Samuel Paty , 47 anni,
padre di due bambini, era un insegnante di storia e geografia alla
Scuola media
di Conflans-Sainte-Honorine, nel nord di Parigi.
Venerdì 16 ottobre, con un gesto premeditato e preparato su istigazione di alcuni adulti, è stato ucciso in modo orribile, decapitato, da un suo allievo perché aveva mostrato in classe le vignette di Charlie Hebdo sul grande profeta Maometto.
Non è assurdo che al giorno d’oggi una persona, in Francia o in un altro Paese europeo, possa morire per la libertà? Si chiede Pietro Polito e se lo chiedono tutti gli uomini ben pensanti.
Nell’era del Covid, sotto l’ombra nera del contagio che miete innumerevoli vittime, si può morire anche per la Libertà di opinione e di stampa.
Il Presidente Macron ha commentato a caldo quest’orrendo assassinio, dicendo che l’insegnante è stato ucciso “perché insegnava la libertà di credere e non credere”.
Paty, che amava il suo mestiere, inteso come professione perché “credeva a quel che faceva”, ha avuto il “il coraggio di insegnare la libertà”.
Nello svolgimento della sua azione didattica, come ha scritto Michela Marzano su “La Stampa” Samuel si è posta la domanda: “E adesso che faccio con i miei studenti, quando arrivo al capitolo libertà d’espressione? Dico loro che è un cardine delle nostre democrazie liberali, e che quindi non la si può né sopprimere né restringere - a meno che non ci si trovi di fronte all’incitamento all’odio, all’apologia dei crimini contro l’umanità o alla diffamazione - oppure taccio per non mettermi in pericolo?” [1] .
Come recita l’art. 33 della nostra Costituzione: «L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento», la libertà di insegnamento e di espressione è riconosciuta e garantita quale diritto individuale ed è anche un dovere pubblico dell’insegnante-educatore che insegna a pensare e non si limita a trasmettere il “già pensato”.
La libertà d’insegnamento è la migliore garanzia della neutralità dell’insegnamento e in democrazia non può essere delegata né può essere indirizzata da indicazioni governative, siano esse politiche o religiose. Ha un legame stretto con la finalità educativa della scuola che è, appunto, la ricerca del miglior bene dello studente, la sua crescita e la formazione integrale come persona, uomo e cittadino.
La corresponsabilità educativa con i genitori, primari responsabili dell’educazione dei figli, non va intesa come limite alla libertà d’insegnamento, ma come costante ricerca di convergenza verso i comuni ideali e le condivise finalità della piena realizzazione del progetto di vita di tutti e di ciascuno.
La cattedra non è il pulpito dei sacerdoti laici, né la tribuna dei comizi e la scuola non è il luogo della propaganda politica o religiosa. L’insegnamento della Religione Cattolica nelle scuole italiane, regolamentato dai Patti Lateranensi e dai Concordati e dalle Intese , risponde al dovere di “educere” la dimensione religiosa di cui ogni essere umano è portatore, così come attraverso l’insegnamento delle discipline si “tirano fuori ” le diverse dimensioni: storica, geografica, artistica, musicale, fisica, logica e linguistica presenti nelle potenzialità dell’alunno che “a scuola cresce, diventa uomo, apre i suoi occhi al vero e scopre la dimensione dei Valori”.
Di fronte al corpo straziato di Samuel Paty, abbandonato a se stesso, mostrato decapitato senza ritegno, né rispetto nei telegiornali di massima visibilità agli occhi morbosi di una presunta opinione pubblica, non si può restare in differenti e la risposta l’ha data quell’affollatissima piazza di Parigi con i mille cartelli parlanti Je suis Samuel
Ammirando il coraggio di Samuel, viene in mente il famoso adagio manzoniano: “Uno il coraggio, se non ce l’ha, non se lo può dare”. Di fronte alla prepotenza dei bravi e del loro padrone, don Abbondio si mette in pace con il mondo e con la propria coscienza, Samuel, invece, non ha seguito la filosofia di don Abbondio, ha insegnato la libertà ed ha tramesso a tutto il mondo una lezione di coraggio, premiata con la massima onorificenza francese della Legion d’Onore.
Oggi anche noi tutti, docenti, genitori, adulti siamo educatori e possiamo dire Je suis en enseignant – Siamo tutti insegnanti, Lo si dice con convinzione, con il cuore, non solo con le parole, ma con la testimonianza della vita.
