Il volto libertario del marxismo. Marxismo e giusnaturalismo
Data: Domenica, 29 marzo 2015 ore 08:00:00 CEST Argomento: Redazione
Su queste pagine più volte ho sfiorato il tema del marxismo e della varietà delle sue possibili interpretazioni. In Gramsci, per esempio, esso mi si è presentato sotto la forma dello storicismo assoluto e della teoria egemonica della politica e della cultura alla maniera crociana, mentre in Engels esso mi è apparso sotto l'aspetto del materialismo positivista e pragmatico, in Antonio Labriola sotto quello della filosofia della storia e in Ernst Bloch nella forma della filosofia della speranza e del socialismo utopico, che si trasforma in teologia umanistica e libertaria. La sollecitazione a toccare questo aspetto libertario mi è venuta dal ricordo della mia stessa esperienza giovanile e di quella dei tanti giovani pieni di entusiasmo e di passione politica che al primo impatto con il pensiero marxiano ne avvertono spesso le forti vibrazioni giusnaturalistiche fatte di libertà, uguaglianza, giustizia e umana dignità e respingono quasi istintivamente tutte le altre emozioni e percezioni e specialmente quelle coinvolgenti più direttamente la prassi agonistica da cui si era generata la rivoluzione bolscevica carica dei duri corollari del ferro e del fuoco e delle connesse ferite inferte dalla dittatura del proletariato e del partito. Riprendo il tema del giusnaturalismo di Marx per tentarne un più sistematico inquadramento e soprattutto per cercarne la genesi vera nello stesso pensiero marxiano. Dalla "Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico" alla "Questione ebraica", dalla "Sacra famiglia" ai "Manoscritti economico-filosofici del 1844", dalla "Ideologia tedesca" al "Manifesto del partito comunista", dai "Lineamenti fondamentali della critica dell'economia politica" alla "Critica del programma di Gotha" ed allo stesso "Capitale" si può rintracciare infatti una forte istanza libertaria di uno straordinaria connotazione giusnaturalistica che né il leninismo né lo stalinismo hanno potuto oscurare e stroncare, né tanto meno gli studiosi del diritto di stretta ortodossìa marxista. Da un punto di vista filologico il problema può creare una certa difficoltà nel passaggio dalle opere giovanili a quelle successive agli anni Cinquanta dell'Ottocento per un linguaggio che si viene facendo via via più scientifico e scarno e meno ampolloso e letterario, ma fino al "Capitale" la coerenza di Marx nel vasto dispiegamento delle proposizioni giusnaturalistiche è indiscutibile e nessuna contraddizione può colpirne la dottrina. E non si tratta di far perdere a Marx la qualifica materialistica, se si ammette con onestà e rigore una tale coerenza, portata avanti del resto nel nome della libertà e dell'uguaglianza e quindi del socialismo libertario e umanistico. Gli sforzi che tendono a staccare il pensatore di Treviri dalla tradizione giusnaturalistica europea sono di natura retorica e non ottengono l'effetto desiderato nella battaglia per la fondazione del materialismo marxista. Il legame di Marx con la tradizione giusnaturalistica è evidente e ripropone la problematica ricostruttiva della scienza giuridica moderna,da Grozio a Pufendorf, da Rousseau a Kant, contro la concezione proposta dai teorici dell'assolutismo e della Ragion di Stato. Lo studioso che per prima in Italia ha proposto con molta forza una interpretazione libertaria e giusnaturalistica del marxismo è Rodolfo Mondolfo, passato al socialismo marxista dopo la militanza positivistica e la calda adesione al pensiero umanitario del suo vecchio maestro Roberto Ardigò. Egli arriva alla elaborazione della visione giusnaturalistica in modo indiretto attraverso la sfera della moralità intangibile della coscienza individuale, che diventa coscienza rivoluzionaria volta alla ricerca ed alla realizzazione del teologismo laico. Marx è per lui una conquista progressiva in aggiunta all'umanitarismo positivista di Ardigò e al naturalismo di Feuerbach: "Ora Marx vede che la stessa esigenza espressa ma non attuata concretamente dal Feuerbach, di mettere gli uomini al posto dell'uomo,cioè la società al posto dell'individuo, viene a dare...il passaggio dalla natura alla storia...La distruzione del feticcio significava riconquista della praxis, risveglio della coscienza e delle forze rivoluzionarie e loro messa in movimento ed azione" (R. Mondolfo, "Feuerbach e Marx", in "Umanesimo di Marx", Einaudi 1975, pp. 60-61). Ma