E’ passato più di un mese dai fatti vergognosi del 2
febbraio nei luoghi adiacenti lo stadio Massimino.
E dopo un mese di polemiche e critiche talvolta
anche troppo forti ad una città, la nostra, come
tante altre, dove la delinquenza rischia di prevalere
ormai sul senso civico, anche noi, studenti della
succursale del liceo statale Principe Umberto di
Savoia vorremmo dire la nostra. Sentiamo il dovere
di focalizzare l’attenzione sull’aspetto morale
della vicenda, esprimendo una critica costruttiva
che serva almeno a far riflettere sull’abiezione in
cui è caduta la nostra nazione, non solo la nostra
città. Sì, lo affermiamo a testa alta: Catania non è
peggiore delle altre, anche se la pesantissima squalifica
imposta al nostro stadio ha tutta l’aria di essere
una condanna a un’intera cittadinanza.
Abbiamo scritto all’inizio che la nostra è una città
come tante altre, ma da sempre siamo orgogliosi di
essere Catanesi. Amiamo la nostra città che riteniamo
sia una delle più belle della Sicilia. Purtroppo
non tutti i cittadini sembrano fieri di ciò che
hanno e fanno a gara nel dimostrarsi incivili. Certo,
come tutte le grandi città, Catania non è solo
centro storico, c’è anche la periferia degradata.
Ma sarebbe troppo facile affermare che solo da
questi quartieri provenivano le migliaia di teppisti
travestiti da tifosi che hanno scatenato la guerriglia
urbana. Le indagini hanno dimostrato chiaramente
che tra quella gente convinta che avere una
sciarpa rossazzurra al collo ti autorizzi a fare ciò
che vuoi, erano rappresentati tutti i rioni, i ceti sociali
e le fasce d’età. Anche tra noi, tranquilli e rispettabili
liceali, tanti provengono da quartieri
cosiddetti a rischio: basta questo per renderci sospetti?
Tanti di noi sono anche tifosi e il 2 febbraio
al Massimino c’erano; alcuni possono addirittura
definirsi ultras. Infatti bisogna distinguere il teppista
dall’ultrà: il primo sappiamo tutti chi è, l’abbiamo
visto quel venerdì. L’ultrà invece è quello che
sette giorni su sette pensa alla partita; quello che,
lavoro permettendo, ama andare in trasferta; è
quello che ama la maglia, che è fedele, che sostiene
la squadra nei momenti difficili, che non farebbe
mai nulla di male che possa recare danno a
squadra, società e tifosi come lui. Chi vive il calcio
con questa passione aveva riposto tante speranze
nella partita Catania - Palermo, quella che i veri
tifosi catanesi aspettavano da tre anni per potersi
riscattare. La madre di tutte le partite: conti i giorni,
le ore, i minuti e i secondi. In città non si parla
d’altro. Gli ultras preparano e organizzano coreografie
e striscioni. Finalmente arriva il giorno: il
tempo non è dei migliori, pioviggina, ma lo senti,
lo senti nell’aria. Sì, è il profumo del derby! È tutto
troppo bello per essere vero, e infatti tutto viene
rovinato da gente che non capisce niente, né di
calcio, né della vita e che non è capace di amare
niente, né una città così bella, né una squadra che
ci ha fatto sognare.
Ma questa gente dal cuore così arido che si accende
solo di violenza spunta forse dal nulla? Possiamo
in coscienza affermare che non immaginavamo
che sarebbe finita così? Purtroppo la maggior
parte di noi era consapevole di ciò che sarebbe potuto
succedere. È sbagliato, ma la violenza è ormai
parte integrante dello sport e noi ci siamo abituati.
O meglio, il calcio è solo una scusa, un pretesto
per celare dietro false maschere un odio profondo
e ingiustificabile contro le istituzioni e le forze
dell’ordine, tanto che oggi si assiste più a scontri
tra "tifosi" e forze dell’ordine che tra tifoserie opposte.
Questo fenomeno esiste solo a Catania? A
Catania è stato un poliziotto a perdere la vita e ciò
ha posto la vicenda al centro dell’attenzione mediatica;
ma ricordiamoci che la partita si era aperta
con un minuto di silenzio per Ermanno Licurzi,
dirigente di una squadra calabrese di dilettanti, ucciso
a pugni e calci in un piccolo stadio di provincia.
Vorremmo far capire che quanto è successo a
Catania sarebbe potuto accadere ovunque. Questo
comunque non giustifica l’accaduto, anzi sottolineamo
ancora che il problema della violenza è un
problema morale più che di ordine pubblico. Nel
caso specifico ciò che risalta ancora di più è che a
una tale manifestazione di violenza erano presenti
moltissimi giovani. Ciò dimostra un evidente
fallimento di cui tutta la società deve vergognarsi.
Scuola e famiglia non possono non interrogarsi
sul perché non esistono più dei valori fondamentali.
Nelle famiglie c’è un silenzio preoccupante
e magari per un ragazzo trovare un legame in un
gruppo di ultras-teppisti può sembrare una valida
alternativa per colmare il vuoto che si ha dentro.
Gli scontri del 2 febbraio sono il sintomo evidente
di una società profondamente degradata, in cui
può perfino accadere che la Tv spazzatura mostri
in diretta come costruire una bomba carta (tanto
per non incitare alla violenza...).
Adesso bisogna eliminare la violenza non solo dagli
stadi, ma da ogni luogo. Bisogna partire dal basso,
dai banchi di scuola, per cambiare mentalità.
Per esempio, alcune organizzazioni sportive stanno
lottando per trasmettere alla gente il vero valore
dello sport, considerandolo come un mezzo
per diffondere la fratellanza tra gli sportivi. Quali
sono stati invece i provvedimenti adottati dalle autorità?
La sospensione di una sola giornata di campionato
non è servita a nulla se non ad accelerare
i lavori per mettere a norma alcuni stadi. Intanto la
squalifica infinita inflitta al campo del Catania
sembra dire che, trovato un capro espiatorio, ogni
problema è rimosso e tutto può continuare come
prima. Ma Catania non ci sta: i Catanesi sani dicono
no alla violenza, ma si ribellano anche all’etichetta
che li vuole tutti assassini!
GLI STUDENTI DELLA SUCCURSALE DEL LICEO STATALE PRINCIPE UMBERTO DI SAVOIA DI CATANIA
(da www.lasicilia.it)