Guido De Ruggiero e la disperata ricerca del Trascendente
Data: Sabato, 08 novembre 2014 ore 08:30:00 CET Argomento: Redazione
Stupisce che
il nome di Guido De Ruggiero (Napoli 28 marzo 1888 - Roma 29
dicembre 1948) non sia apparso nelle grandi storie della filosofia che
si sono compilate in Italia negli ultimi cinquant'anni, da quella della
Garzantia cura di Ludovico Geymonat a quella della UTET a cura
di Nicola Abbagnano e Giovanni Fornero ed a quella della Bompiani a
cura di Giovanni Reale e Dario Antiseri, e che sia apparso solo di
passaggio in qualche enciclopedia filosofica. Capisco che non tutti gli
autori possono trovare spazio nelle compilazioni monumentali, ma
sorprende che il primo realizzatore italiano di una intelligente
e onesta storia della filosofia in tredici volumi editi da Laterza dal
1918 al 1948 non venga nemmeno menzionato, tranne che in brevi note
bibliografiche, dai suoi più giovani colleghi, almeno per la
straordinaria fatica storiografica da lui sostenuta, tutta condotta in
prima persona e con grandissimo dispendio di energie intellettuali e
fisiche che probabilmente ne hanno provocato la morte
prematura. Egli, insomma, non ha una adeguata collocazione da nessuna
parte come storico della filosofia e nessuno ha voluto assumersi
la responsabilità di parlarne in modo criticamente adeguato. Lo ha
fatto in modo piuttosto polemico Renzo De Felice, ne hanno scritto in
termini politici Norberto Bobbio e Luigi Salvatorelli e ne ha discusso
con tono amichevole Luigi Russo in un delicato: "Ricordo": "Ora che ne scriviamo, in
attesa che qualcuno più competente possa parlare dello storico della
filosofia, ci giova rendere almeno un qualche omaggio non solo
all'amico, ma anche all'uomo di schietti sentimenti laici, che non
erano mai venuti meno in lui, tanto da sdegnarsi che altri potessero
pensare che egli volesse tornare ad amoreggiare con la trascendenza
cattolica" (in "Il dialogo dei popoli",
Parenti, Firenze 1953, p.252). In modo più pertinente
filosoficamentene ha scritto Eugenio Garin con una lunga e bella
Prefazione alla nuova edizione
della sua "Storia del liberalismo
europeo", nella quale egli spiega sinteticamente cos'è il
Trascendente deruggieriano: "In certo senso lo svolgimento di tutto il
suo pensiero potrebbe venir presentato come una sorta di ritorno ideale
verso le giovanili preoccupazioni kantiane di una assolutezza di valori
da salvaguardare oltre il flusso della storia" (in Prefazione a G. De
Ruggiero,"Storia del liberalismo europeo", Feltrinelli, Milano 1977,
p.VIII ).
Il De Ruggiero è stato un uomo di fede liberale maturata
nell'esperienza di vita politica e negli studi appassionati della
filosofia antica e moderna. Egli si è innamorato dell'illuminismo, del
quale ha dato, tra i primi studiosi, una interpretazione singolare,
ponendo la centralità di Kant, teorizzando la religiosità del razionale
e facendo una pubblica professione di fede illuministica: "Si può
vedere di qui facilmente quale sia la funzione della ragione. Essa
domina dal di fuori e dall'alto gli ingredienti del suo mondo, senza
intrinsecarsi con essi, come la mente dell'orologiaio domina il
complesso delle ruote, dei perni, delle molle del suo ingegnoso
meccanismo. Ecco perché molti di noi (e, prima di noi, molti degli
stessi illuministi) non riescono facilmente a scoprirla, quando
concentrano la loro attenzione sull'opera piuttosto che sull'artefice.
Quest'ultimo è il deus ex machina
omeglio il deus extra
machinam, che tutto spiega senza essere a sua volta spiegato,
non
diversamente dal suo progenitore teologico. E la sua razionalità si
manifesta nell'ordinamento armonico e regolato delle parti di cui
consta la sua opera [...] Perciò più in alto si leva l'artefice, cioè
più
la ragione umana tende a confondersi con la ragione divina, meglio
s'armonizza e s'integra la visione totale delle cose" (G. De
Ruggiero,"L'età dell'illuminismo",
Laterza, Bari 1968, p.11)Volgere la
storia della filosofia verso la teologia era ed è un atto
spericolato, si sa, e dichiarare la propria propensione religiosa
in filosofia è un'attività altrettanto coraggiosa La sua posizione lo
conduce per questo all'isolamento perché così facendo egli si allontana
dall'attualismo di Giovanni Gentile e dallo storicismo di Benedetto
Croce, e dai loro rispettivi amici, epigoni e allievi. Di qui nasce
forse la prima radice della disattenzione filosofica nei suoi confronti.
