Prefazione al volume monografico Futurismo come attualità e divenire 'Rivista di Studi Italiani', giugno 2009 (pp. 1-4)
Data: Mercoledì, 24 dicembre 2014 ore 08:00:00 CET Argomento: Redazione
Futurismo come
attualità e divenire
Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli! (...)
Perché dovremmo guardarci alle spalle se vogliamo sfondare le
misteriose porte dell'Impossibile?
F. T. Marinetti
Chi non sa fissarsi sulla soglia dell'attimo dimenticando tutto il
passato (...) non saprà mai che cosa sia la felicità.
F. Nietzsche
Alle soglie del ventesimo secolo Henry Adams, nella sua celebre
Autobiografia (The Education of Henry Adams), ci offriva un'immagine assai pregnante per definire il mutamento di sensibilità
avvenuto improvvisamente al passaggio di secolo; lo storico dichiarava,
infatti, di trovarsi "con l'osso del collo storiografico spezzato
dall'improvvisa irruzione di forze del tutto nuove"1. Le rassicuranti
certezze del secolo decimo nono, che "era regolato dalle leggi di
Newton ed accettava il principio di non contraddizione a fondamento del
ragionamento"2, vengono "improvvisamente" minacciate da una travolgente
filosofia del futuro. Una filosofia del futuro intesa alla maniera di
un "rifiuto enfatico di un corpo di pensiero deterministico", che
trovava nel Bergson di L'evoluzione creatrice e nell'eminente fisico
francese Emile Meyerson due tra i più acuti critici dell'impianto
metodologico della scienza moderna. Quella scienza che, fondata sulle
rassicuranti certezze del cogito cartesiano e del determinismo
newtoniano, eliminava il tempo preferendogli il dogma della
reversibilità. È in questo orizzonte di senso che si staglia la
"rivoluzione" Futurista. Una rivoluzione che erode profondamente lo
statuto ontologico della modernità, segnando un brusco passaggio
dall'essere al divenire, dall'ipostatizzazione delle certezze
all'ossessione del cambiamento.
A distanza di cento anni dal manifesto di fondazione marinettiano la
Rivista di Studi Italiani esce con un numero monografico il cui intento
è quello di valutare criticamente - e con quella serenità e pacatezza
di giudizio che soltanto il fluire inesorabile del tempo è in grado di
assicurare - un fenomeno artistico e letterario di portata mondiale
quale il Futurismo Italiano, alla ricerca di un possibile bilancio
dell'importanza della sua eredità nei riguardi dei movimenti artistici
e culturali della seconda metà del XX secolo e di quelli che (per la
verità con scarsa verve) si affacciano nel nuovo, per indagarne la sua
attualità e il suo potenziale divenire in forme artistiche e
letterarie, ma anche della conoscenza, il cui archetipo sembra ancora,
seppure in parte, riconducibile alla rivoluzione messa in atto proprio
da Marinetti e compagni.
Nonostante il giudizio impietoso di un grande critico quale Benedetto
Croce - che li definì sbrigativamente "energumeni del nuovo"3,
tacciandoli di quello stesso antistoricismo di marca nietzschiana,
splendidamente delineato dal filosofo della "volontà di potenza" nella
seconda inattuale Sull'utilità e il danno della storia per la vita4 -,
Marinetti e i suoi accoliti furono, senz'altro, i pionieri di una nuova
sensibilità, gli antesignani della stagione delle avanguardie
artistiche del Novecento. Senza di loro non avremmo avuto, con ogni
probabilità, il Dadaismo e il Surrealismo, la rivoluzione cubista e
tutto il post-modernismo letterario, giusto per fare qualche nome.
Senza contare il debito contratto, nei riguardi del Futurismo di marca
marinettiana, dai grandi sperimentatori della stagione del cosiddetto
modernismo letterario, quali Eliot, Joyce e Pound.
Come non individuare, infatti, nella "gestione anarchica del logos"5
teorizzata nel manifesto del 1912 (Manifesto tecnico della letteratura
Futurista) - dove, in continuità con la tradizione romantica e
simbolista, Marinetti "suggerisce di sopprimere il 'come', il 'simile
a' e di attaccare direttamente a un sostantivo un altro sostantivo,
legato al primo per relazione analogica"6 - i prodromi degli stilemi
delle neoavanguardie novecentesche (si pensi al gruppo '63 di Eco e
Sanguineti). La stessa vocazione al divenire delle forme letterarie che
caratterizzerà la stagione dell'OULIPO francese può avere una sua
matrice nel Futurismo Italiano. Tutta l'arte del Novecento che si
configura come un passaggio da un'estetica della "forma" (Apollo) ad un
estetica della "forza" (Dioniso) si può considerare in debito nei
riguardi dei futuristi e trovare un antesignano possibile nel contenuto
di quel Treno in movimento di Boccioni, nella sua tecnica innovativa di
mostrare l'azione nel suo dispiegarsi, di palesare l'energia
pulsionale, la "forza" che promana dalla
materia, pena la disintegrazione della sua "forma". Ma non soltanto.
