CON LA TESTA IN VACANZA
Sentieri filosofici
di Claudio Chianella*
Nei primi anni dell'adolescenza – per la verità anche prima, come testimoniano le numerose e pregevoli esperienze sul 'fare filosofia' con i bambini in Italia e all'estero - si affacciano le prime domande filosofiche: i ragazzi si interrogano su cosa è giusto e sbagliato, sul senso dell'esistenza…; se nel loro corso di studi c'è la Filosofia, chiedono a questa disciplina risposte certe, prima ancora di aver imparato qualcosa dal mondo dell'esperienza. Non è facile, per chi insegna filosofia nelle scuole, far comprendere a questi giovani impazienti e curiosi, che la gamma delle questioni filosofiche è relativamente poco variabile se confrontata con la gran messe di ragionamenti e risposte che i pensatori hanno offerto intorno ai vari problemi. Ciò che possiamo fare è indicare loro le linee di un lungo cammino e alcuni buoni compagni di strada. Interessante, sul tema del fare filosofia come paziente percorso personale in compagnia di autori classici del pensiero occidentale, è il libro di Mario Trombino, Esperienze di filosofia, Firenze, Giunti, 2008, pp. 143, euro 9,50.
L'autore, insegnante di Filosofia e Storia nei licei e direttore del sito Internet Il Giardino dei Pensieri, una delle prime esperienze in Italia di didattica della filosofia on line,propone alcuni percorsi intorno alle questioni fondamentali del pensiero occidentale: la Bellezza, la Realtà, il Tempo, la Libertà, l'Amore, la Comunicazione, l'Educazione… Ogni riflessione parte dall'esperienza quotidiana ed è condotta con lo stile semplice e avvincente di chi intende comunicare pensieri filosofici a un pubblico non esperto. Visitiamo, per es., il 'luogo filosofico' dell'educazione e la relativa spiazzante domanda: si può obbligare qualcuno a essere libero? Se non possiamo non scegliere di essere liberi, perché dobbiamo seguire le leggi di altri, magari quelle dei genitori o della società o della religione a cui apparteniamo? In un contesto sociale ciascuno ha il diritto di seguire la propria legge, ma allo stesso tempo siamo tutti sottomessi sia alle leggi della natura sia a quelle della società. Se si vuole educare un cittadino libero e padrone delle proprie facoltà, sembra inevitabile il paradosso di Rousseau: alla libertà si deve essere educati, anche contro se stessi. Ed è compito della società stabilire i fini educativi.
Un'altra tappa di questo tour filosofico è dedicata all'imprevedibilità degli eventi: ha ragione Spinoza (tutto è come deve essere) o Epicuro (dietro ogni evento non c'è che il caso)? Siamo tutti degli Edipo con un destino da combattere invano? Ingranaggi di un grande meccanismo? Forse, ma ingranaggi che pensano!
Filosofare è anche esplorare percorsi alternativi, pensare mondi possibili e soprattutto desiderabili. Ne è un esempio il saggio di Luce Irigaray, La via dell'amore, trad. di Roberto Salvadori, Torino, Bollati Boringhieri, 2008, pp. 117, euro 14,00.
L'autrice – una delle principali teoriche del pensiero della differenza di genere – si interroga sulla possibilità di una 'filosofia dell'amore' che conceda il giusto peso all'intersoggettività e al riconoscimento dialogico dell'altro. Il predominio della soggettività maschile ha messo in disparte, nel tentativo di meglio dominarlo, l'altro da sé: la natura, la donna, le generazioni future. Il compito di una filosofia dell'avvenire dovrebbe piuttosto passare da una certa idea di razionalità formale a 'una saggezza dell'amore' per la costituzione di un nuovo modello di apertura all'altro.
