«O capitano! Mio capitano!». I versi iniziali
dell’ode di Walt Witman, ci riportano
inevitabilmente alla memoria la figura dell’insegnate.
Già, perché questi versi sono
diventati il filo conduttore del film "L’attimo
fuggente", interpretato da Robbin Williams
nel 1989. E perché nel ricordo di chi
ha visto il film è rimasta impressa quell’ultima
scena: l’insegnate che sembra abbia
fallito la sua missione e, mentre si appresta
a lasciare la classe nel silenzio, gli alunni dimostrano
di aver compreso il suo messaggio
e ad uno ad uno si alzano in piedi, per
salutare il maestro di vita, il loro "capitano".
Chi nel proprio percorso scolastico ha
avuto degli insegnanti che hanno sentito
questo mestiere come una missione sa che
questa non è solo la trama di un film. Quello
con il proprio professore
è un rapporto speciale:
fatto di parole, confidenze,
talvolta di rabbia ma sempre
di profonda comprensione.
L’insegnante, quello
con la "I" maiuscola spiega
che dalle pagine di un libro
si può scoprire il mondo,
aprire la mente e sviluppare
il proprio equilibrio;
ma sa anche che i
giovani hanno bisogno di
essere indirizzati, ognuno secondo le proprie
inclinazioni. Certo, quando ha a disposizione
i mezzi per poterlo fare! Oggi
non è semplice tentare di essere un buon
maestro di vita, sono troppe le complicazioni.
Ieri l’ultima protesta dei sindacati
della scuola per i tagli di posti e per il pericolo
di formazioni di classi superaffollate.
«Cambia il governo e questo si ripercuote
immediatamente sulla scuola», commenta
amareggiata Francesca Capuana, dirigente
scolastico di un Istituto comprensivo.
Al termine della sua attività lavorativa,
l’insegnate guarda in modo disincantato il
mondo della scuola. «I cambiamenti repentini
– sottolinea – danneggiano la scuola
e ai ragazzi. Come preside è una continua
corsa a far quadrare i numeri, ma i bambini
non sono numeri e non possiamo trattarli
come delle carte da gioco da aggiungere
al mazzo per dimezzare i costi. Comprendo
lo sconforto dei giovani docenti
con delle classi che già oggi raggiungono i
28 elementi e che gestiscono con difficoltà
nel tentativo di seguire tutti. E pensare che
in passato ci sembravano affollate già con
venti alunni. «La verità è che oggi non si tiene
a mente un passaggio del programma
del 1955 – conclude l’insegnante – il grado
di civiltà di un uomo si riconosce dal suo
grado culturale».
Con tutte le sue forze, Giovanna Russo,
docente di lettere alle scuole medie e di latino
e greco alla scuola superiore, desidera
essere un’ottima insegnate; ma anche lei si
scontra con una realtà che pretende dai
professori un
atteggiamento
professionale
difficile poi da
mettere in
pratica.
«L’idea della
classe sovraffollata
da
un punto di vista
della formazione
non è
proponibile –
dice – già oggi
una classe di
26 alunni è faticosa
da gestire,
figurarsi di
trenta! La mia amarezza è che non trovo riscontro
tra quello che ci viene insegnato
durante i corsi di abilitazione, dove si punta
sulle prestazione, sul ruolo dell’insegnate
come educatore, sul riguardo agli alunni
e poi nei fatti si riempiono le classi. E’
una contraddizione, perché inevitabilmente
non si riesce più a seguire il ragazzo come
singola individualità e la qualità si perde.
Si perde il contatto con i giovani che
hanno bisogno di confrontarsi, mentre oggi
noi insegnanti non riusciamo più a rispondere
alle domande di tutti e seguire i
programmi. Mi rendo conto che potrei essere
davvero un ottimo insegnate perché
amo questo lavoro ed è questo che desidero
fare nella vita, ma non ho i mezzi per
realizzare quello che vorrei».
LUCY GULLOTTA (da www.lasicilia.it)