La fatica di educare
Data: Mercoledì, 11 febbraio 2015 ore 08:15:00 CET Argomento: Redazione
E' diventato sempre
più difficile e a volte doloroso esercitare la responsabilità di far
crescere e di educare i giovani, a casa come a scuola. E vi rinunciano
o si arrendono le stesse famiglie e le istituzioni che ne dovrebbero
avere la cura.
In molte scuole inavvertitamente si è scivolati anno dopo anno e per
diversi motivi verso una situazione in cui sono diventati
insignificanti principi e regole; sono stati con diversi espedienti e
con bizzarre giustificazioni parificati impegno e disimpegno; frequenza
e assenteismo; rispetto e trasgressione; lealtà e slealtà; studio e
vagabondaggio.
Non sono pronunciabili concetti come limitazione, sacrificio, rinuncia,
semplicità, gradualità, responsabilità, altruismo sia a
scuola, sia in famiglia. Il conflitto con i giovani non viene previsto
e affrontato, ma avendone timore viene spesso evitato. Non è
considerato un fatto abituale del rapporto tra adulti e giovani e che
bisogna sapere gestire,ma una difficoltà, un ostacolo che bisogna
eliminare. Nemmeno in condizioni disperate, quando serve al loro
benessere e alla loro incolumità, si riesce a dire no e a formulare un
divieto.
Non è possibile e ragionevole pensare che le funzioni genitoriali di
padre e madre possano essere svolte dalle istituzioni e dalla
scuola,quando risulta evidente che sono trascurate da chi ne ha la
principale responsabilità. C'è una parte nell'educazione dei giovani
che non puo' essere assunta da persone altre rispetto ai genitori o da
chi ne fa le veci. La collaborazione è necessaria tra tutte le parti
coinvolte in questo processo ,ma non la sostituzione di chi ha la
titolarità del compito; impossibile tra l'altro anche quando la si
volesse attuare.
A scuola c'è vicinanza, attenzione e dedizione nei confronti dei
giovani da parte di molti docenti, ma sono condizionate dal luogo, dai
tempi e dalla struttura del lavoro di insegnamento e non hanno la
costanza e l'obbligatorietà che dovrebbero caratterizzare i rapporti
familiari. A scuola tra alunni e docenti c'è di mezzo il sapere,
l'insegnamento. E' un rapporto mediato e così generalmente resta, anche
se pieno di passione e di affetto verso i giovani. Nel triangolo
educativo non si può scegliere tra amore al sapere e l'amore per
l'alunno. Dovrebbero esserci tutti e due.
E' grave la situazione dei giovani che non hanno niente alle spalle; ma
non è migliore la situazione di quelli che sono spalleggiati da
genitori sindacalisti contro le regole e la scelte della scuola. Non
c'è scuola senza regole e forse nemmeno famiglia,ma molti genitori
pretendono che la scuola non ne abbia o che siano molto simili a quelle
che eventualmente si danno nel proprio domicilio.
Viene lo sconforto di fronte al continuo e irresponsabile lavorio
contro l'impegno quotidiano di far vivere e crescere centinaia di
ragazzi nello stretto spazio di un edificio scolastico.
La scuola nell'esercizio delle sue funzioni è separata rispetto alla
società; ha un suo spazio che deve avere le proprie regole e se non
puo' andare contro il mondo, non è nemmeno al semplice servizio delle
famiglie; avendo compiti pubblici inevitabilmente è diversa dalle
singole convenienze e se puo' mediare, non puo' accondiscendere.
Questi tratti costitutivi di diversità vengono sempre più spesso
contrastati con proterva, incomprensibile irresponsabilità. Genitori,
che non danno regole o che non affrontano le fatiche di fare rispettare
quelle che eventualmente stabiliscono in famiglia, sono spesso in lotta
contro le scuole, che sono tenute ad averle e a farle rispettare; non
vogliono nemmeno fare un gesto appropriato di delega e tantomeno di
fiducia nei confronti di quanti si prendono per intero carichi, che
nella migliore delle ipotesi andrebbero condivisi.
Il compito di dare e fare rispettare le regole a scuola è diventato
incomprensibile non solo alle famiglie senza regole, ma anche a tanti
giovani, che vedono una società in cui sono molte e anche importanti le
persone che non rispettano le regole che sono state date e che si sono
date.