lo studioso che affronta la questione con più chiare formulazioni è Carlo Antoni in "Ciò che è vivo e ciò che è morto della dottrina di Carlo Marx" del 1944,anche se viene contestato brutalmente per questa sua interpretazione da intellettuali che a quel tempo si ritenevano marxisti-leninisti allo stato puro,cioè teorizzatori della discontinuità rivoluzionaria e affossatori di qualsiasi forma di continuità tra materialismo dialettico e filosofia borghese del diritto e dello Stato. Solo che il saggio di Antoni, assai interessante per molti riguardi, manca dei necessari e specifici riferimenti alle molteplici fonti marxiane e si sofferma sulla rappresentazione panoramica della dottrina di Marx racchiusa tra l'economicismo del materialismo storico e l'antitetico antieconomicismo del giusnaturalismo marxista:"Marx volle essere un liberatore. "Prometeo", così terminava con dottorale entusiasmo la sua dissertazione di laurea,"è il più insigne santo e martire del calendario filosofico".Con la "Giovane Germania" egli lottò per la libertà tedesca contro la reazione prussiana; con la sinistra hegeliana polemizzò ai fini della democrazia;riformata la dialettica hegeliana in senso materialistico, la volle porre ai servigi di un ideale di libertà e di giustizia, della redenzione della classe operaia. Il suo scopo era la definitiva abolizione del dominio dell'uomo sull'uomo. Ma è possibile questa liberazione, se la natura dell'uomo e la legge della storia sono quelle descritte dal materialismo storico?"(C. Antoni, "Ciò che è vivo e ciò che è morto della dottrina di Carlo Marx", in "Quaderni del Movimento Liberale,Roma 1944, pp. 8-9). Bisogna ricordare la critica feroce che Delio Cantimori ha rivolto all'Antoni,ritenendolo responsabile di aver voluto spaccare il marxismo in due filoni antitetici:quello storicistico-romantico e quello giusnaturalistico-illuministico. Egli non accettava la doppia lettura del marxismo, "una buona, una cattiva", perché "posta questa dicotomia antinomica, tutto quello che l'Antoni vuol considerare morto o da far morire se ne va dalla parte romantica,germanica, storicistica, hegeliana, dialettica; quello che l'Antoni vuol considerare vivo o che intende permettere di vivere rimane dalla parte giusnaturalistica" (da Rinascita, anno III, n.7, luglio1946, p.174). Perciò l'interesse scientifico per il saggio di Antoni, che Cantimori recensiva così duramente, sarebbe stato "nullo". Ovviamente, aggiungeva il Cantimori, in Marx non si ritrovano motivi di giusnaturalismo in senso puntualmente storiografico, ed è solo l'ipostatizzazione di tale categoria compiuta dall'Antoni che gli permette di parlare di giusnaturalismo in Marx:"Dunque l'interesse scientifico, storico-critico, di questo scritto è nullo, poiché non si può neppur dire che vi siano riprodotti in sintesi i risultati delle ricerche compiute nell'ultimo venticinquennio"(ivi). Io ripropongo più semplicemente una "tripartizione" del marxismo (quello della prassi rivoluzionaria, quello della teoria materialistica della storia e quello della filosofia del diritto naturale), senza tuttavia perdere di vista l'importanza prevalente sul piano storico-critico del suo rinnovato giusnaturalismo, che è l'elemento più duraturo ed attuale di questa filosofia assieme alla validissima metodologia storiografica. E di ciò devo rendere merito all'Antoni che ha stabilito in tempi lontani, e non sospetti, un raccordo del marxismo con il pensiero giusnaturalistico e con tutto il movimento filosofico-politico esaltante e teorizzante il tema della giustizia, della libertà, della retta ragione e del rispetto della persona. Questo tipo di lettura richiedeva una distanza critica dalla passione ideologica trasmessa dal marxismo-leninismo, e Antoni ne ha dato prova in abbondanza, con una ricerca che però non è andata oltre il "Manifesto del partito comunista" e qualche altro frammento marxiano di natura politica. Mi sembra perciò che l'operazione filologica si renda necessaria per seguire ed inseguire tutte le tracce e le piste marxiste là dove esse si presentino con particolare evidenza,e non abbandonare all'isolamento storico la genesi del marxismo libertario nel tentativo di teorizzarne la totale discontinuità dalla filosofia borghese del diritto(v. Umberto Cerroni, "Marx e il diritto moderno", Editori Riuniti, Roma 1972). Il lavoro di Antoni rimane per me fondamentale, pure nella sua scarna semplicità e sinteticità. Un marxista allo stato puro