Le buone parole della scuola: efficacia / efficienza
Data: Venerdì, 21 novembre 2014 ore 07:45:00 CET Argomento: Redazione
Efficacia
- Efficienza. Il modello della scuola efficace ed efficiente è quello
che in un certo momento di fronte al fallimento dei grandi disegni
riformatori a partire dagli anni '90 ha incominciato a mietere consensi
tra i responsabili delle politiche scolastiche. In poche parole,
dandosi per risolto il problema dell'equità con l'irruzione in
massa delle nuove generazioni nelle classi dell'istruzione secondaria e
nei corsi dell' università e ritenendo impossibile e socialmente
ingiustificabile un aumento costante delle spese per l'istruzione, in
un periodo di crisi fiscale dello stato sociale si è
cominciato a porre il problema di razionalizzare la spesa pubblica per
l'istruzione, l'organizzazione del sistema scolastico e le stesse
procedure didattiche per avere a parità di costi e di risorse impiegate
migliori risultati. Ma quali?
Si è passati da una situazione in cui si pensava che ci fossero solo
obblighi di fornire mezzi e risorse alla scuola per espanderla ed
arricchirla ad una situazione in cui si è incominciato a
pensare che la scuola debba essere obbligata a dare precise
risposte in termini di risultati socialmente apprezzabili, su cui
commisurare la bontà dei finanziamenti e delle politiche scolastiche.
Sono problemi che ad ogni buon conto non si possono eludere quali che
siano le finalità di un sistema di istruzione e le risorse ad esso
assegnate: raggiungere i risultati sperati e programmati, utilizzando
nel modo più efficiente i mezzi disponibili.
E' insostenibile la pretesa che la composizione della spesa pubblica
per l'istruzione non debba cambiare e debba solo crescere; nè c'è
motivazione nobile che possa giustificare un uso poco accorto dei
fondi pubblici tanto faticosamente recuperati col sistema fiscale.
E' anche vero, però, che senza adeguati accorgimenti una
politica scolastica concentrata solo sulla razionalizzazione dei costi
e dell'impiego delle risorse o peggio ancora sulla riduzione dei
fondi può rendere a scuola inessenziali sia i problemi educativi,
sia i problemi di democrazia, sia i problemi di giustizia.
Rimanendo in questo ambito di considerazioni è facile perdere di
vista le finalità che deve perseguire il sistema di istruzione; è
facile dimenticare che l'istruzione sia un bene comune che vada
tutelato e reso disponibile per tutti.
Non basta che a giustificare i costi che l'istruzione
comporta si sia cominciato a ragionare sulla loro convenienza come
investimento produttivo, necessario alla costituzione e allo sviluppo
del capitale umano di cui deve alimentarsi una società proiettata nella
competizione mondiale dei mercati. Si sa come comincia e non dove
finisce una valutazione del genere: può giustificare la sostenibilità e
l'espansione del costo sociale dell'istruzione,ma può anche alimentare
il convincimento di una stretta subordinazione del sistema d'istruzione
e formazione a quello economico-sociale. Una tendenza (o una tentazione
mai scopertamente allontanata) che ridurrebbe il valore della cultura e
del sapere e che comporterebbe una strumentalizzazione della conoscenza
a danno della ricchezza e varietà delle esigenze umane di sviluppo e di
crescita della persona e della società.
IN QUESTO INTRECCIO DI CONSIDERAZIONI SI NASCONDE IL RISCHIO CHE LA
SCUOLA PERDA LA SUA AUTONOMIA. Perderebbe il controllo del
proprio programma culturale, perchè accetterebbe una logica di
adeguamento e di condiscendenza che la priverebbe di molte delle sue
necessarie funzioni.
Il sistema di istruzione deve procedere ,invece, ad una
logica di integrazione con la società e con altri centri e agenzie di
formazione; fatto che è reso possibile solo se mantiene la capacità di
proporre criteri di riferimento per stabilire la gerarchia dei valori e
dei saperi ,di dettare codici di comportamento, di organizzazione delle
procedure di apprendimento e regole proprie di comunicazione.
Alla scuola per essere servizio sociale, istituzione pubblica, luogo di
trasmissione dei saperi e di formazione della cittadinanza non può
bastare l'economia dell'istruzione; ad essa servono idee sul futuro
della società e idee sull'umanità che vorremmo per i nostri giovani.
Il fine primario del sistema scolastico, la sua redditività per
usare il lessico economico, è la formazione, l'educazione dei giovani
nella più ampia e varia accezione del termine.
