I due fronti
rischiano di apparire ciò che non sono, due eserciti contrapposti di
una battaglia tra conservatori e progressisti, reazionari e riformisti.
Alla parola “declino” si oppone quella di “progresso”, a un’idea della
lingua normativa, che richiede la conoscenza base delle regole
grammaticali, un’idea della lingua dinamica e in evoluzione.
Non si placa la polemica dopo la denuncia dei professori “I nostri
scolari sono tra i più bravi al mondo” Ed è scontro anche sull’eredità
intellettuale di De Mauro
Non è quasi mai una questione solo di regole. La lettera firmata da 600
accademici per denunciare le carenze linguistiche degli studenti sta
avendo un’eco inaspettata e si sta rivelando molto più complessa. Tanto
che è sbucata una contro- lettera, redatta da Maria G. Lo Duca, con
nuova coda di firme di altri professori, tutti linguisti che difendono
le scuole primarie, le prove Invalsi, la competenza degli insegnanti
elementari. Tra i firmatari, quasi tutti appartenenti alla Società
linguistica italiana, (per ora 85, da Michele Cortelazzo a Gaetano
Berruto, da Nicoletta Maraschio a Francesco Sabatini, da Anna M.
Thornton a Massimo Vedovelli) c’è il filologo romanzo Lorenzo Renzi che
dice: «Sono imbarazzato, credo che invece di parlare di declino
bisognerebbe ammettere che negli anni siamo progrediti. Come non
valutare il fatto che sempre più persone vanno all’università?». Renzi,
autore per il Mulino di un saggio su Come cambia la lingua in cui
studia i cambiamenti dell’italiano, ha una visione meno catastrofista.
I due fronti rischiano di apparire ciò che non sono, due eserciti
contrapposti di una battaglia tra conservatori e progressisti,
reazionari e riformisti. Alla parola “declino” si oppone quella di
“progresso”, a un’idea della lingua normativa, che richiede la
conoscenza base delle regole grammaticali, un’idea della lingua
dinamica e in evoluzione. Da una parte chi difende le scuole elementari
e dall’altra chi le colpevolizza. Miriam Voghera, docente di
linguistica generale all’università di Salerno, reagisce al j’accuse
dei 600: «Un’accusa falsa, le prove internazionali Ocse o Iea
testimoniano che i bambini italiani sono tra i più bravi al mondo. Le
università farebbero bene a non tirarsi fuori e ad interessarsi a loro
volta di formazione della scrittura». In un articolo su Repubblica
Marco Rossi-Doria ricordava l’importanza delle competenze dei docenti.
Ma prevedendo forse che la questione sarebbe deragliata, molti
linguisti si sono sfilati. La Crusca non ha ancora espresso una
posizione ufficiale. Il presidente Claudio Marazzini non ha firmato
alcuna lettera: «Ne stiamo discutendo ». Né ha aderito Luca Serianni,
tra i maggiori linguisti italiani, accademico della Crusca e dei
Lincei: «C’è il rischio di una forzatura polemica. È stato lo stesso De
Mauro a difendere una scuola legata alla realtà. Grazie ai suoi studi
ci siamo liberati da tanti stereotipi». De Mauro, appunto. Attorno al
linguista recentemente scomparso si sta aprendo l’altro capitolo di
questa storia. In un articolo sul Corriere della Sera Ernesto Galli
Della Loggia (tra i 600 firmatari) ha imputato a De Mauro le cause
della rovina della nostra lingua, trasformandolo in un pedagogo
lassista post-sessantottino. Secondo Lorenzo Renzi è doveroso reagire:
«De Mauro non era interessato alla semplice correttezza ortografica ma
all’idea di lingua come argomentazione. È stato il primo che, quando
l’analfabetismo, nel secondo dopoguerra, è apparso definitivamente
debellato, ha additato i pericoli dell’analfabetismo di ritorno».
Gramsci, studente di filologia, diceva che quando si agitano questioni
di linguaggio c’è qualche sommovimento sociale in atto. Non può essere
una semplice questione di vocabolario, chi parla male in genere vive
male.
Raffaella De Santis
La Repubblica