Giudizi e non voti per la scuola primaria
Data: Martedì, 21 luglio 2020 ore 18:00:00 CEST Argomento: Redazione
Nel recente
Decreto sulla scuola che disciplina: gli Esami di Stato conclusivi del
I e del II ciclo d’istruzione, la valutazione finale degli alunni, la
conclusione dell'anno scolastico 2019/2020 e l'avvio del 2020/2021 è
contenuta una disposizione che va oltre l’emergenza Covid-19 e passa
alla storia.
Dal prossimo anno scolastico 2020-2021
“Tornano i giudizi descrittivi, alla scuola primaria, al posto dei voti
in decimi. Una successiva Ordinanza del Ministero dell'Istruzione darà
alle scuole tutte le indicazioni operative”.
E’ questo un “provvedimento” che entra nell’empireo normativo del
Ministero dell’Istruzione, ove ciascuno dei tanti Ministri che si sono
succeduti ha apportato innovazioni e modifiche, togliendo, modificando,
aggiungendo elementi significativi e aspetti peculiari nei programmi,
nei criteri negli indirizzi della scuola italiana.
Anche Lucia Azzolina passerà alla storia per aver proposto per la
Scuola Primaria la reintroduzione dei giudizi al posto dei voti che il
Ministro Maria Stella Gelmini nel 2009 aveva semplificato adottando
anche per il primo ciclo la valutazione in decimi, come per gli altri
ordini di scuola.
LA CULTURA DELLA VALUTAZIONE
Il docente educatore come Michelangelo “tira fuori da ogni bambini la parte
migliore” e la valutazione, parte integrante del progetto
formativo, non ha lo scopo di selezionare i “migliori”, ma, più concretamente,
di fare in modo che emerga in tutti i bambini e ragazzi “la loro parte migliore”.
Il significato etimologico del termine valutazione richiama il senso
del saper “dare valore”, e,
come afferma Franco Lorenzoni nel libro “I bambini pensano grande. Cronaca di
un’avventura pedagogica" (Sellerio, 2014), sollecita l’impegno
di valorizzare tutti i bambini, accogliendo le loro diversità
nell’apprendimento.
La cultura della valutazione scolastica ha subìto negli anni diverse
modificazioni e adattamenti, apportando criteri innovativi nella ”Scheda Personale” che un
tempo si chiamava “Pagella”,
temine ancora in uso nel linguaggio ordinario.
Si legge nel Regio decreto degli anni Venti che in sede di riunione per
lo scrutinio finale presieduta dal preside: “Ciascun docente esprimeva
per ogni alunno un giudizio sul rendimento scolastico e disciplinare,
giudizio che il Preside traduceva in voto”.
Assegnare il voto era, appunto, competenza del Preside. Con i Decreti
Delegati e gli Organi collegiali anche la valutazione ha assunto una
dimensione “collegiale” assegnando i voti che vanno dal 10 “eccellente”
al 6 “voto di sufficienza”, a volte intercalati dai segni + o - o anche
dal ½ voto che favoriva il calcolo della “media dei voti”.
Dal 1977 si è accentuata una differenza di sistemi di valutazione tra i
diversi ordini di scuola. Mentre le scuole Superiori mantenevano il
voto in decimi (tranne che per la valutazione della Religione
Cattolica, per la quale si adottavano i giudizi: insufficiente,
sufficiente, molto, moltissimo), negli altri due gradi di scuola sono
stati introdotti i giudizi di: Eccellente, Ottimo, Distinto, Buono,
Discreto, Sufficiente, Non sufficiente ”.
In seguito, nel 1993, il criterio di gradualità nella fascia valutativa
è stato espresso sinteticamente con le lettere A, B, C, D, E
corrispondenti a una scala valutativa che nella mente del docente,
dello studente e dei genitori veniva riportata ai voti tradizionali dal
6 al 10.
Dagli anni 1987-1988, la scuola del Primo ciclo ha adottato non più la
“Pagella”, bensì la “Scheda Personale di valutazione”, con giudizi
personalizzati e veniva compilata in triplice copia e di colore
diverso: verde per la scuola, marrone per la famiglia. Le schede
si compilavano a mano e la copia con la carta carbone spesso era
illeggibile.
Dall'anno scolastico 2008-2009 la legge 169, che porta la firma del
Ministro Maria Stella Gelmini, rimette in vigore il voto in decimi
nella scuola Primaria e nella scuola Secondaria di primo grado.