Dal paradigma riformistico dell'efficacia e dell'efficienza derivano
alcune tendenze e scelte delle amministrazioni degli ultimi 20 anni.
Tra queste vanno citate la riorganizzazione territoriale del
servizio scolastico; la ridefinizione del management delle singole
scuole, la razionalizzazione degli indirizzi di studio e dei gradi di
istruzione, la razionalizzazione degli obiettivi pedagogici, la
misurabilità dei risultati scolastici.
Ognuno di questi argomenti merita una trattazione adeguata e separata,
che andrebbe fatta in altra sede ma senza perdere di vista il
fatto che derivino da un unico impulso, da un unico disegno di politica
scolastica.
L'AUTONOMIA SCOLASTICA è uno dei cardini del paradigma dell'efficacia /
efficienza, ma anche il tema delle maggiori preoccupazioni sulle sorti
del sistema d'istruzione. Con l'autonomia si crede di risolvere il
problema dell'inefficienza di un'organizzazione che non riesce più a
dare prestazioni di servizio di qualità a milioni di persone e ad
amministrare centinaia di migliaia di dipendenti, ma anche quello di
flessibilizzare i curricoli per dare spazio alle problematiche
locali:momento d'incontro tra razionalizzazione e capacità di
ascolto;tra efficienza, efficacia e partecipazione.
Con l'autonomia il territorio non è più un ambito di colonizzazione
culturale da parte di uno stato nazionale che vuole determinare valori
e saperi per tutti, ma un partner educativo,come luogo specifico di
conservazione di culture, di valori, di simboli e di saperi che vanno
valorizzati e non più censurati e sviliti come nel passato, anche
perchè determinanti nella condizione e nei vissuti degli alunni.
L'autonomia rappresenta una mediazione tra le esigenze di
unificazione, di assimilazione nazionale e le emergenze locali, che
possono essere di natura sociale, culturale, economica. Con l'autonomia
la scuola da cinghia di trasmissione, da strumento di conformità
diventa spazio eletto di dialogo e di confronto culturale e valoriale.
La scuola si può arricchire perchè si possono recuperare gli elementi
di continuità e di contiguità col mondo circostante; la scuola può
diventare luogo di ricostruzione della memoria e delle tradizioni
locali, può aiutare a fare emergere negli alunni la consapevolezza
della propria appartenenza ad una comunità e della propria identità.
Il legame col territorio che si vuole realizzare con l'autonomia è un
supporto al ruolo educativo della famiglia; è speranza di una nuova e
più fruttuosa collegialità: ci sono problemi educativi che sono
"locali" e a questi bisogna dare attenzione ed ascolto. L'autonomia è
un'idea che funziona se funziona il rapporto tra singolo istituto,
amministrazione centrale ed ente territoriale (comune, provincia,
regione). Allo stato attuale si è ben lontani dai risultati sperati sia
per le scelte del ministero (abolizione di ogni vincolo intermedio tra
scuole e direzione regionale) sia per l'incapacità dell'ente locale di
sapere rappresentare le esigenze di formazione e di istruzione delle
comunità amministrate e di sostenerle con un disegno razionale e
condiviso di sviluppo, sia per l'incapacità delle scuole anche quando
sono in rete di potere definire e soddisfare da sole i bisogni di
formazione di una comunità e di costituirsi come partner credibili con
gli enti locali e anche con le realtà economiche, sociali e culturali
di un territorio.
DIRIGENZA SCOLASTICA. Ad una scuola autonoma si è fatto corrispondere
un dirigente scolastico con più poteri e un regolamento di contabilità
più flessibile rispetto a quello del passato per rendere più agevole e
rapida la realizzazione di una decisione. L'esiguità dei fondi
disponibile si è premurata di ridimensionare le ambizioni di questa
scelta. L'incongruenza di queste innovazioni sta tutta nell'avere
privilegiato gli aspetti generali e amministrativi della funzione
direttiva a danno di quelli specifici di controllo epistemologico
e pedagogico del curriculum come avveniva con i "dismessi" presidi di
un tempo. Succede allora che per un'autonomia che qualcosa concede in
termini di integrazione dell'offerta formativa si prefigura un
dirigente che può saper fare tutto e non padroneggiare l'ambito
culturale e professionale di un curriculum, dei cui risultati
sarebbe tenuto a rendere conto. A questa intrinseca debolezza si
affianca il fatto che nella scuola le figure intermedie tra dirigente e
corpo docente non abbiano un preciso statuto professionale e dipendano
dall'aleatorietà o peggio ancora dall'arbitrarietà delle scelte
collegiali o dirigenziali.