Nel saggio si indaga la modalità del comunicare, la condivisione della parola. Il soggetto della ragione occidentale ha sempre cercato di nominare esattamente un ente, in modo da poterlo insegnare all'altro. È un 'parlare di' piuttosto che un 'parlare con'. Il senso del comunicare femminile è invece interessato alla comunicazione diadica e all'ascolto. Una comunicazione a due che non esiste nella tradizione filosofica, come evidenzia la Irigaray analizzando gli scritti di Heidegger. Costruire una dimora comune più umana richiede una revisione dell'intera casa del linguaggio, i suoi vocaboli, le forme verbali, archetipi che esprimono un universo maschile e portatori di stereotipi di genere. Il modo stesso di ragionare, la 'grammatica del pensiero' andrebbe rivisitata. Anche la dialettica hegeliana va superata in direzione di un riconoscimento reciproco dei poli relazionali, non di una loro integrazione nel livello superiore dell'Assoluto: il negativo, nella nuova e inedita dialettica, deve avere il ruolo di mantenere la differenza, non di annullarla.
L'ontologia qui delineata appare costituita da tre mondi: il soggetto maschile, quello femminile e la loro relazione. Se uno di questi mondi 'reali' pretende l'indipendenza dagli altri, fallisce tutto l'insieme. La differenza abita un sito inappropriabile e l'altro non sarà mai né me né mio: "La ricerca di un legame richiede il rispetto dell'estraneità dell'uno per l'altro, il riconoscimento di un niente in comune che rimette in discussione il proprio a ciascuno".
Ma filosofare è anche saper usare il martello, avere il coraggio di smascherare le contraddizioni della modernità. Su questa linea incarnata magistralmente da Nietzsche, troviamo il breve saggio di Florens Christian Rang, Psicologia storica del carnevale, a cura di Fabrizio Desideri, commento di Massimo Cacciari, Torino, Bollati Boringhieri, 2008, pp. 123, euro 9,00.
Si tratta della riedizione rivista e corretta del testo - già edito in Italia nel 1983 - di una conferenza di Rang del 1909 in cui si analizza il concetto del carnevale in relazione alla crisi dell'uomo moderno. F.C. Rang (1864-1924) è il tipico esempio di pensatore appartato, presto dimenticato dal grande pubblico ma in fervido contatto con i grandi pensatori tedeschi del primo Novecento. Con uno stile che riecheggia le pagine infuocate di Nietzsche, Rang individua nel potere dissacratorio del riso l'elemento primigenio del carnevale; nella storia di questo riso 'del quale non c'è da ridere' è racchiuso il divenire della sua progressiva inoffensività.
Il carnevale nasce all'alba della civiltà: già in un'antica epigrafe babilonese si narra di una festa dove lo schiavo procede accanto al signore. Se il carnevale è la festa dell'anno nuovo, anche sulla Terra deve essere celebrata identica inversione di ruoli. Una festa che è dunque una pausa, un interregno, il breve tempo in cui si concede alla follia di 'abbaiare' contro il logos. Ma è pur sempre un festeggiamento istituzionalizzato e sottoposto alla disciplina della ragione: anche il carnevale deve avere il suo re – l'interrex – che annega la propria angoscia tra vino e risate. L'esplosione dell'ebbrezza della passione dionisiaca viene confinata e controllata, prima dalla legge dei sacerdoti, poi dalla filosofia platonica, infine dal cristianesimo, la religione dell'uomo-Dio, la realizzazione del rassicurante e "supremo ideale: una Umanità Divina". Un periodo di assenza di autorità, il car naval - il 'carro navale', la nave dei folli – che si conclude con l'ubriacatura del Martedì grasso e l'avvento del Mercoledì delle ceneri, ovvero del ritorno all'ordine. Trionfa l'ideale della rinuncia, l'ebbrezza dell'ascesi, mentre il carnevale scivola dietro le quinte, portatore di un riso ormai addomesticato e innocuo. L'uomo moderno, infine, proclamerà una nuova ascesi "che deve ancora togliersi di dosso: il dovere del lavoro".
*Insegna Filosofia, Psicologia e Pedagogia presso l'Itas 'Giordano Bruno' di Perugia.