Da tempo sono in palio il principio di autorità e il significato che
può e dovrebbe avere nelle relazioni educative, nelle relazioni
familiari e nelle relazioni sociali. Ogni tempo ne ha dato una
particolare interpretazione e a noi compete, ogni giorno, tentarne una
nuova senza illudersi che quanto sia stato cancellato sul piano
intellettuale e sul piano del costume nelle lotte contro molte
espressioni del principio di autorità, possa essere nostalgicamente
richiamato in vita. C' è stato un cammino secolare verso l'autonomia di
giudizio e di azione che non puo' essere interrotto, nè messo in
discussione. L'autorità nei nuclei familiari e nelle istituzioni, oggi,
deve essere ragionevole, consensuale, accettabile, ma anche
confutabile, reversibile. Anche se a volte sembra che oggi il problema
non siano gli abusi nell'esercizio del principio di autorità, ma
l'autorità in quanto tale.
Autorità e obbedienza; gerarchia e subordinazione indicano rapporti
sociali, ma anche rapporti morali, obbligazioni morali come
responsabilità, rispetto, deferenza. L'irriverenza, infatti, rende
impossibile sia la condizione di alunno, sia la condizione di maestro;
rende sgradevole la condizione di genitore e la condizione di figlio.
L'autorità genera nel campo in cui si esprime una relazione
asimmetrica, che solo se è legittimata, puo' essere coronata dal
riconoscimento e dal rispetto.
Per parlare con autorità ai giovani, oggi, bisogna sapere esercitare
attrazione; bisogna avere prestigio; bisogna possedere sapere.
Le fondamenta dell'autorità sono l'esperienza, la competenza,
l'apprezzamento dell'impegno per il bene comune, la sollecitudine,
l'attenzione, la cura, la disponibilità, la persuasione, l'ascolto.
Queste sono le uniche sue possibili armi.
Non c'è più spazio per le minacce, per la l'uso coercitivo della forza
e delle posizioni di potere. Servono molto poco le sanzioni, le
punizioni. L'autorità che funziona ha alle sue spalle esperienza e
tradizioni, ma deve essere in grado di prospettare e garantire
orizzonti ragionevoli per il futuro.
Nei rapporti familiari e nel rapporto educativo il rapporto d'autorità
resta sempre un rapporto tra persone e tra ruoli, che per essere
positivo non può essere sviluppato arbitrariamente, ma deve essere
mediato da regole alle quali deve restare vincolato chi esercita
l'autorità e chi la deve accettare o subire. In un sano rapporto
d'autorità ci deve essere il reciproco riconoscimento e il reciproco
rispetto dei diritti connaturati alla propria posizione. Il concetto di
autorità non si può isolare da quello di comunità, di istituzione e di
regole. Alla gerarchia vincolante e coercitiva deve subentrare la
divisione razionale delle funzioni:tutto si tiene se c'è
organizzazione, coesione, spirito comunitario e ad ognuno è data la
responsabilità di mettersi in discussione e di dare conto del proprio
operato.
L'uomo è l'unico essere vivente che ha bisogno di essere educato e
l'educazione si svolge all'interno di un rapporto in cui coesistono la
"precedenza"di chi ha sapere ed esperienza e deve trasmetterli e la
posizione di "subalternità" di chi, non avendoli, è tenuto/interessato
a seguire.
La trasmissione di saperi, valori e costumi tra le generazioni è l'atto
fondatore con cui l'educazione e quindi gli adulti garantiscono "la
continuità del mondo"(Arendt). Le nuove generazioni non devono
inventarsi il mondo, se non altro perchè non lo possono fare; perchè
già c'è a loro disposizione; bisogna, però, dare loro gli strumenti, il
linguaggio, le conoscenze, la cultura perchè lo possano abitare in modo
appropriato. E questo non avviene casualmente, ma in un rapporto
regolare e ordinato di istruzione/formazione/educazione.
E' nel rapporto di trasmissione che si instaura e si legittima il
principio di autorità. La trasmissione dei saperi, delle conoscenze e
delle tradizioni è un'avventura in cui si incontrano chi crede
nell'educabilità del giovane e la volontà del giovane che si mette in
giuoco per il piacere di apprendere e di comprendere (Meirieu).
Educare, essere ragionevole, accorta, saggia autorità per gli adulti è
un obbligo; non farlo un'abdicazione, un tradimento. A casa, a scuola,
nella società.
prof. Raimondo Giunta
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