come Galvano Della Volpe ha cercato i precedenti del pensiero di Marx nel "Discorso sull'origine e i fondamenti dell'ineguaglianzza tra gli uomini" di Rousseau e ha prospettato un'eredità "positiva"(per il marxismo)di Locke, Montesquieu e Kant, per la quale però stranamente non menzionava il lavoro di Antoni, l'eretico da evitare. Il saggio "Rousseau e Marx" del Della Volpe edito dagli Editori Riuniti nel 1957 cercava infatti di fornire un'altra interpretazione di Marx più aderente ad una lettura moderna dopo il 1956 e comunque per renderlo più disponibile ad un recupero della posizione illuminista di fronte al Marx romantico e storicista-materialista. Non mancavano, certo, altri precedenti in Germania di interpretazioni giusnaturalistiche di Marx, tuttavia valeva forse la pena di rivolgere l'attenzione anche al triestino Antoni per avere qualche delucidazione e sollecitazione sia sulla legittimità della "nuova" proprietà privata che sulla stessa iniquità dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo: "Il cuore di Marx batte per il produttore immediato, per la proprietà fondata sul lavoro personale, per l'artigiano ed il libero contadino[...] Sacra è dunque per lui questa libera individualità che si estrinseca nell'attività produttiva, e ciò che primieramente lo offende nel sistema capitalistico è il servaggio, più feroce ed ignobile della schiavitù classica, cui essa è sottoposta. E', questo, schietto giusnaturalismo. Infatti il diritto alla proprietà del lavoro e dell'integrale prodotto è proclamato dalla dottrina moderna del diritto di natura sin dal primo istante. Locke, che è colui che ha secolarizzato il diritto di natura emancipandolo dai nessi teologici, affermava che dal lavoro, come proprietà personale,derivava il diritto naturale al suo prodotto" (C.Antoni, op. cit., p.12). Insomma, non era facile per Marx sbarazzarsi del giusnaturalismo di Locke o di Spinoza o di Rousseau, perché "la libertà come non- impedimento interessa tutti gli uomini ed è universale; ma è anche da tener presente la ragione più profonda di tale verità prioritaria nella filosofia del diritto, che è formulata nel principio etico kantiano dell'uomo come fine e mai come mezzo o strumento : "Un principio che ha la sua applicazione più adeguata ossia veramente universale soltanto (per quanto sembri paradossale)in uno Stato socialista degno del nome, soltanto nella legalità socialista, proprio per quella renovatio socialista dei diritti subiettivi o libertà civili ad esso principio ispirati"(G. Della Volpe, "Rousseau e Marx",Editori Riuniti 1997, pp.46-47). Non è difficile rintracciare dunque nelle varie opere marxiane gli elementi tipicamente giusnaturalistici,e non solo nel "Manifesto", là dove il grido di dolore per lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo è molto più alto e la denuncia contro il sistema dell'alienazione dell'uomo moderno è più violenta. Qui il diritto di natura di memoria illuministica risorge con prepotenza, e nessun esegeta onesto del marxismo della discontinuità può negarlo, come non può negare che la teoria del plusvalore ha origine nei testi di Adamo Smith e David Ricardo ed è la storia di una grande protesta morale contro l'irrazionalità e l'iniquità del capitalismo. Affermando il diritto esclusivo del produttore sul suo prodotto, Marx attribuiva logicamente il diritto di proprietà sul prodotto integrale dell'intero processo produttivo.E faceva rinascere la possibilità di instaurare sulla terra il paradiso perduto della solidarietà universale e della giustizia totale, per le quali "il libero sviluppo di ciascuno sarà la condizione per il libero sviluppo di tutti". Anche nei "Manoscritti economico-filosofici del 1844" è possibile intravedere questo passaggio dal giusnaturalismo al comunismo, senza interruzione di continuità; mentre dalla critica illuministica al diritto positivo e allo Stato borghese emergeva il profilo di un uomo naturale e razionale non più estraniato,alienato ed espropriato."Infine", dice Marx,"il comunismo è l'espressione positiva della proprietà privata soppressa; e in primo luogo è la generale proprietà privata [...] Il comunismo in quanto effettiva soppressione della proprietà privata quale autolimitazione dell'uomo, è in quanto reale appropriazione dell'umana essenza da parte dell'uomo e per l'uomo; e in quanto ritorno completo, consapevole, compiuto all'interno di tutta la ricchezza dello sviluppo storico, dell'uomo per sé quale