L’innovazione fu salutata come un alleggerimento delle procedure negli
scrutini intermedi e finali ed anche i genitori accolsero l’evento come
segno di maggior chiarezza per comunicare il rendimento
scolastico.
Ancora una volta prevale l’idea della scuola che “insegna-istruisce” e
trasmette cultura, mentre resta nell’ombra l’idea di scuola che
“educa e forma” l’uomo e il cittadino.
Franco Lorenzoni e diversi altri pedagogisti hanno sostenuto, invece,
che: “La reintroduzione del voto è stata una sciagura perché ha
riportato in auge una pratica del tutto sbagliata e controproducente
Quando si studia per il voto, la scuola non funziona, se si studia
invece per il piacere e la curiosità di imparare si apprende molto di
più”.
VERSO LE COMPETENZE
Nel corso dell’ultimo decennio spesso è stato discusso in merito alla
questione dei voti nella scuola Primaria che pone le basi del saper
organizzare il proprio lavoro, del saper gestire le proprie cose, di
ciò che sarà il bambino un domani, acquisendo autonomia di
comportamento nel rispetto delle regole della convivenza civile.
In essa comincia il percorso di orientamento verso gli ambiti
disciplinari che diventano poi “discipline” e “attraverso
l’acquisizione sistematica e critica della cultura si promuove la
formazione integrale della persona” che cresce mettendo a frutto le
personali potenzialità che, esercitate mediante l’azione scolastica,
diventano prima “capacità”, poi “abilità” e quindi “competenze”.
Per definizione la competenza è segno di un graduale consolidamento
della modifica del modo di sentire e di agire, e tale gradualità non
può essere “misurata” e “quantificata” con un voto numerico, ma va
descritta esplicitando il graduale sviluppo, di crescita e di
maturazione.
La descrizione del grado o del livello di competenza va redatta
mediante la formulazione di un giudizio che fotografa lo stato reale
del processo di formazione dell’alunno e che, come un referto
ecografico, segnala ed analizza i particolari aspetti di crescita e le
eventuali direzioni d’intervento per un miglioramento efficace.
Com’è stato scritto: “Assegnare voti nella scuola Primaria significa
voler misurare il cielo con il centimetro”.
Il voto, espressione della “misura” di quantità, e “accertamento di un
prodotto”, è stato considerato “un imbarazzante neo” della scuola delle
competenze che, invece, privilegia il “processo”, anziché il “prodotto”.
Nella prassi quotidiana la valutazione qualitativa, descrittiva non
misura le prestazioni con il centimetro dei voti, ma spiega e valorizza
l’evoluzione dell’apprendimento e l'impegno esercitato, tenendo conto
dei differenti ritmi di crescita e i diversi livelli di partenza.
Ben vengano, quindi i giudizi, e si auspica che s’interrompa quel
legame occulto tra il giudizio e la corrispondenza al voto, che ancora
permane nella mentalità dei genitori e nella prassi valutativa di
alcuni docenti.
La valutazione scolastica ha la caratteristica, l’attributo e la
qualità di essere: “formativa”, indirizzata cioè non a “misurare“ ciò
che il bambino sa, bensì a descrivere il processo che lo aiuta a “saper
fare”, evidenziando anche eventuali difficoltà e ostacoli. Tutti questi
elementi non possono essere contenuti nel voto numerico.
La valutazione formativa ha le caratteristiche di “orientamento, guida, accompagnamento”,
diventa espressione del “prendersi
cura“ dell’alunno, del “saper
rispondere ai bisogni di ciascuno”.
La migliore valutazione, alla scuola primaria, è quella che “sostiene
la crescita dei bambini, potenziandone i punti di forza e accogliendone
i punti deboli, attraverso un percorso che consenta a ciascuno di
progredire, indicando cosa fare meglio e non limitandosi ad evidenziare
gli errori”.
FORMAZIONE E DIALOGO CON I GENITORI
A tale scopo non è sufficiente un decreto o una legge, occorre una
puntuale azione formativa del Personale docente e un necessario
accompagnamento nei confronti dei genitori, aprendo un reale e
costruttivo “dialogo educativo” convergente nella ricerca del “miglior
bene” del bambino.
