A gennaio, dopo le
feste, gli studenti, messa da parte ogni velleità rivoluzionaria o solo
riformatrice con occupazioni e autogestioni, si concentrano su compiti,
interrogazioni e recuperi vari in vista della scadenza quadrimestrale.
Mentre le scuole si imbellettano e si presentano alle famiglie per le
iscrizioni on line, come d’incanto, con nuovi indirizzi di studio,
laboratori, gruppi sportivi, ecc. Ma quest’anno la tradizionale pace
che regna a scuola nel periodo postnatalizio è stata turbata da fatti
nuovi, incombenti e minacciosi, che continuano ad agitare la categoria,
e non solo: la mobilità dei docenti e i decreti delegati previsti dalla
legge 107.
La massiccia immissione in ruolo dei docenti dell’altr’anno ha
determinato, com’era prevedibile, spostamenti diffusi di personale, che
ora aspira a tornare verso casa. Si attrezzano moltissimi docenti per
un trasferimento definitivo; in subordine cercheranno, come quest’anno,
almeno un’assegnazione provvisoria, annuale. Superando i vincoli di
permanenza nella sede che erano stati imposti negli anni scorsi. Tutto
ciò determinerà lo stesso caos che si sta vivendo in quest’anno
scolastico: da una parte più docenti di ruolo al sud e più supplenti
annuali al nord; dall’altra la necessità di nominare – dappertutto –
tanti supplenti perché molto spesso i docenti di ruolo titolari di
ambito, “a disposizione” delle scuole, non corrispondono, per la
materia d ’insegnamento, a quelli che le scuole cercano per sostituire
gli assenti o coprire posti vuoti.
Tempo fa, il nuovo governo, alla scadenza prevista dalla legge delega,
più nota come Buona Scuola, ha resi noti gli schemi di decreti
delegati, otto su nove, tutti su materie significative: formazione
iniziale e accesso ai ruoli degli insegnanti; inclusione e disabilità;
raccordo tra istruzione e formazione professionale; sistema integrato
di educazione e istruzione 0/6 anni; diritto allo studio; cultura
umanistica; istituzioni scolastiche italiane all’estero; valutazione e
competenze degli studenti e degli esami di Stato. Dopo una serie di
rapidi pareri, gli schemi diverranno decreti. Molte delle novità
contenute nei decreti che circolano in questi giorni contribuiscono a
creare ansia, incertezza e malumore.
A cominciare da un nuovo sistema di formazione iniziale e reclutamento.
Prevede un concorso dopo la laurea, per chi lo supera un percorso di
tre anni, di cui due di tirocinio a scuola, per poi essere assunti
stabilmente. Migliaia e migliaia di precari inseriti nelle graduatorie
ad esaurimento o d’istituto, idonei nei concorsi, abilitati nei Tfa,
supplenti annuali, temporanei, rimandano sine die l’applicazione di un
sistema nuovo. Che poi tanto nuovo non è. Ha molte analogie con gli
specializzandi impropriamente e largamente “utilizzati” nei
Policlinici. Sembra un modo sbagliato e scorretto per eliminare i costi
delle supplenze.
E poi c’è quello su inclusione e disabilità, che mette assieme nelle
critiche docenti, alunni e famiglie. Classi che vedono la presenza di
un alunno con disabilita anche con più di 22 alunni. La diagnosi
funzionale redatta da una commissione di soli medici. La richiesta
delle ore di sostegno avanzata non più dalla singola scuola ma dal GIT,
Gruppo Inclusione Territoriale. Prevede un insegnante iperspecializzato
(si passa da 60 a 120 crediti) sempre meno docente, mentre le attività
di sostegno passeranno agli insegnanti della classe con una
preparazione tutta da costruire. Non si sa come potranno spendersi il
titolo di sostegno quanti lo hanno conseguito in questi anni in avide
università o come saranno utilizzati i centomila e passa insegnanti di
sostegno di ruolo.
Ancora, la valutazione nella secondaria. Cambia l’esame di Stato. Gli
studenti sono ammessi all’esame con la media del sei, compresa la
condotta: sembrerebbe che serva a far ricadere sulle scuole le
responsabilità di far arrivare agli esami studenti poco preparati,
responsabilità che sono in capo a chi non sa governare il sistema
scolastico. Invece, poi, delle tre prove scritte salta la terza, quella
preparata dalle scuole; e soprattutto l’Amministrazione ribadisce la
sua vocazione verticistica e censoria con le prove Invalsi. Che, al
posto di dare una lettura del livello di apprendimento degli studenti
al fine di predisporre gli interventi più utili per il singolo, la
scuola, il territorio, diventano giudizi definitivi da riportare nel
documento allegato al diploma e di cui si terrà conto per l’accesso
all’Università.
Insomma, tra mobilità e decreti delegati, anche questo periodo
tradizionalmente tranquillo, pacifico e produttivo, vede nelle scuole
preoccupazioni, ansie, agitazioni, proteste. Che s’ingigantiranno, c’è
da scommetterci, quando più ci si avvicinerà alla fine dell’anno
scolastico.
Franco Buccino
Repubblica