RAZIONALIZZAZIONE DEGLI INDIRIZZI DI STUDIO E DEI GRADI DI ISTRUZIONE.
E' stata un'esigenza diffusa nella società e tra gli operatori della
scuola che si procedesse, come è stato fatto con i nuovi regolamenti
degli ultimi anni sul riordino dell'istruzione secondaria, ad una
semplificazione dell'aggrovigliato panorama di indirizzi e di corsi di
studio che si era venuto a creare dopo il DPR 419/74 sulla
sperimentazione. Era il risultato di un certo modo di intendere e
di praticare il riformismo a scuola, in ragione del quale si è
proceduto ad una crescita costante di ore di lezioni, di discipline,
che ha determinato una proliferazione dei curricoli e delle proposte
formative, che a volte aveva fondamento solo nell'immaginazione dei
collegi di docenti e spesso senza alcun riferimento alle esigenze del
territorio e degli alunni.
Permane ancora dopo il riaggiustamento del sistema scolastico il
problema del ruolo dell'istruzione professionale, costituitasi nel
tempo nel sistema statale d'istruzione quando ancora le regioni non
esistevano e mantenuta in esso per l'evidente incapacità di molte
amministrazioni regionali di darle respiro, funzionalità,
organizzazione e qualità. Nonostante le modifiche curriculari e
l'impegno a darle una forte e distinta fisionomia l'istruzione
professionale è ancora relativamente diversa rispetto a quella tecnica;
non solo, ma non si riesce a delineare in modo corretto e funzionale il
rapporto che deve avere con la formazione regionale.
A rigore il sistema duale di istruzione e formazione sarebbe più
razionale, ma per l'accettazione di questo modello sorgono le obiezioni
fondamentali dell'inerzia e dell'incapacità di gran parte delle
regioni e la tradizione seria degli istituti tecnici statali, una
specificità del sistema scolastico italiano, che dopo la breve
parentesi dell'era morattiana nessuno si sente più di cancellare (
..licealizzandola ). Sempre in funzione di questa esigenza di
efficienza e di efficacia si è decisi di dare sistematicità
all'istruzione terziaria,nè scolarizzata, nè accademica, istituendo gli
istituti tecnici superiori e rimodulando gli IFTS. La preparazione
finale dell'istruzione secondaria nel terzo millennio
necessariamente si realizza nel livello della professionalità di base,
perchè ragionevolmente si assegna al nuovo segmento
dell'istruzione terziaria il compito di mettersi in sintonia con i
bisogni di competenze del complessivo sistema economico.
E' in qualche modo un corollario di questa esigenza che contestualmente
si sia proceduto ad un riassetto delle sedi scolastiche per potere
garantire investimenti adeguati nelle tecnologie e in dotazioni
di alto livello (biblioteche, laboratori, spazi aperti, mense etc) e
per disporre di un numero sufficiente di alunni per classe e per sede
scolastica. L'eccessiva dispersione eleva il costo d'impianto e di
gestione, anche se per certi gradi di istruzione la prossimità della
sede garantisce un migliore servizio alla persona e tutela il diritto
alla formazione meglio di qualsiasi "ricchezza tecnologica".
Le modalità scelte per razionalizzare la rete scolastica a volte
hanno provocato un deterioramento organizzativo e gestionale
della vita scolastica e l 'abbassamento della qualità dei processi di
apprendimento e spesso non hanno avuto altra giustificazione se non
quella del raggiungimento del parametro numerico per l'assegnazione o
il mantenimento dell'autonomia ad un istituto scolastico.
Nell'istruzione primaria dopo le indicazioni nazionali sul
curriculum non ha più senso mettere insieme scuole medie con scuole
superiori o con altre scuole medie. Sarebbe opportuno procedere ad
accorpamenti verticali dalla materna alle media.
