La Crociata, l’Inquisizione e la fine dei Catari
Data: Martedì, 28 luglio 2020 ore 08:00:00 CEST
Argomento: Redazione


Il primo sovrano europeo a scatenare una violenta repressione contro i catari, nel 1017, fu il re di Francia, Roberto II il Pio, perché li considerava responsabili di gravi fatti di violenza e di massacri nei territori francesi. Pochi anni dopo l’imperatore Enrico III fece impiccare alcuni eretici catari, ritenuti protagonisti di gravi misfatti, ma le azioni si estesero anche nei Paesi Bassi dove un fervente cataro di nome Tanchelmo si circondò di tremila proseliti e portò scompiglio e devastazione in tutta la regione, la repressione condotta dal duca di Lorena fu terribile.

La chiesa di Roma aveva già messo in atto vari tentativi per impedire la diffusione del catarismo: già nel 1143 san Bernardo da Chiaravalle vide fallite le sue predicazioni a Tolosa, e nel 1165 un pubblico contraddittorio tra teologi cattolici e catari tenutosi a Lombez risultò inutile. Nel marzo 1179, nel terzo Concilio Lateranense, convocato a Roma da papa Alessandro III, appositamente per discutere dell’eresia dei catari, venne deciso di condannare e di confiscare i beni a tutti coloro che abbracciavano la fede catara, inoltre, si invitarono i principi secolari a porre gli eretici nella debita soggezione, disponendo un’indulgenza biennale, o più ampia, a discrezione dei vescovi, per chi prendeva le armi contro i Catari, colpiti da anatema e accusati di professare dottrine eterodosse e di sovvertire l’ordine sociale: «Ora in Guascogna, ad Albi, nella regione di Tolosa e in altri luoghi la maledetta perversità degli eretici, chiamati da alcuni Catari, da altri Patarini, Pubblicani e in altri modi ancora, ha talmente preso piede, che ormai non professano in segreto, come alcuni, la loro malvagia dottrina, ma proclamano pubblicamente il loro errore e si conquistano dei seguaci tra i semplici i deboli; ordiniamo che essi, i loro difensori e i loro protettori siano colpiti da anatema, proibiamo a chiunque di accoglierli nella propria casa o nelle proprie terre, di aiutarli di esercitare con essi il commercio. Se poi morissero con questo peccato, nessuno potrà richiamarsi a privilegi concessi da noi o invocare qualche indulto per offrire la messa in loro suffragio o ammetterli alla sepoltura cristiana». L’azione di forte opposizione della Chiesa contro i catari iniziò in modo organico nel 1184 con la costituzione “Ad abolendam”, di papa Lucio III, scritta in accordo con l’imperatore Federico Barbarossa.

Ma fu con l’elezione di papa Innocenzo III, avvenuta nel 1198, che la chiesa cattolica cambiò atteggiamento nei confronti dei catari, scatenando una violenta repressione al diffondersi dell’eresia. Nel 1207 inviò in Linguadoca, nella zona di Tolosa, alcuni autorevoli legati cistercensi, come Domenico di Guzmàn e Diego d’Azevedo, vescovo di Osma. Nel 1200 affidò al legato pontificio Raniero da Ponza la missione speciale di predicare contro gli eretici nella Francia meridionale, nella Contea di Tolosa, incaricandolo di procedere contro i ribelli con la scomunica e l’interdizione, ma con la possibilità di sciogliere dalla condanna i pentiti. Il Pontefice nutriva ancora la speranza di ottenere risultati positivi attraverso il dialogo e la predicazione apostolica, con l’intervento del monaco cistercense, che aveva conosciuto direttamente il tormento e l’angoscia che caratterizzavano i movimenti ereticali. Ma l’intervento di Raniero da Ponza, con l’applicazione di dure sanzioni, scomunica, esilio, confisca dei beni, non ebbe l’effetto sperato, i Catari non si lasciarono intimorire e persistettero nelle loro tesi, rifiutando ancora più decisamente l’interpretazione delle scritture, i sacramenti ecclesiastici, la gerarchia e l’intero apparato dogmatico, rituale e organizzativo della Chiesa romana. Innocenzo III inviò ancora invano, nel 1203, dei legati pontifici, con il compito di combattere l’eresia. Anche stavolta fu tutto vano.

Così nel 1208, a Saint-Gilles, in seguito all’uccisione del legato papale, il monaco cistercense Pietro di Castelnau, di cui furono incolpati i catari, papa Innocenzo III, nello stesso anno, bandì una crociata per estirpare gli eretici della Linguadoca, guidata militarmente da Simon de Monfort, e, religiosamente, da Arnaldo di Citeaux. La crociata contro gli albigesi, la prima contro popolazioni cristiane, condotta dal 1209 al 1229, negli intenti doveva limitarsi ad una rappresaglia contro i nemici della Chiesa, ma si trasformò ben presto in una lunga guerra di conquista ad opera della nobiltà francese del nord del paese ai danni delle contee provenzali. La prima città ad essere assediata ed espugnata fu Béziers, nel 1210, seguita da Carcassonne, e poi Montferrand, Montrèal, Albi e molti altri centri della Linguadoca.

