.
Una sorta di lunga lista di regole che
oscilla tra diritti (tanti, forse troppi) e doveri”.
Il binomio diritti-doveri nato nel 1795, con
la Dichiarazione
dei diritti e dei doveri dell’uomo e del cittadino,
nel testo della Costituzione
Italiana
è declinato in molti
modi dall’articolo
13 all’articolo
54 ed essendo diritti inviolabili,
hanno un ruolo centrale nel vivere civile, pertanto l’insegnamento
dell’Educazione civica dovrebbe nutrire proprio questi aspetti.
Le
nuove Linee guida per l’avvio nell’anno scolastico 2020-2021
evidenziano “tre
nuclei concettuali”: Costituzione, Sviluppo sostenibile e Cittadinanza
digitale.
“Sono
tematiche, afferma Cassese, che
dovrebbero esser presenti, ma con sviluppi molto diversi. Si può
pensare che la
Costituzione abbia lo stesso spazio della digitalizzazione?
Ecco
perché si ritiene utile predisporre il “Portfolio
delle competenze di Educazione
Civica”: una scheda personale nella quale ogni studente annota
per le 33
ore annue di attività svolte, le tematiche affrontate e registra come
sintesi
di autovalutazione: “Oggi ho compreso che
…” gli apprendimenti acquisiti nei diversi interventi relativi agli
ambiti
disciplinari dell’educazione ambientale e sviluppo sostenibile, della
cittadinanza digitale, dell’educazione stradale, alla salute, alla
legalità,
alla convivenza civile e alla cittadinanza attiva.
Per
la
scuola secondaria di secondo grado dovrebbero essere meglio trattati,
anche
nella prospettiva storica, i diritti dei cittadini per far comprendere
ali
studenti ad esempio: “Perché il
Parlamento e il Presidente della Repubblica hanno durate diverse?” A che servono i partiti? Qual è la
differenza tra le varie tradizioni delle forze politiche italiane? Come
opera
il rapporto elettori-partiti-Parlamento? ”
Sono queste domande che dovrebbero trovare una
risposta, nell’azione didattica, anche attraverso lo studio di tanti
altri
aspetti di storia delle istituzioni e di quelle regole del vivere
civile che, nella
“ricerca del bene comune”,
manifestano segno di vera politica.
“Insegnare e pensare” al come essere
cittadini attivi e responsabili, dovrebbe costituire il baricentro
della
materia che, uscendo dall’impostazione mono-disciplinare, si apre ad
una
speciale e innovativa formula “interdisciplinare”.
La
complessità di tale insegnamento trasversale sollecita una
progettazione
didattica diligente e accurata in linea di gradualità, di continuità e
di
sviluppo armonico nell’ambito dei diversi ordini e cicli di scuola,
così da
poter garantire, a conclusione del percorso scolastico quella completa
formazione
civica del cittadino attivo e responsabile che la scuola ha il compito
di far conseguire.
Purtroppo
le imminenti e urgenti priorità organizzative dell’avvio dell’anno
scolastico,
a seguito dell’emergenza Covid-19, pongono oggi in secondo piano queste
tematiche, che pure sono altrettanto urgenti e funzionali per la
qualità di una
scuola che educa e forma il cittadino.
Giuseppe Adernò