La letteratura e diritto
Data: Giovedì, 07 novembre 2019 ore 07:00:00 CET
Argomento: Redazione


"E non pensavo che i tuoi editti avessero tanta forza, che un mortale potesse trasgredire le leggi non scritte e incrollabili degli dei. Infatti queste non sono di oggi o di ieri, ma sempre vivono, e nessuno sa da quando apparvero". (Sofocle: Antigone, Secondo episodio vv. 453-455).
Il diritto, privato della giustizia, diventa arbitraria forma di esercizio del puro potere, strumento di prevaricazione dell'uomo sull'uomo. Ora, se dovere di un giudice saggio - ( per non dire "sapiente" ) -, è quello di obbedire alla Legge, e di far valere il Diritto, è anche suo imperativo categorico cercare la verità, senza la quale non c'è giustizia, né rispetto e tutela della dignità della persona. Che senso potrebbe - del resto - avere la fredda applicazione di una norma giuridica, di un diritto, "privato della giustizia", ossia depauperato della verità vera, cui aspira l'uomo?

Ci sono norme morali non scritte ma eterne nel cuore dell'uomo (come, per fare solo un esempio: le leggi della pietà), che un giudice, "prudente", non può eludere, né violare o ignorare. Il Diritto, evidentemente, da solo non basta; è la giustizia, con la sua sete di verità, che deve inverarlo, vedendo dove altri non vedono, andando "oltre" il puro criterio "oggettivo" della norma che impone di attenersi, nel giudicare, alla semplice valutazione dei "fatti" nudi e crudi.
Essendo la realtà molto più complessa di quanto appaia, è necessario per chi amministra con scienza e coscienza la Giustizia, che egli sappia vedere, prima di giudicare, tutto ciò che non si vede, a prima vista, nel nudo scheletro dei fatti: il "calore" delle passioni, i sentimenti, i risentimenti, le pulsioni umane, le speranze, gli amori e gli odi, le fantasie e i sogni da cui gli uomini sono stati tormentati, e dai quali quei fatti sono scaturiti e hanno preso "significazione".

La giustizia, in quanto ricerca della verità, non può affidarsi a una codificazione normativa sorda o indifferente "alle vicende" dell'essere umano, considerato nel suo esserci, vale a dire nella pienezza, hic et nunc, della sua fattualità storica ed esistenziale. La letteratura può essere di aiuto al diritto, può favorirne la "palingenesi" ? La risposta - a mio avviso - non può che essere positiva, considerato che oltre il diritto con i suoi codicilli, c'è la vita. La complessità della Vita.

Chi ha l'oneroso compito di giudicare, non può non sentire la necessità di mettersi in rapporto con il contenuto da comprendere; deve, prima di accingersi alla interpretazione dei fatti, avere la capacità di auto-comprendersi. Ebbene, è proprio questo agostiniano in te ipsum redi, cui la grande letteratura ci richiama, sensibilizzandoci verso l'infinito (della verità, della giustizia, dell'essere dell'uomo), che fa aggio sul diritto, che sembra, invece, contentarsi del finito (vale a dire delle norme, dei fatti, dei documenti legali).

Il diritto non vorrebbe aver nulla a che fare con gli uomini; ma la letteratura lo induce a patirne le vicende.

Nuccio Palumbo





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