Tutta la filosofia e l'epistemologia contemporanea costituiranno una
messa in discussione del Logos della tradizione metafisica occidentale,
della certezza della sua logica fondata sull'aut aut classico tra vero
e falso. La scienza e la logica del Novecento scopriranno la
contraddizione e il paradosso. La fisica sostituirà, con Heisenberg, il
principio di causalità col principio di indeterminazione, la matematica
sperimenterà, con Gödel, lo scacco della ragione e l'"emozione" del
paradosso e, persino la geometria, grazie alla scoperta di una
dimensione frattale da parte di Mandelbrot, sostituirà la
certezza della linea euclidea con delle forme assai simili alle
sperimentazioni di Carrà e Boccioni. Persino le scienze "esatte" (o
ritenute tali) scopriranno, dunque, quei cortocircuiti del Logos che,
sul far del secolo e in anticipo su tutti, la rivoluzione futurista
aveva mostrato ad una cultura imbalsamata nello scientismo
fattualistico di marca positivista. Niente male per una banda di
"energumeni del nuovo".
Certo non si può trascurare che l'estetica del movimento e della
"forza" si sposava, nei futuristi, ad un'etica all'insegna del
vitalismo che sfociò e degenerò, persino, nella follia della guerra e
in posizioni politiche che avrebbero sostenuto i neonascenti regimi
totalitari. Il passo da una storia "maestra di vita" (alla maniera di
Croce) ad una storia "danno per la vita" (alla maniera di Nietzsche) è
fin troppo breve e si corre il rischio di attraversare le acque,
perniciose, della rimozione. I futuristi corsero in pieno questo
rischio, attraverso un'interpretazione, per così dire, di "destra" del
verbo nietzschiano. Come non tenere in conto, allora, delle riserve
espresse da Benedetto Croce e dalla ricchezza del suo pensiero
liberale? Il culto del nuovo, come ammoniva il filosofo, corre il
rischio di trasformarsi da "vita concreta e determinata" in "vita in
astratto o mera vitalità"7. Ebbene, senza avvalerci della teorizzazione
crociana di un'estetica non "opposta" ma "distinta" dall'etica e senza
scadere nella riduzione deterministica della componente estetica del
fatto letterario all'educazione e all'impegno politico, elementi che
hanno contrassegnato la stagione della critica marxista (soprattutto in
Italia), potremmo individuare nel tempo (nel suo eterno fluire) la
medicina migliore contro le degenerazioni più eccessive del movimento
Futurista, in maniera tale da far coincidere - nietzschianamente -
estetica ed etica. Oggi, infatti, a distanza di cento anni, gli eccessi
vitalistici di quel verbo nietzschiano, tanto caro ai futuristi,
trovano una nuova declinazione in chiave liberale non tanto dissimile
dalle posizioni crociane. La stessa "volontà di potenza" che aveva
trasformato degli artisti in guerrafondai dischiude un'"età
dell'interpretazione" all'insegna, paradossalmente, di un'etica della
differenza che sembra coincidere, persino, con la carità cristiana8.
Sull'era planetaria incombono le incertezze di un futuro in divenire
che mette in discussione lo statuto stesso dell'umano. Anche le sfide
del posthuman e di un'esistenza artificiale potrebbero avere degli
incunaboli nel mito futurista della macchina. Queste sfide potrebbero
farci sprofondare nuovamente nell'abisso di violenza che ha conosciuto
il Novecento, ma potrebbero anche regalarci la possibilità della
redenzione, della pace, del progresso e della salute pubblica, di un
nuovo umanesimo insomma9. A riprova del fatto che la realtà è
ambivalente, contraddittoria, misteriosa, complessa ed eternamente in
divenire. Come un frattale. Come le tele di Boccioni e le "parole in
libertà" di Marinetti. E ce lo insegnano, in maniera mirabile, la
letteratura e l'arte, dei prodotti estetici cui non è affatto estranea
una finalità etica.
Nino Arrigo
NOTE
1 Henry Brooks Adams, The Education of Henry Adams (1907), New York,
1931, p. 382 (tr. it., Milano: Adelphi, 1964).
2 S. Kern, "Il Futuro", in Il tempo e lo spazio (1983), tr. it.,
Bologna: il Mulino, 1988, p. 121.
3 B. Croce, "Antistoricismo", in La mia Filosofia, Milano: Adelphi,
2006, pp. 79-94.
4 Cfr. F. Nietzsche, Sull'utilità e il danno della storia per la vita
(1874), tr. it., Milano: Adelphi, 2006.
5 C. Salaris, "Manifesto tecnico della letteratura futurista di Filippo
Tommaso Marinetti", in Letteratura Italiana, Torino: Einaudi, 1996,
Vol. 14, p. 267.
6 Ibidem.
7 B. Croce, op. cit., p. 80.
8 Cfr. G. Vattimo, Oltre l'interpretazione, Bari: Laterza, 1994.
9 Cfr. E. Morin, Oltre l'abisso, tr. it., Roma: Armando, 2009.
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