da lastampa.it
Sabato, 3 Marzo 2007
3/3/2007 - REPORTAGE: A SCUOLA UN MONDO CAPOVOLTO
Le mamme assolvono la maestra con le forbici
“Ha tagliato la lingua a un allievo ma non merita il licenziamento”
FABIO POLETTI
Dicono che è stato un processo sommario. Dicono che il ministro Fioroni ha sbagliato quando ha annunciato il licenziamento in tronco di Rosa S., la supplente di appena 22 anni della seconda C che con un colpo di forbici («E’ chiaro che non voleva, si capisce...») ha tagliato la punta della lingua di Ahmeed, 7 anni e mezzo, «colpevole» di essere troppo irrequieto. Se ne dicono tante da giorni, all’Istituto comprensivo Luigi Cadorna di via Carlo Dolci a Milano, un cancello di ferro che si apre su un palazzone neoclassico nemmeno troppo brutto, bambini che giocano in cortile e non sembra che questa sia la scuola degli orrori. «Quante volte ho detto a mia nipote che se non la smetteva, le tagliavo la lingua...», giura la nonna di Sofia, quinta elementare, treccine, cartella a tracolla, sorriso divertito. «Ha sbagliato ma non merita di essere trattata come un mostro».
La solidarietà
Insegnanti, genitori, bambini, sembrano tutti dalla parte della maestra. Alcuni padri e madri della seconda C frequentata dal bambino di origini tunisine ancora a casa in convalescenza, stanno raccogliendo firme in solidarietà con l’insegnante: «E’ una ragazza timidissima, ha commesso un’imprudenza, chissà cosa le è saltato in testa...». Altri genitori di bambini extracomunitari come Ahmeed, quasi la metà in questa scuola frequentata da 400 alunni spalmati su 24 classi, hanno scritto una lettera ai colleghi di Rosa S., sospesa, prossima ad essere licenziata anche se qui tutti vorrebbero che avesse almeno un’altra chance: «Noi genitori di bambini arabi vogliamo esprimere la nostra solidarietà a voi che tutti i giorni aiutate i nostri figli nella loro crescita civile e culturale. Questo tragico, spiacevole ed isolato evento non scalfisce la nostra fiducia in voi».
Il direttore didattico sceglie invece il silenzio. Troppo clamore. Troppe televisioni al cancello. Troppi fotografi. Troppi giornalisti. «Siamo indignati per come è stato trattato il caso. Anche il ministro ha sbagliato ad intervenire solo sulla base di notizie giornalistiche», non si trattiene Mariangela, 32 anni di insegnamento, sul cellulare i messaggini di altri genitori solidali con queste maestre, tutte le maestre nella bufera. «Vi siamo vicini. Grazie per come avete gestito la situazione. I bambini sono sereni come smpre», scrive Gaetana. «Anche in questo momento difficile la mia fiducia rimane totale», giura Cristina, la mamma di Luca. «Io che vivo in questa scuola ho saputo la notizia dai telegiornali. Qui non c’è stato tutto questo clamore», racconta ancora Mariangela, maestra di frontiera a 1630 euro al mese, 18 bambini di prima elementare, 10 sono stranieri, 8 musulmani. «Una scuola tranquilla, anche se sui giornali siamo finiti per lo sciopero della mensa di alcuni bambini istigati dai genitori durante il Ramadan».
In prima linea
«Noi siamo in prima linea ogni giorno, siamo come su un campo minato. Quello che ci è mancato è il sostegno delle istituzioni», si sfoga con le sue colleghe Agata, maestra in terza elementare, tailleur pastello, un diavolo per ricciolo. Nel capannello c’è chi si lascia scappare che con gli avvocati di mezzo tutta la vicenda è diventata una questione di soldi, di risarcimenti da pagare e da incassare. Chi ha visto Rosa S. dice che ha la vita distrutta e che non fa altro che piangere «poverina...». Parole di comprensione, forse solidarietà di categoria, un pugno in faccia per la mamma di Ahmeed che al cellulare ripete che non voleva crederci quando le hanno detto che stanno raccogliendo le firme per chi ha tagliato la lingua a sua figlio: «Me l’ha detto la madre di un altro bambino. Una che non ha nemmeno chiamato quando mio figlio è finito in ospedale. E adesso mi dice che bisogna fare qualcosa per non fare licenziare la maestra... Loro non sanno il dolore che ho provato io e che ha provato mio figlio... Io non so se si sarebbero comportate così, se avessero tagliato la lingua a un bambino dei vostri, a un bambino italiano...».
Quella sottile linea che divide razzismo e intergrazione in questa scuola come tante, tranquilla come tante, un solo episodio e guarda cosa è successo, rischia di essere superata e vanificare anni e anni di dialogo. Nel messaggio del Consiglio d’istituto appeso in bacheca si parla di «episodio increscioso», di insegnanti «esterrefatti e smarriti». Al bambino si «augura pronta guarigione» e si spera «che possa tornare presto». Parole di circostanza pesate col bilancino. Parole che non convincono troppo la madre del piccolino ancora a casa in convalescenza: «Lui in quella scuola non vuole più tornare, continua ad avere incubi di notte. Noi non abbiamo ancora deciso cosa fare». Parole che feriscono le maestre di questa scuola, i capannelli sul marciapiede dove si continua a parlare solo di questo: «Non si può essere solidali con chi nuoce ai bambini ma è chiaro che è stato un incidente. Quello che ci indigna di più è quello che è successo dopo».
