
Lettera DiSAL ai colleghi dirigenti scolastici
Data: Lunedì, 22 maggio 2017 ore 07:30:00 CEST Argomento: Sindacati
Ai dirigenti scolastici
Cara/o collega
Un 'maggio dei presidi', quello che stiamo vivendo, nel quale le
annunciate azioni sindacali di protesta raccolgono un disagio forte e
diffuso, causato:
- da un oggettivo carico di responsabilità ed incombenze
improprie, accumulatesi negli anni a cominciare dalla assimilazione
alla figura del 'datore di lavoro',
- dalla mancanza di una retribuzione adeguata ai carichi di
lavoro, di una equità retributiva interna alla categoria e
dall'inspiegabile protrarsi del rinnovo contrattuale,
- da un irrazionale dimensionamento scolastico, inesistente in
Europa, che ha ricondotto in pochi anni circa 14.000 istituti
preesistenti alle 8.000 scuole attuali,
- da un improprio utilizzo dell'istituto della reggenza che ha
avuto un aumento esponenziale e che nel 2018 giungerà al 50%
degli istituti scolastici italiani,
- da nuove e improprie responsabilità in ambito amministrativo
(gestione appalti, amministrazione trasparente, anticorruzione, piani
di formazione e reti di ambito da gestire, ecc.)
La rabbia è inevitabile in chiunque svolga con dedizione ed
intelligenza questa professione per il fatto che non è riconosciuto il
proprio impegno di lavoro svolto con responsabilità e senso di servizio
alla collettività. Un lavoro impegnativo, difficile, carico di rischi
e, per questo, nobile e meritevole di riconoscimento, anche economico.
Ma dove affondano veramente le loro radici il disagio e il malcontento?
Dal veder snaturata sempre più negli anni la funzione per la quale
ciascun preside si è assunto il rischio di dirigere una scuola: quella
di prendersi cura di chi è in formazione, di dedicarsi a sviluppare
spazi di libertà di insegnamento, di realizzare strumenti di
progettualità condivisa, di tentare un protagonismo professionale
mirato a rendere le scuole comunità di apprendimento, luoghi di vita,
ambienti di cultura. Cioè dal veder che una vera leadership educativa
delle scuole è stata fortemente ridotta a tecnicismo burocratico. Per
questo, innanzitutto, sarebbe giusto mobilitarsi.
Scontato che sia così? Nei comunicati sindacali, assieme a legittime
rivendicazioni, è debole il riferimento ad una chiara e nuova figura
dirigenziale al passo con la domanda sociale. E proprio l'assenza di
questa chiarezza rischia di ridurre la mobilitazione, come quelle
precedenti, a rivendicazioni poco incidenti, inadeguate a rilanciare
un'azione coerente. La posta in gioco è alta: occorre un nuovo ruolo,
un nuovo e moderno quadro giuridico della direzione scolastica che la
riforma della dirigenza pubblica non ha affrontato.
Occorre, per questo, chiarezza nell'impostazione di questa
mobilitazione.
Chi dovrebbe essere il vero interlocutore dell'attuale protesta:
unicamente il MIUR, o piuttosto il MEF e la Funzione pubblica che hanno
espresso in questi anni rilevabili resistenze a impegnare risorse
finanziarie a favore dei capi d'istituto? E il Parlamento che stenta a
riconoscere un'equiparazione con la Dirigenza pubblica che non ne
snaturi il compito specifico?
Se le ragioni della protesta sono quelle scritte nei comunicati
sindacali, come mai le parti sociali agiscono divise e con modalità di
azione così diversificate, dividendo, di fatto, i presidi tra di loro?
Una divisione che disorienta e non si comprende, vista la quasi
identità delle richieste. L'unione fa la forza - recitava un antico
adagio - e questa sarebbe stata la volta, allora, di dare un'unica voce
ad una misura che giustamente si giudica colma.
La situazione attuale è anche, occorre dirlo, l'esito di una linea
perseguita dall'amministrazione scolastica, non contrastata dalle
rappresentanze sindacali dei presidi con il fine di perequare il
profilo del dirigente scolastico a quello delle altre figure
dirigenziali pubbliche, che ha via via equiparato compiti,
incombenze, responsabilità del preside assimilandolo, come oggi è a
tutti evidente, a funzionario ed esecutore di norme. La conseguenza,
per la quale oggi ci si lamenta, è sotto gli occhi di tutti: il
predominio di adempimenti burocratici e procedure di difficile gestione
e l'appiattimento dell'impeto ideale del miglior preside a
preoccupazioni ed affanni per il timore di non aver corrisposto ai
commi e cavilli di qualche legge. Nel frattempo senza aver ottenuto
(almeno!) alcun benché minimo miglioramento salariale né giustizia
retributiva interna.
Non protestare, allora? I contenuti della mobilitazione sono più che
condivisibili: adeguato riconoscimento retributivo, riduzione delle
incombenze burocratiche non appartenenti al profilo del preside,
emanazione del concorso. Ma rimangono diverse domande cruciali senza
risposta. Quale la funzione di un preside nei contesti educativi
attuali? Quale immagine di leadership sviluppare? A quale idea di
scuola e di educazione deve far riferimento una figura direttiva
moderna? Che tipo di valutazione e valorizzazione del preside si
intende perseguire? E, per questo, con quale riconoscimento economico
sostenerne giustamente il delicato compito?
«Una crisi - scrive Hannah Arendt - ci costringe a tornare alle
domande; esige da noi risposte nuove o vecchie, purché scaturite da un
esame diretto» senza rinunciare «a vivere quell'esperienza della
realtà, a utilizzare quell'occasione per riflettere, che la crisi
stessa costituisce». Il disagio di questo momento, compreso nella sua
vera natura, costringe ancora di più, allora, a guardare e verificare
la vera posta in gioco: rendere possibile a chi dirige una scuola di
contribuire alla realizzazione di ambiti di autentica educazione,
ricchi di proposte di apprendimento e relazione significativi e aperti
al tutto; la possibilità di realizzare la funzione specifica di
contribuire alla libertà educativa, dentro la comunità scolastica che
si dirige.
E per realizzare questo, allora, chiedere l'emanazione di norme
leggere, esigere che la responsabilità direttiva possa essere attuata
senza gravarla di incombenze non proprie, domandare di disporre di
strumenti di autonomia professionale utili al fine formativo, esigere
l'emanazione del concorso direttivo.
E, quindi, sostenere il riconoscimento, anche, della 'giusta mercede'.
Per salvaguardare un protagonismo professionale a servizio delle
comunità scolastiche.
La Direzione nazionale DiSAL
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