L’assedio di Tolosa, nel 1217-1218, fu il momento più difficile per i crociati: Simon de Monfort venne ucciso, e il suo posto fu preso dal figlio Amaury, pur non avendo le stesse capacità del padre. La crociata contro gli albigesi, che assunse la forma di un vero e proprio genocidio, terminò nel 1229 con la sconfitta delle regioni del sud, con la pace di Meaux-Paris, siglata dai due contendenti, da una parte, per il re di Francia Luigi IX, da sua madre la regina reggente Bianca di Castiglia e dall’altra da Raimondo VIII, conte di Tolosa, dichiaratosi “sconfitto e sottomesso”.

Gli scontri tra i cristiane e gli eretici furono molto violenti, per la sola conquista della città di Béziers morirono migliaia di soldati dei due fronti avversi. I numeri del massacro, amplificati dalla propaganda anti-eretica, contribuirono a dare ai crociati la fama di invincibili, spargendo terrore negli avversari. Secondo i legati papali furono trucidate circa 20.000 persone, mentre gli stessi crociati affermarono di aver sterminato “almeno un milione di persone”, sia cattolici che catari, uomini, donne, bambini e anziani. Inoltre, la crociata aveva ridotto in miseria la nobili della provincia della Linguadoca e di conseguenza il catarismo che da loro traeva risorse a poco a poco si spense. Ai baroni del sud e ai catari rimanevano due fortezze: l’imprendibile Montségur e Queribus.

L’ultima roccaforte dei catari, Montségur, fu espugnata nel 1244, in seguito al massacro ad Avignonnet di undici inquisitori, tra i quali Arnaud Guilhem de Montpellier, Ètienne de Narbonne, Stefano da Saint-Thibéry ed altri, con il loro seguito, avvenuta nel 1242, trucidati nei loro giacigli, in una vera e propria operazione militare, in cui fu accusato di essere implicato anche il conte di Tolosa, Raimondo VIII. Quando si diffuse la notizia che gli autori del massacro si erano rifugiati a Montségur, il concilio di Béziers decise di conquistare la città, ritenuta una fortezza catara. L’assedio iniziò nel marzo del 1243 e si protrasse per un anno, finché un traditore, forse per denaro, rivelò agli assedianti una via d’accesso alla città poco sorvegliata. Così i crociati, nel maggio del 1244, sferrarono l’attacco decisivo e riuscirono ad espugnarla inducendo i difensori della fortezza alla resa. La guarnigione militare fu lasciata libera mentre i catari furono processati: chi abiurava aveva salva la vita, chi rifiutava veniva bruciato sul rogo. Tutti rifiutarono di abiurare e la mattina del 16 marzo 1244 oltre 200 catari furono arsi in una località che porta ancora il nome di Pratz dels crematz (prato dei bruciati).

Tristemente famoso rimane il racconto fatto dal cronista cistercense Cesario di Heisterbach, che così riporta: “durante l’ultima fase della conquista di Montségur, molti catari trovarono rifugio con dei cattolici in una chiesa. Il legato pontificio Arnaud Amaury, non potendo distinguere gli eretici ma deciso di risolvere definitivamente il conflitto, ordinò: “Uccideteli tutti! Dio riconoscerà i suoi!”. E fu un massacro, decretando la definitiva fine dei catari e della loro roccaforte di Montségur. Mentre con una successiva operazione militare, nell’agosto del 1255, venne liberata anche la cittadella di Queribus.
In Italia i catari furono sterminati più tardi. Nel 1276, i fratelli Mastino e Alberto della Scala espugnarono con le loro truppe la rocca di Sirmione, dove si erano asserragliati numerosi perfecti insieme ai vescovi di Desenzano e Bagnolo San Vito; i prigionieri furono portati a Verona dove furono bruciati il 13 febbraio 1278.
Successivamente alle violenze della crociata venne “sostituita” l’Inquisizione domenicana e francescana, durata per oltre 100 anni, dal 1233 al 1325, formalizzata nel 1233, da papa Gregorio IX, come “Inquisitio hereticae pravitatis”.

Ufficialmente l’ultimo perfecto fu Guglielmo Bélibaste, condannato al rogo nel 1321 per ordine dell’inquisitore Jacques Fournier, in seguito diventato papa Benedetto XII. Bélibaste è considerato, dalle fonti storiche, l’ultimo rappresentante dell’ultima generazione di catari sopravvissuti fino agli inizi del XIV secolo, in Provenza, nella regione del sud della Francia. Così il catarismo in Europa venne definitivamente estirpato, la chiesa cattolica stravinse, i boni homini e i perfecti cristiani vestiti di nero vennero cancellati dalla storia. Di loro si persero le tracce, eliminati i ricordi, le memorie, gli scritti, persino i loro nomi, le loro usanze e ciò in cui credevano, diventarono solo leggenda, “aggirandosi” muti, come fantasmi, per tutto il Medioevo. Ma niente è perduto se è stato. E adesso cosa resta!? Se vi capita d’andare a Desenzano, in provincia di Brescia, proprio sul bordo del lago di Garda, scorgerete un piccolo slargo intitolato “piazzetta dei Catari”, forse un atto di omaggio e di riconoscenza postuma agli “sconfitti” della storia e della religione cristiana.

Angelo Battiato





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