Fermarli sul bagnasciuga?
Data: Lunedì, 08 giugno 2015 ore 02:30:00 CEST Argomento: Redazione
Sugli immigrati è
difficile ragionare con serenità; molte sono le preoccupazioni, molte
le paure; molti i pregiudizi. Nemmeno di fronte allo spettacolo quasi
quotidiano di un'una umanità umiliata, sofferente e disperata si riesce
a trovare il giusto equilibrio per cercare di capire e per usare il
linguaggio della com-passione. Le ondate interminabili di sventurati
che approdano nei nostri mari, dopo avere affrontato pericoli e
violenze di ogni genere, sono la fase terminale di un disastro
geo-politico, di cui non si riesce o forse non si vuole venire a capo.
E i problemi che si prendono per la coda sono sempre difficili, se non
impossibili da risolvere, se non altro perchè spesso la sorte li
riserva a chi non li ha creati o a chi ha minori responsabiliità in
queste sciagure.
Non è facile nemmeno dare soluzioni accettabili, proprio per il grumo
di avversioni, di paure che i migranti suscitano, loro malgrado, anche
in persone razionalmente disposte ad accettare la loro presenza. Già
quando erano pochi si è passati in molti luoghi, pur disponibili
all'accoglienza per le loro caratteristiche e tradizioni, dalla
curiosità umana e dall'attenzione ad un sentimento strisciante di
avversione e di intolleranza, sul quale è stato ed è facile
speculare per gli imprenditori della paura per creare un clima di
incertezza. Fatto che non si puo' sottovalutare, perchè non si sa dove
possa sfociare.
La presenza massiccia di immigrati con la loro diversità e lontananza
umana, in luoghi dove per la scarsità delle risorse disponibili è
facile scatenare la lotta tra i poveri, ma anche infiammare gli
animi per pericolose avventure, è diventata un problema
esplosivo difficile da gestire e capace di incrinare alla radice i
fondamenti della nostra civiltà.
Difficile e grande tragedia che dovrebbe spingerci alla ricerca
affannosa e seria delle soluzioni possibili e a respingere le
speculazioni, le trovate pubblicitarie, che alimentano rabbia, paura
e ostilità per rispetto della grande sofferenza di chi si
avventura alla ricerca della propria salvezza e per rispetto
dell'umanità di quanti, incolpevoli si trovano ad affrontare problemi
al di sopra delle proprie possibilità e capacità.
Problema che solo in piccola parte è risolvibile nell'accoglienza
generosa della nostra gente; bisogna comprendere il dramma di chi ci
viene a cercare, ma anche la preoccupazione di chi non riesce a capire
dove si possa andare a finire. C'è un problema di lavoro, c'è un
problema di coesistenza, c'è un problema di complessità da gestire e
risolvere nel migliore dei modi. Ed ora anche un problema di infami
ruberie sulla pelle degli immigrati.
Forse il punto di partenza per una riflessione umanamente seria è la
considerazione che a nessuno piace abbandonare casa, famiglia,
parentela, affetti, amicizie per tentare la sorte in luoghi sconosciuti
in cui è probabile, se non sicuro che non si troverà quanto si è
perso e quanto si è dovuto lasciare; forse il punto di partenza
per una riflessione razionale è pensare che all'origine delle
dimensioni delle migrazioni di popoli interi ci sono le guerre, (in cui
non sono estranei gli interessi delle nazioni ricche che si rifiutano
di accogliere i migranti) le persecuzioni del fanatismo religioso
e tribali, le carestie causate dai dissesti climatici e ambientali.
Si è creato un mondo dove circolano liberamente capitali e merci, ma si
creano limiti a quella degli uomini. Non pare che possa
funzionare a lungo, se non ricorrendo alla violenza e
moltiplicando i casi di questa infelice mobilità umana. Si è pacificato
il mondo dei capitali e della ricchezza e si è lasciato che alcuni
popoli si scannassero senza misericordia tra di loro. E' anche vero,
però, che non c'è posto per tutti e che le risorse disponibili
non sono infinite.
Non mi pare una soluzione bombardare i barconi; non mi pare una
soluzione lasciarli morire in mare; non mi pare una soluzione
farli marcire nei cosiddetti centri di accoglienza ed è molto difficile
discernere tra rifugiati politici e migranti della disperazione. Non è
nemmeno una soluzione che la responsabilità dell'accoglienza ricada
solamente sul paese del primo approdo.
Una tragedia di dimensioni mondiali non puo' essere affrontata con i
rimedi di un'emergenza locale e temporanea. Non sono in questione solo
i principi di solidarietà umana, ma i rapporti tra nazioni
sviluppate e nazioni del terzo e del quarto mondo.
Ecco perchè il minimo che possa essere fatto è la condivisione della
responsabilità del problema dell'accoglienza da parte di tutte le
nazioni europee secondo criteri di equità e di sopportabilità sociale
Altro, ma non minore problema è quello della convivenza tra gli
immigrati e gli autoctoni. In Italia è un problema di recente
costituzione rispetto ad altre nazioni europee e si fa più fatica a
trovare soluzioni collettive e individuali. Questione principale è
quella della cittadinanza. E' sufficiente essere nati in Italia? E per
quelli di lunga immigrazione quando e come concedere la cittadinanza?
Non c'è integrazione a prescindere dalla soluzione di questo problema e
senza integrazione la convivenza tra le diverse etnie e quella tra
immigrati e residenti nativi può essere messa a repentaglio, con tutti
i danni che ne possono derivare. La convivenza da costruire e da
tutelare è quella tra diverse religioni, tra diverse culture, tra
diverse tradizioni morali in un quadro di libertà e di garanzie
democratiche. Gli Stati pluriculturali, plurietnici, e
plurireligiosi nel passato hanno avuto lunga e serena
convivenza civile solo quando forte e inoppugnabile era
l'autorità delle istituzioni e inflessibile la difesa delle regole
comuni.
Ci vogliono regole ferree che devono proteggere gli spazi inviolabili
di ogni singola persona e soprattutto gli spazi comuni dalle
aggressioni "particolaristiche", dai tentativi di egemonia dei
ceti di volta in volta dominanti. Bisognerà riscrivere le regole
di appartenenza e anche il principio stesso della laicità dello Stato
per assicurare la coesione, ma anche il diritto di praticare
liberamente i propri convincimenti culturali o religiosi, tenendo
presente l'accresciuta difficoltà di ricorrere a radici comuni per
avere una soluzione a portata di mano. Abbiamo storie e linguaggi
diversi.
L'immigrazione è un fatto irreversibile, anche se controllabile, e
bisogna creare le condizioni per non imbarbarire la qualità della vita
collettiva. E' necessario coltivare, direi istituzionalizzare, la
capacità di ascolto di ognuno di noi; sapersi accettare ed accettare
gli altri nella loro identità e differenza. C'è bisogno dell'umanissima
capacità di dialogo, non solo della tolleranza. C'è bisogno di
essere comunità, nelle mutate condizioni attuali, e non solo società:
avere qualcosa in comune e non solo patti da rispettare.
prof. Raimondo Giunta
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