uomo sociale, cioè uomo umano. Questo comunismo è,in quanto compiuto naturalismo, umanismo, è in quanto compiuto umanismo, naturalismo. Esso è la verace soluzione del contrasto dell'uomo con la natura e con l'uomo"(dal "Terzo Manoscritto",in "Opere filosofiche giovanili", a cura di Galvano Della Volpe, Editori Riuniti, Roma 1968). Non è difficile vedere anche qui il logico passaggio dal giusnaturalismo al comunismo di Marx, che trova dunque la sua fonte principale nei testi e nel pensiero liberale e democratico degli illuministi inglesi e francesi, prima ancora che in quello dei filosofi tedeschi Kant, Hegel e Feuerbach. La situazione del "comunismo" in Marx è caratterizzata dal superamento di tutte le contraddizioni e specialmente,come si è visto nel "Terzo Manoscritto", di quella fondamentale tra natura e uomo, perché la rivoluzione socialista tende alla rimozione del negativo e al ristabilimento dello stato di natura, cioè ad una restituito in integrum mediante la quale la ragione e l'uomo devono riacquistare i loro antichi diritti. Questa necessità della restituito era già fortemente radicata nell'illuminismo e da lì Marx ricava i motivi di pensiero, di cui è l'erede. Il ritorno alla natura è uno di questi motivi, ai quali riportavano immediatamente Ugo Grozio con il "De iure belli ac pacis" e Samuel von Pufendorf con il "De iure naturae et gentium", e poi tutti gli altri esponenti maggiori e minori del naturrecht. Il rapporto Marx-Rousseau, approfondito da Galvano della Volpe nell'opera citata, è solo un aspetto del vasto regno illuminista cui fa riferimento implicito o esplicito il filosofo di Treviri. Resta inteso tuttavia che il regno della natura coincide per tutti con il regno della ragione. In questo senso l'illuminismo estende la sua efficacia oltre il Settecento e comprende non solo Wolff e Kant, che pure vi appartengono di fatto e di diritto, ma anche Hegel e Marx, che ne sono i legittimi eredi e continuatori. E non basta, perciò, recuperare al marxismo il solo Rousseau, giacché varia e vasta è la molteplicità degli autori e delle fonti. L'istanza normativa e razionale è ciò che collega Marx a tutto il movimento giusnaturalistico: vi è pertanto un Marx locheano, uno cartesiano, uno roussoiano, uno spinoziano, uno kantiano, ecc. E persino un Marx aristotelico,che procede all'identificazione sostanziale di individuo e società con la natura e che si appella alla "Etica nicomachea" ed alla "Politica" per dimostrare che lo stato di natura dell'uomo è lo stato della sua socialità,dove "per natura" esistono anche le prime comunità. Sappiamo che la teoria del diritto naturale rappresenta il tentativo di portare ordine e chiarezza nelle questioni del diritto e dello Stato, e per questo motivo essa si rivolge alla ragione come natura, ed è quindi una teoria considerata di solito altamente conservatrice; ma non si tengono presenti talune considerazioni contestatrici che mettono in crisi l'ordine esistente, a cominciare da quelle che si richiamano ai diritti originari o innati dell'uomo per ridimensionare il potere costituito e creare un nuovo ordine politico. Non è un caso se i primi propugnatori dei diritti innati (di natura) sono i contestatori religiosi (calvinisti, luterani e cattolici), che ammettono la legittimità della "resistenza" contro il potere monarchico ingiusto e che si battono per l'instaurazione di un potere politico non solo legale, ma anche legalizzato dai suoi "buoni" contenuti etico-teologici. Il moderno costituzionalismo prende avvìo proprio da una tale forma di contestazione radicale e di istanza riformatrice estrema di carattere politico-teologico che scopre l'idea di una legislazione universale e necessaria, superiore a qualsiasi norma di diritto positivo sempre particolare e contingente. Il ritorno marxista allo stato di natura è allora la restituzione di quella normatività universale di cui la società e gli uomini hanno bisogno soprattutto nello stadio avanzato della civiltà materiale, in cui i parametri prevalenti sono quelli economicistici e radicalmente individualistici ed egoistici, ed il diritto è quello della mera legalità del Leviatano, cui bisogna soggiacere se non lo si combatte aspramente sia nella teoria che nella prassi. Tutto ciò è anzi in forte contrasto con qualsiasi forma di dittatura del proletariato e del partito e di oppressione. prof. Salvatore Ragonesi salvatoreragonesi@hotmail.com
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