Chrome Native Client: Google mostra i muscoli
Data: Marted́, 06 ottobre 2009 ore 16:00:00 CEST
Argomento: Rassegna stampa


ragazzi di Mountain View in questi giorni vogliono far diventare roventi le tastiere: ne hanno appena fatta un’altra. Solo nella versione per Windows (per ora, per gli altri ambienti va compilato in proprio), è stata inserita – ma soprattutto resa disponibile – quella funzionalità che condurrà BigG verso la strada dell’autonomia, quella dove le applicazioni gireranno direttamente nel browser, senza interessare un sistema operativo retrostante: è uscito dal bozzolo Chrome Native Client.

Chiamato anche brevemente NaCl (che guarda caso indica altresì il Cloruro di Sodio, meglio conosciuto come sale da cucina), il nuovo “prodotto” di BigG nasce per mettere un pò di… sale, appunto, sulle pietanze: consentirà, infatti, al gigante delle ricerche di colmare quel gap che separa le applicazioni Web da quelle che girano, appunto, in modo nativo, su di un computer.

La maggior parte dei browser odierni, va ricordato, fa girare programmi scritti in JavaScript o in Flash. Essi però girano su una piattaforma che li rende più lenti di un programma fatto funzionare in modo nativo (come lo è il browser stesso). Utilizzando Native Client, invece, un’applicazione Web può sfruttare direttamente le prestazioni native dei microprocessori, come i chip x86 di Intel, la serie Core della stessa casa o gli Athlon di AMD.

Naturalmente occorre un’apposita piattaforma di sviluppo, come servono specifici strumenti di confinamento che permettano lo scaricamento e l’esecuzione di programmi a tutti gli effetti direttamente eseguibili senza compromettere gli aspetti riguardanti la sicurezza. Ciò superato, Google istruisce e cita diversi esempi con i quali assistere alle mirabolanti imprese informatiche che Chrome può compiere senza interloquire con alcuna piattaforma sottostante.

Ora vien voglia di provare, di vedere “cosa si vede”. Alt, con la versione ufficiale installata non si vedrà proprio nulla, inutile cliccare sui  link di quelle pagine. La versione ufficiale di Chrome va rimossa e, al suo posto, occorre installare quella del Dev Channel, beninteso, solo in ambiente Windows: per ora, niente NaCl su Mac OS-X e su Linux (ma arriverà, oppure va compilato in casa). Una volta terminata l’installazione, bisogna verificare di avere installata la versione 4.0.220.1 di Chrome, ricordare che chrome.exe va avviato con l’opzione --internal-nacl dopodiché si può riaprire la pagina con gli esempi ed assistere, anzi, provare ad assistere: ricordare che ora non si sta più usando una versione stabile di Chrome.

Per cambiare… livello di instabilità, Google offre uno strumento chiamato ChannelChanger, grazie al quale la propria Dev Channel version può essere impostata su Stable, Dev o Beta, dove la Dev è quella proprio in sviluppo, la Beta è quella leggermente più stabile e la Stable è quella ufficiale. Tenere, comunque, bene a mente che in nessuno dei due casi escluso lo Stable può essere garantita la stabilità del funzionamento del browser. Se invece quello che si desidera è la stabilità, occorre tornare alla distribuzione ufficiale.

Google, dunque, sta imboccando una strada, anzi, un’autostrada ben precisa, sulla quale intende procedere a velocità piuttosto sostenuta: quella di sferrare contraccolpi a certi annunci, come quello di IBM, e quella – a lunga percorrenza ma con un traguardo prestigioso – di sganciarsi dalla dipendenza da un sistema operativo per prenderne del tutto il posto: un’ambizione non certo nuova, che ha posto dubbi a più di qualcuno ma che, di sicuro, Google non mollerà.

I più curiosi possono sbirciare nella research paper, disponibile su questa pagina (formato PDF).

Marco Valerio Principato







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