Giuseppe Adernò
Venerdì 16 ottobre, con un gesto premeditato e preparato su istigazione di alcuni adulti, è stato ucciso in modo orribile, decapitato, da un suo allievo perché aveva mostrato in classe le vignette di Charlie Hebdo sul grande profeta Maometto.
Non è assurdo che al giorno d’oggi una persona, in Francia o in un altro Paese europeo, possa morire per la libertà? Si chiede Pietro Polito e se lo chiedono tutti gli uomini ben pensanti.
Nell’era del Covid, sotto l’ombra nera del contagio che miete innumerevoli vittime, si può morire anche per la Libertà di opinione e di stampa.
Il Presidente Macron ha commentato a caldo quest’orrendo assassinio, dicendo che l’insegnante è stato ucciso “perché insegnava la libertà di credere e non credere”.
Paty, che amava il suo mestiere, inteso come professione perché “credeva a quel che faceva”, ha avuto il “il coraggio di insegnare la libertà”.
Nello svolgimento della sua azione didattica, come ha scritto Michela Marzano su “La Stampa” Samuel si è posta la domanda: “E adesso che faccio con i miei studenti, quando arrivo al capitolo libertà d’espressione? Dico loro che è un cardine delle nostre democrazie liberali, e che quindi non la si può né sopprimere né restringere - a meno che non ci si trovi di fronte all’incitamento all’odio, all’apologia dei crimini contro l’umanità o alla diffamazione - oppure taccio per non mettermi in pericolo?” [1] .
Come recita l’art. 33 della nostra Costituzione: «L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento», la libertà di insegnamento e di espressione è riconosciuta e garantita quale diritto individuale ed è anche un dovere pubblico dell’insegnante-educatore che insegna a pensare e non si limita a trasmettere il “già pensato”.
La libertà d’insegnamento è la migliore garanzia della neutralità dell’insegnamento e in democrazia non può essere delegata né può essere indirizzata da indicazioni governative, siano esse politiche o religiose. Ha un legame stretto con la finalità educativa della scuola che è, appunto, la ricerca del miglior bene dello studente, la sua crescita e la formazione integrale come persona, uomo e cittadino.
La corresponsabilità educativa con i genitori, primari responsabili dell’educazione dei figli, non va intesa come limite alla libertà d’insegnamento, ma come costante ricerca di convergenza verso i comuni ideali e le condivise finalità della piena realizzazione del progetto di vita di tutti e di ciascuno.
La cattedra non è il pulpito dei sacerdoti laici, né la tribuna dei comizi e la scuola non è il luogo della propaganda politica o religiosa. L’insegnamento della Religione Cattolica nelle scuole italiane, regolamentato dai Patti Lateranensi e dai Concordati e dalle Intese , risponde al dovere di “educere” la dimensione religiosa di cui ogni essere umano è portatore, così come attraverso l’insegnamento delle discipline si “tirano fuori ” le diverse dimensioni: storica, geografica, artistica, musicale, fisica, logica e linguistica presenti nelle potenzialità dell’alunno che “a scuola cresce, diventa uomo, apre i suoi occhi al vero e scopre la dimensione dei Valori”.
Di fronte al corpo straziato di Samuel Paty, abbandonato a se stesso, mostrato decapitato senza ritegno, né rispetto nei telegiornali di massima visibilità agli occhi morbosi di una presunta opinione pubblica, non si può restare in differenti e la risposta l’ha data quell’affollatissima piazza di Parigi con i mille cartelli parlanti Je suis Samuel
Ammirando il coraggio di Samuel, viene in mente il famoso adagio manzoniano: “Uno il coraggio, se non ce l’ha, non se lo può dare”. Di fronte alla prepotenza dei bravi e del loro padrone, don Abbondio si mette in pace con il mondo e con la propria coscienza, Samuel, invece, non ha seguito la filosofia di don Abbondio, ha insegnato la libertà ed ha tramesso a tutto il mondo una lezione di coraggio, premiata con la massima onorificenza francese della Legion d’Onore.
Oggi anche noi tutti, docenti, genitori, adulti siamo educatori e possiamo dire Je suis en enseignant – Siamo tutti insegnanti, Lo si dice con convinzione, con il cuore, non solo con le parole, ma con la testimonianza della vita.
Giuseppe Adernò