Sabato, 3 Marzo 2007
3/3/2007 - REPORTAGE: A SCUOLA UN MONDO CAPOVOLTO
Le mamme assolvono la maestra con le forbici
“Ha tagliato la lingua a un allievo ma non merita il licenziamento”
FABIO POLETTI
Dicono che è stato un processo sommario. Dicono che il ministro Fioroni ha sbagliato quando ha annunciato il licenziamento in tronco di Rosa S., la supplente di appena 22 anni della seconda C che con un colpo di forbici («E’ chiaro che non voleva, si capisce...») ha tagliato la punta della lingua di Ahmeed, 7 anni e mezzo, «colpevole» di essere troppo irrequieto. Se ne dicono tante da giorni, all’Istituto comprensivo Luigi Cadorna di via Carlo Dolci a Milano, un cancello di ferro che si apre su un palazzone neoclassico nemmeno troppo brutto, bambini che giocano in cortile e non sembra che questa sia la scuola degli orrori. «Quante volte ho detto a mia nipote che se non la smetteva, le tagliavo la lingua...», giura la nonna di Sofia, quinta elementare, treccine, cartella a tracolla, sorriso divertito. «Ha sbagliato ma non merita di essere trattata come un mostro».
La solidarietà
Insegnanti, genitori, bambini, sembrano tutti dalla parte della maestra. Alcuni padri e madri della seconda C frequentata dal bambino di origini tunisine ancora a casa in convalescenza, stanno raccogliendo firme in solidarietà con l’insegnante: «E’ una ragazza timidissima, ha commesso un’imprudenza, chissà cosa le è saltato in testa...». Altri genitori di bambini extracomunitari come Ahmeed, quasi la metà in questa scuola frequentata da 400 alunni spalmati su 24 classi, hanno scritto una lettera ai colleghi di Rosa S., sospesa, prossima ad essere licenziata anche se qui tutti vorrebbero che avesse almeno un’altra chance: «Noi genitori di bambini arabi vogliamo esprimere la nostra solidarietà a voi che tutti i giorni aiutate i nostri figli nella loro crescita civile e culturale. Questo tragico, spiacevole ed isolato evento non scalfisce la nostra fiducia in voi».
Il direttore didattico sceglie invece il silenzio. Troppo clamore. Troppe televisioni al cancello. Troppi fotografi. Troppi giornalisti. «Siamo indignati per come è stato trattato il caso. Anche il ministro ha sbagliato ad intervenire solo sulla base di notizie giornalistiche», non si trattiene Mariangela, 32 anni di insegnamento, sul cellulare i messaggini di altri genitori solidali con queste maestre, tutte le maestre nella bufera. «Vi siamo vicini. Grazie per come avete gestito la situazione. I bambini sono sereni come smpre», scrive Gaetana. «Anche in questo momento difficile la mia fiducia rimane totale», giura Cristina, la mamma di Luca. «Io che vivo in questa scuola ho saputo la notizia dai telegiornali. Qui non c’è stato tutto questo clamore», racconta ancora Mariangela, maestra di frontiera a 1630 euro al mese, 18 bambini di prima elementare, 10 sono stranieri, 8 musulmani. «Una scuola tranquilla, anche se sui giornali siamo finiti per lo sciopero della mensa di alcuni bambini istigati dai genitori durante il Ramadan».
In prima linea
«Noi siamo in prima linea ogni giorno, siamo come su un campo minato. Quello che ci è mancato è il sostegno delle istituzioni», si sfoga con le sue colleghe Agata, maestra in terza elementare, tailleur pastello, un diavolo per ricciolo. Nel capannello c’è chi si lascia scappare che con gli avvocati di mezzo tutta la vicenda è diventata una questione di soldi, di risarcimenti da pagare e da incassare. Chi ha visto Rosa S. dice che ha la vita distrutta e che non fa altro che piangere «poverina...». Parole di comprensione, forse solidarietà di categoria, un pugno in faccia per la mamma di Ahmeed che al cellulare ripete che non voleva crederci quando le hanno detto che stanno raccogliendo le firme per chi ha tagliato la lingua a sua figlio: «Me l’ha detto la madre di un altro bambino. Una che non ha nemmeno chiamato quando mio figlio è finito in ospedale. E adesso mi dice che bisogna fare qualcosa per non fare licenziare la maestra... Loro non sanno il dolore che ho provato io e che ha provato mio figlio... Io non so se si sarebbero comportate così, se avessero tagliato la lingua a un bambino dei vostri, a un bambino italiano...».
Quella sottile linea che divide razzismo e intergrazione in questa scuola come tante, tranquilla come tante, un solo episodio e guarda cosa è successo, rischia di essere superata e vanificare anni e anni di dialogo. Nel messaggio del Consiglio d’istituto appeso in bacheca si parla di «episodio increscioso», di insegnanti «esterrefatti e smarriti». Al bambino si «augura pronta guarigione» e si spera «che possa tornare presto». Parole di circostanza pesate col bilancino. Parole che non convincono troppo la madre del piccolino ancora a casa in convalescenza: «Lui in quella scuola non vuole più tornare, continua ad avere incubi di notte. Noi non abbiamo ancora deciso cosa fare». Parole che feriscono le maestre di questa scuola, i capannelli sul marciapiede dove si continua a parlare solo di questo: «Non si può essere solidali con chi nuoce ai bambini ma è chiaro che è stato un incidente. Quello che ci indigna di più è quello che è successo dopo».