De Ruggiero è e rimane uno spirito orgoglioso, indipendente e libero
prima davanti al fascismo e poi nel regime democratico, e persino di
fronte ai suoi stessi compagni di lotta nel corso della lunga
opposizione alla dittatura e della breve resistenza al nazifascismo
all'interno del partito d'azione e come ministro della Pubblica
Istruzione nel governo Bonomi dal giugno al dicembre 1944, dalla cui
partecipazione però egli non riceve moltissime gratificazioni: "Data
la difficoltà della situazione e la brevità della sua permanenza al
ministero,i risultati conseguiti furono però tutto sommato modesti e
ancor minori furono le soddisfazioni derivanti dal suo lavoro; sicché,
sopravvenuta ai primi di dicembre dello stesso anno la crisi del
governo, il De Ruggiero fu ben lieto che la non partecipazione degli
azionisti al successivo lo liberasse dagli impegni governativi e
gli permettesse per un verso di cominciare a tornare ai suoi
studi e per un altro verso di dedicarsi ad altre forme di impegno più
congeniali al suo modo di intendere la politica"(Renzo De Felice, "De
Ruggiero Guido", in Dizionario
Biografico degli Italiani, vol.39,
Treccani1991).
La scarsa fortuna storiografica di Guido De Ruggiero è dovuta
soprattutto, a parer mio, all'aspro giudizio di Croce nella dura
lettera di contestazione pubblicata da "La Nuova Europa" nel febbraio
1945 e, dopo la sua morte, il rifiuto di parlarne,da parte dello
stesso Croce, per "scarsa consistenza filosofica". Bisogna
aggiungere,però,che anche i giudizi del De Ruggiero nei confronti di
Croce sono sprezzanti e quasi mai puntuali e contestualizzati. Questi
giudizi non tengono conto invero del percorso compiuto
dallo storicismo crociano, che invece viene da lui assimilato
senz'altro a tutto lo storicismo, compreso quello tedesco responsabile
di giustificazionismo storiografico e di relativismo morale: "Alle
osservazioni contenute nei capitoli precedenti il Croce ha cortesemente
risposto sul giornale stesso che le aveva pubblicato (La Nuova
Europa), riconfermando il suo storicismo. Sento perciò il
bisogno di
chiarire e precisare, con questa breve replica, il mio punto di vista.
Io avevo notato che la visione storicistica è troppo retrospettiva:
essa conclude una fase della realtà storica, ma non ne apre una nuova;
perciò essa sacrifica alla storia fatta la storia ancora da fare
[...] Questa risposta non mi appaga, perché mi pare che non superi
l'istanza critica che avevo proposta [...] Ma chi è che può giudicare
la
storia passata in questo suo contrasto di ombre e di luci, di soluzioni
realizzate e di problemi aperti, di razionalità e d'irrazionalità? Solo
lo spirito che in sé trascende la storia, che nella sua infinità
sente l'inadeguatezza di tutte le sue esplicazioni finite, che
alla sua potenza mai compiutamente espressa attinge la capacità di
esplicazioni nuove" (G. De Ruggiero,"Replica",
in "Il ritorno alla
ragione", Laterza, Bari 1946, pp.37-39).
Chi cerchi di ricostruire e di comprendere la natura dello storicismo
di Benedetto Croce non può in effetti disinteressarsi dell'ultima fase
della sua elaborazione speculativa e deve tener conto dei suoi esiti
estremi, dei suoi avanzamenti e delle sue autorevisioni fino alla morte
avvenuta nel 1952. Lo nota per primo Carlo Antoni nel Commento a Croce
del 1955 e nella Restaurazione del
diritto di natura del 1959. In
particolare,in quest'opera lo studioso triestino distingue lo
storicismo di Croce da quello tedesco di Meinecke che tutto
giustifica,tutto travolge e tutto relativizza e che trova in Hegel il
suo massimo profeta e teologo, difende Croce dall'accusa deruggieriana
di ridurre la storiografia ad uno strumento "giustificazionista" e
ritiene che il De Ruggiero vede nello storicismo crociano solo i
fattori che condizionano l'evento anziché la necessità di superamento
dei limiti e delle contraddizioni della storia. In realtà, la
concezione crociana presenta l'intelligenza della storia come un
impegno tormentoso e pieno di responsabilità nel tragico corso degli
eventi umani. Croce, insomma, non è lo storico della pacificazione a
buon mercato e della concordia semplicistica.