RAZIONALIZZAZIONE DEGLI OBIETTIVI PEDAGOGICI. Negli anni che abbiamo
preso in considerazione si è creato un movimento d'opinione che ha
alimentato un 'esigenza di precisione e di efficacia nelle attività
formative per potere disporre di risultati d'apprendimento certi e non
aleatori. Sia nella pedagogia degli obiettivi che nel più recente
approccio per competenze è evidente l'accoglimento della sollecitazione
a rendere rigoroso il procedimento di insegnamento, a esplicitare in
termini di compiti precisi, accessibili, osservabili i risultati
d'apprendimento,a selezionare e a standardizzare gli elementi del
sapere congrui con questo scopo e a individuare i modi esatti per
valutare la corrispondenza tra ciò che era atteso e ciò che viene
accertato. E tutto questo in un quadro rigoroso di contingentamento dei
tempi per ogni sequenza d'insegnamento, comunque viene la voglia di
nominarla (unità didattica, unità d'apprendimento, modulo, unità
formativa capitalizzabile etc.). Sia la pedagogia per obiettivi, sia
l'approccio per competenze delineano un progetto di razionalizzazione
dell'organizzazione didattica; la pedagogia degli obiettivi, in
particolare, lascia in eredità a qualsiasi altro indirizzo che voglia
cimentarsi con il paradigma dell'efficacia e dell'efficienza una teoria
generale dell'azione che non propone alcun valore se non quella
dell'efficacia operatoria e per questo esalta i valori
dell'operazionalità delle mete educative. L'approccio per
competenze svolge la sua missione razionalizzatrice ponendosi come
funzione tecnica di mediazione, come interfaccia tra esigenze del
sistema produttivo e istituzioni formative.
Ma è davvero razionale il progetto di potere dominare e controllare
l'insieme delle relazioni che si instaurano nel rapporto educativo? La
razionalizzazione completa delle relazioni pedagogiche comporta la
cancellazione del faccia a faccia in classe, la disumanizzazione in un
mestiere che più umano non ce n'è. Programmare le azioni educative non
è programmare la produzione di un bene industriale; non ci vuol molto a
capire che il percorso formativo non è rettilineo, senza scarti e
resistenze e che senza questa consapevolezza si rischia di rasentare la
follia (D. Hameline). In pedagogia bisogna rassegnarsi."E'' impossibile
aprire il registro delle certezze" (Ph.Meirieu).
MISURABILITTA' DEI RISULTATI SCOLASTICI. Dire qualcosa con certezza sui
risultati d'apprendimento è stato l'obiettivo perseguito per decenni
dalle varie correnti di docimologia che hanno coltivato il sogno della
misura esatta nella valutazione. Si è cercato di risolvere il giudizio
di valore nel giudizio di realtà, ma ridotta a poche o addirittura ad
una sola dimensione; si è voluto espellere dalle operazioni di
valutazione la dimensione ermeneutica, quantificando ciò che non
è assolutamente e sempre ponderabile. Il raggiungimento di questo
obiettivo è ritenuto funzionale per migliorare le decisioni
sull'apprendimento degli alunni, per migliorare la qualità
dell'insegnamento, per dare garanzie sulla credibilità dei titoli di
studio rilasciati. Disporre di valutazioni esatte per potere regolare
sia i processi di apprendimento;ma anche per potere regolare il sistema
di istruzione nel suo insieme. Un rigoroso e puntuale sistema di
accertamento dei risultati di apprendimento viene ritenuto il
fondamento necessario di tutte le azioni di politica scolastica;
sorregge il bisogno di informazione sul funzionamento del sistema
scolastico,ai fini di una considerazione dell'efficacia e
dell'efficienza degli investimenti pubblici destinati ad esso.
Qualsiasi società non può non chiedersi se un sistema di istruzione
funzioni e quale sia il contributo che ha dato e deve dare alla
costruzione della società della conoscenza e all'economia della
conoscenza. In questo particolare momento e soprattutto nel sistema
delle autonomie scolastiche si è imposta la necessità di una
valutazione esterna alla scuola che affianchi e sostenga le azioni
necessarie di valutazione interna. Per essere accettata la valutazione
esterna bisogna legare alle funzioni di verifica e di controllo
interventi vincolanti di assistenza, sostegno e sviluppo, estranei ad
ogni modo ad una logica di premi e di sanzioni. Prima o poi deve essere
accettato che ad un possibile, superficiale giudizio proveniente
dall'esterno non si può contrapporre una incerta autodifesa tutta
giuocata sull'autoreferenzialità impressionistica degli addetti ai
lavori (G. Gerini).
La scuola non è un'azienda,ma senza dubbio è un'organizzazione che deve
essere valutata nelle sue procedure e nei suoi risultati. Con
l'autonomia la valutazione interna e quella esterna sono un dovere e un
servizio per tutti: operatori, utenti, istituzioni.
L'inefficienza del sistema scolastico e formativo con la quale si
convive comporta danni sociali di una certa gravità: costi elevati
senza rendimento, modeste opportunità per coltivare e sviluppare le
proprie attitudini,incongruenza con le esigenze della società.
L'aggravamento e la durata delle difficoltà e delle inefficienze della
scuola rischiano di mettere in discussione l'esistenza dell'istruzione
pubblica e rendono incerta la sua difesa e la sua salvaguardia.
Prof. Raimondo Giunta
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