Nell’incontro “scuola famiglia”,
dovrebbe scomparire la domanda dei genitori: “A cosa corrisponde questo
giudizio?”, perché il giudizio non deve “corrispondere ad un voto”, ma, se
ben esplicitato, dovrebbe far apparire chiara e nitida l’immagine del
graduale processo di crescita culturale, sociale, relazionale che
insieme edificano il progetto di “uomo e cittadino” che l’azione
didattica sviluppa attraverso le attività d’insegnamento curriculare.
Sarà compito dei docenti saper formulare il giudizio usando parole
semplici e chiare che analizzano e descrivono il percorso didattico
realizzato nel quadrimestre, i contenuti appresi, le abilità
esercitate, i traguardi raggiunti e il livello di competenza acquisito
nei diversi ambiti disciplinari e che “fotografano” il singolo bambino,
tracciando per ciascuno quasi un graduale “piano di miglioramento” dei
punti deboli.
Non sarà facile, ma occorre iniziare un nuovo cammino di “pedagogia delle competenze” che
insegna a formulare giudizi per i diversi ambiti disciplinari.
Nella scheda è previsto, come già adesso, lo spazio riservato al
“giudizio globale” per descrivere il comportamento, l’educazione, il
rispetto per gli altri: compagni e adulti – ed il rispetto per le cose,
ma poiché tale comportamento, segno dell’educazione impartita dalla
famiglia, a volte non corrisponde adeguatamente al rendimento
scolastico, nel giudizio globale occorrerà evitare l’uso di formule
generiche, o di espressioni adottate per le “fasce di livello”, bensì
occorrerà focalizzare, analizzare e descrivere, caso per caso, i reali
traguardi e i “bisogni di ciascuno”.
I NOSTALGICI DEL VOTO
Credo che ci saranno ancora tanti “nostalgici del voto”, i quali
sosterranno che i bambini sanno che il voto significa premio o
punizione, ma “il bambino non è un voto”: una persona non si misura con
un numero, lo sviluppo della crescita culturale e formativa si descrive
con parole semplici, vere e comprensibili.
I bravi insegnanti sanno che c’è grande differenza tra un 6 dato a un
compito eseguito con distrazione e malavoglia da chi potrebbe fare
meglio e il 6 assegnato ad un lavoro frutto di grande sforzo.
I bambini della scuola Primaria non riescono ad interpretare il voto
poiché il loro concetto di ragionamento si trova ancora ad un livello
che Piaget definisce “periodo delle operazioni concrete”.
Il voto è un numero, qualcosa di astratto, il cui valore, solo andando
avanti con l’età, sarà comprensibile.
“Quella numerica è una valutazione da contachilometri, che misura le
velocità di apprendimento dei bambini e finisce con etichettarli
precocemente in “bravi e meno bravi”,
innescando il perverso e insensato meccanismo delle classifiche”.
Nel contare e confrontarsi quanti 8 o 9 figurano in pagella, i
bambini non riescono a capire che l’insegnante tiene conto, mettendo
quel determinato voto, anche dell’impegno messo nel fare un compito,
nell’attenzione, nella partecipazione, nella preparazione, nel rispetto
della consegna e della comprensione.
La Scheda “Personale” che descrive la valutazione del singolo studente
non dovrebbe essere comparata con quella dei compagni, poiché il
processo di apprendimento “si sviluppa in relazione ai punti di
partenza e ai ritmi di apprendimento di ciascuno” che sono diversi e
vanno rispettati.
Spesso si nota che i voti creano ansia, invidia, bassa autostima o
percezione di superiorità, a volte generano rifiuto, antipatia, odio
della singola disciplina.
La reintroduzione dei giudizi al posto dei voti consente ancora nella
Scuola Primaria di continuare per valutare il lavoro svolto in classe e
i compiti a casa di usare le espressioni: “Bene, Bravo, Bravissimo”, note di
merito e d’incoraggiamento, oppure faccine, stelline, cuoricini o altri
simboli, come avviene in Finlandia, Paese ai vertici delle classifiche
europee per meriti del sistema scolastico.
Questa tecnica di valutazione ricorda il giudizio che scriveva il
maestro Alberto Manzi sulle pagelle dei suoi non giovani allievi: “Fa quel che può, quel che non può non fa”,
dimostrando da attento professionista dell’educazione che è compito del
docente: “Saper guardare tutti ed osservare ciascuno”.
Giuseppe Adernò
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