Antoni difende il Croce dagli attacchi del De Ruggiero e al tempo
stesso, a differenza di altri, apprezza lo sforzo di questi nella
ricostruzione del pensiero e dell'opera di Hegel nell'ultimo volume
della sua "Storia della filosofia",
dato alle stampe nel 1948 (poco
prima di morire improvvisamente a seguito di attacco cardiaco), nel
quale la critica rivolta al filosofo di Stoccarda muove dalla stessa
profonda esigenza metafisica che ispira la sua opposizione allo
storicismo crociano: "Ma il paradiso filosofico hegeliano, essendo
terrestre e non celeste, è come un terso cristallo, dal quale traspare
tutto il movimento delle cose che si compie all'aria libera [...] Anche
questa è indubbiamente un'attività, anzi un'alta e degna attività ; ma
ne tarpa le ali appunto quel compito retrospettivo che Hegel le affida
e che la fa assomigliare al lavoro autobiografico a cui si dedicano di
solito gli uomini d'azione dopo che hanno concluso la loro esistenza
attiva. Non è questa per noi la funzione della storia della filosofia o
della storia in genere [...] Ma nella concezione di Hegel la storia
della
filosofia non è in funzione del nuovo filosofare, al modo stesso che la
storia in genere non è in funzione della nuova vita, esse chiudono e
non aprono l'orizzonte umano" (G.De Ruggiero, "Hegel", Laterza, Bari
1958, p.274).
L'insoddisfazione del De Ruggiero per l'assenza in Croce, come in
Hegel,
di ogni slancio ideale e per la "contemplazione" della razionalità del
già realizzato, che dà luogo, per esempio, alla stesura di una "Storia
d'Italia dal 1871 al 1915" in cui il protagonista, Giolitti,
viene da
Croce beatificato come il rappresentante più alto del liberalismo e il
migliore sistematore di tutti i tasselli della realtà socio - politica
italiana, senza mostrarne il dato irrisolto, cioè quelle contraddizioni
che avrebbero poi determinato l'irresistibile ascesa del
fascismo, è indigesta, anche se in effetti questa è un'interpretazione
comune e abbastanza consolidata, ancor oggi. Rimane certo il capolavoro
crociano di una storia etico-politica perfetta sotto il profilo
formale, e la nostalgia di un'epoca d'oro nella vita nazionale,
prima della realizzazione della barbarie fascista; ma l'accusa
deruggieriana è esatta almeno per quanto riguarda certe pagine di
questa "Storia d'Italia"
compilate all'insegna dell'ottimismo. Il De
Ruggiero avverte un senso di fastidio nella storiografia crociana, e
ciò corrisponde al vero, se ci si sofferma su alcuni capitoli, che
tuttavia non impediscono al libro di essere mirabile sotto certi
aspetti e astutamente apologetico dell'età giolittiana, se si pensa che
esso viene pubblicato nel 1928, cioè ormai in piena dittatura fascista.
La vocazione giornalistica ed elegante del De Ruggiero è decisiva anche
per la sua produzione filosofica, ma gli procura l'ostilità della
filosofia cattedratica e paludata che pretende l'austerità tradizionale
della lingua e della scrittura teoretica. Non è un caso se egli tratta
prima sul settimanale "La Nuova Europa" molti argomenti che, raccolti
in volume, costituiscono il contenuto del Ritorno alla ragione, l'opera
sua più importante e preziosa per comprendere il senso vero e inquieto
della critica allo storicismo e specialmente a quello di Benedetto
Croce: "Questo si presentava come una visione troppo retrospettiva del
reale; esso concludeva una fase del mondo, senza aprirne una nuova; e
in quella fase esso assorbiva e scioglieva senza residui, col suo
realistico immanentismo, quei valori eterni dello spirito, la cui
relativa trascendenza di fronte alla realtà empirica avrebbe potuto
creare un fecondo squilibrio capace di schiudere le porte del futuro"
(G. De Ruggiero,"Il ritorno alla
ragione", cit., p.14). Mancherebbe
quindi allo storicismo del Croce l'idea di una distinzione di piani
della realtà, quella storica e quella metastorica, quella fisica e
quella metafisica.
A parte (come si è visto) la critica più o meno puntuale nei confronti
dello storicismo crociano,vi è nell'autore della fortunata "Storia del
liberalismo europeo"del 1925 una fortissima inquietudine
esistenziale
che lo spinge oltre l'idealismo e lo storicismo, nel cielo di una
metafisica di nuovo conio che gli fa intravedere lo scontro dialettico
e l'immane conflitto di immanenza e trascendenza e l'irriducibilità di
una Ragione illuministica che si solleva con lui di gran lunga al di
sopra degli eventi storici grazie ad un'insofferenza ontologica
superiore al divenire immanente delle cose empiriche: "Ma, d'altra
parte,la trascendenza della ragione illuministica ha un pregio che
l'immanentismo storico rischia di annullare. Essa si solleva a una
regione ideale, dove tutto ciò che nello spirito vi è di eterno trova
il suo rifugio e la sua meta, donde il fuggevole divenire si giudica e
si misura con senso di distanza e con capacità di dominio, perché non
si è travolti nel suo gorgo. Ivi sorgono le insofferenze verso una
realtà sempre inadeguata all'essenza razionale dell'uomo, ivi si
coltivano i nobili e generosi ideali,che sono sprone incessante
all'azione" (ivi, p.28). Il "senso di distanza" della Ragione rischia
di
sorpassare persino la metafisica kantiana della Critica della Ragion
Pratica, giacché sposta fuori del mondo empirico, molto al di là
di
esso, la razionalità costitutiva dell'ordine naturale e umano. Si
tratta di un modo originale di intendere l'illuminismo.
Nella critica all'immanentismo(storicista e non)si può misurare la
vicinanza del De Ruggiero alla filosofia di Leibniz e cogliere la
sua stretta adesione al pensiero morale di Kantla cui
presenza non viene mai rimossa. E qui sta forse la sua debolezza
teoretica, cioè nel volersi contemporaneamente mantenere fedele
all'idealismo: "Qualche lettore disattento o superficiale ha potuto
interpretare la mia partecipazione a questo lavoro di revisione
idealistica come una sconfessione del mio passato, quasi che il compito
di un idealista o di un fautore di qualunque orientamento di pensiero
dovesse essere quello di cristallizzarsi nelle posizioni già conseguite
e non piuttosto di temprare il proprio pensiero al fuoco di esperienze
sempre nuove di vita e di dottrina. Ma al lettore di mente aperta e ben
disposta può sembrare quasi superfluo che io riaffermi qui ancora una
volta la mia fede idealistica" (Prefazione
alla prima edizione del 1933
di "Filosofi del Novecento",
quarta edizione, Laterza, Bari 1940, p.VI
).
L'attitudine fondamentale del De Ruggiero è dunque quella di
derivazione kantiana che lo spinge a cercare e trovare la forza capace
di emergere dalla terrestrità opaca dell'immanenza e di affermare la trascendenza dei valori e della stessa Ragione, predisponendo la
soggettività verso la regione dell'eterno e del divino che non si può
mescolare con l'empirico. E ciò definisce, come in Kant, il senso
autentico e imprescindibile dell'umano: "Ciò che infatti costituisce il
nostro valore spirituale è un'attività in sé unita e raccolta che
sorpassa il tempo, per il fatto stesso che lo pone e che contiene in sé
la potenza di tutto ciò che in esso si distribuisce e si svolge" (G. De
Ruggiero, Ritorno alla ragione,
cit., p.24).
La fede nel Trascendente impregna di sé e illumina il percorso mentale
e la ricerca storiografica del filosofo napoletano. Senza eternità, per
lui, non può esistere temporalità, né può darsi progressione storica.
L'illuminismo è perciò la grande scoperta deruggieriana: esso è
il secolo della Trascendenza anziché l'età dell'ateismo e
dell'immanenza, cioè il secolo che conduce la Ragione nelle alte sfere
della metafisica, di cui Kant, Rousseau e Leibniz sono gli spiriti
magni. Il Trascendente rimane l'ineludibile oggetto della storia e
della ricerca filosofica che trova in ogni tempo, a partire
dall'antichità, la vittoria dello spirito sulla materia: "Compito della
filosofia di tutti i tempi è stato e sarà sempre di fissare questa
essenza permanente che cela il segreto del divenire e che forma il
presente eterno. Togliete quest'ansia dell'eterno ed anche i tempi si
appiattiscono e si vuotano, e il divenire s'immobilizza nel
divenuto"(ibidem). Così il liberalismo del De Ruggiero diventa lo
strumento metodologico per reinterpretare i fatti storici e comprendere
l'incompreso.
prof. Salvatore Ragonesi
salvatoreragonesi@hotmail.com
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